L’Eurovision Song Contest 2026, in programma a Vienna dal 12 al 16 maggio presso la Wiener Stadthalle, rischia di trasformarsi nel più grande boicottaggio della storia della kermesse europea. Cinque nazioni hanno già annunciato ufficialmente che non parteciperanno all’evento se Israele dovesse essere confermato tra i concorrenti, creando una crisi diplomatica senza precedenti che mette a rischio l’integrità stessa della manifestazione.
L’Irlanda ha aperto il fronte della protesta attraverso l’emittente pubblica RTÉ, che ha comunicato ufficialmente la propria posizione con un comunicato che non lascia spazio a interpretazioni: "La partecipazione dell’Irlanda sarebbe inconcepibile, date le continue atrocità in corso a Gaza". La televisione irlandese ha sottolineato come sia “inaccettabile la continua e spaventosa perdita di vite umane nella Striscia di Gaza”, aggiungendo preoccupazioni specifiche per “l’uccisione mirata di giornalisti a Gaza, il divieto di accesso al territorio ai giornalisti internazionali e la difficile situazione degli ostaggi rimasti”.
La Spagna ha seguito la stessa linea attraverso le dichiarazioni del Ministro della Cultura Ernest Urtasun, che ha espresso “profonda preoccupazione per l’utilizzo dell’Eurovision come piattaforma di legittimazione politica” e ha anticipato che Madrid farà “le proprie valutazioni” sulla partecipazione. Urtasun aveva già richiesto l’espulsione di Israele all’inizio dell’anno, sostenendo che “non si può normalizzare la partecipazione di Israele ai forum internazionali come se nulla fosse accaduto”.
Anche la Slovenia si è accodata al fronte del dissenso attraverso l’emittente RTVSLO, con il direttore Ksenija Horvat che ha espresso “serie e crescenti preoccupazioni in merito alla continua partecipazione di Israele agli eventi dell’EBU”. La televisione slovena ha chiarito che “se l’EBU non dovesse adottare misure concrete e non dovesse affrontare la questione, prenderemo in considerazione la nostra partecipazione a futuri eventi dell’Eurovision”.
L’Islanda completa il gruppo dei paesi europei che hanno preso posizione contro la partecipazione israeliana, con l’emittente RUV che attraverso il direttore Stefán Eiríksson ha confermato che il paese “prenderà in considerazione il ritiro” se non ci sarà un cambiamento nella linea dell’Unione Europea di Radiodiffusione.
L’ultimo paese a unirsi al boicottaggio è stata l’Olanda, attraverso un comunicato dell’emittente Avrotros che ha definito la situazione “una continua e grave sofferenza umana” che rende “impossibile giustificare la partecipazione di Israele alla competizione”. L’emittente olandese ha ricordato come l’Eurovision sia nato nel 1956 “con l’intento di unire i popoli dopo anni di conflitti” e come “la musica rappresenti da sempre una forza unificatrice basata su valori quali la pace, l’uguaglianza e il rispetto”.
Le proteste non si limitano alla questione umanitaria, ma coinvolgono anche aspetti legati alla libertà di stampa e alle presunte interferenze politiche. L’emittente olandese Avrotros ha denunciato “prove comprovate di interferenza da parte del governo israeliano” durante le competizioni del 2025 e ha accusato Israele di aver utilizzato l’Eurovision come “strumento politico”, sostenendo che “la sofferenza umana, la soppressione della libertà di stampa e l’ingerenza politica sono in contrasto con i valori della radiodiffusione pubblica”.
Il direttore dell’Eurovision Martin Green ha cercato di stemperare le tensioni con una dichiarazione ufficiale in cui ha affermato di “comprendere le preoccupazioni e le opinioni radicate che circondano il conflitto in corso in Medio Oriente”. Green ha spiegato che l’organizzazione “sta ancora consultando tutti i membri dell’EBU per raccogliere opinioni su come gestire la partecipazione e le tensioni geopolitiche che circondano l’Eurovision Song Contest”, ricordando che “le emittenti hanno tempo fino a metà dicembre per confermare la partecipazione all’evento del prossimo anno a Vienna” e che “spetta a ciascun membro decidere se partecipare o meno al concorso”.
La crisi attuale rappresenta l’escalation di tensioni che accompagnano la kermesse già da due anni, da quando cioè il conflitto a Gaza ha iniziato a influenzare pesantemente il dibattito pubblico europeo. Durante l’Eurovision 2025 di Basilea, le polemiche avevano già raggiunto livelli significativi, con proteste sia in strada che nel pubblico, fischi che hanno accompagnato l’esibizione della rappresentante israeliana Yuval Raphael e la presenza di bandiere palestinesi in platea durante la sua performance.
La questione ha assunto dimensioni tali che persino il vincitore dell’Eurovision 2025, l’austriaco JJ, si è espresso contro la partecipazione israeliana, dichiarando in un’intervista al quotidiano spagnolo El País: “È molto deludente che Israele partecipi ancora alla competizione. Vorrei che il prossimo Eurovision si svolgesse senza Israele”. Tuttavia, l’artista ha successivamente fatto retromarcia attraverso un comunicato della sua casa discografica Warner Music, chiarendo che le sue erano “opinioni personali” e che “condanna ogni forma di violenza contro i civili, ovunque, che siano israeliani o palestinesi”.
Per gestire la crisi senza precedenti, l’Unione Europea di Radiodiffusione ha dovuto adottare misure straordinarie. L’EBU ha prorogato la scadenza per le adesioni da ottobre a dicembre, anticipando possibili defezioni, e ha incaricato un consulente esterno di aprire un dialogo strutturato con le emittenti nazionali. Non è esclusa la possibilità che venga indetto un vero e proprio voto sulla partecipazione di Israele tra i membri dell’organizzazione.
La situazione attuale evoca precedenti storici di esclusioni politiche dall’Eurovision. Nel 2021, la Bielorussia fu squalificata dopo che l’emittente BTRC aveva selezionato il gruppo Galasy ZMesta con un brano che conteneva chiari riferimenti politici contro i manifestanti contrari al regime di Lukashenko. L’anno successivo, nel 2022, fu la volta della Russia, esclusa in seguito all’invasione dell’Ucraina. Entrambi i paesi erano stati sospesi dall’EBU per violazioni dei principi fondamentali di imparzialità e indipendenza editoriale che regolano la partecipazione al concorso.
Le conseguenze di un eventuale boicottaggio di massa potrebbero essere devastanti per l’evento. Frank Dermody, presidente del fan club irlandese di Eurovision, prevede che “se altri Paesi seguiranno l’esempio irlandese, l’edizione 2026 potrebbe vedere un drastico calo di partecipanti”, stimando che “potremmo ritrovarci con solo 15 o 20 nazioni in gara, rispetto alle consuete 37-40”. Questo significherebbe il più grande boicottaggio nella storia settantennale del concorso, con un impatto economico e reputazionale enorme per l’evento che registra normalmente oltre 160 milioni di spettatori in tutto il mondo.
La crisi mette in evidenza il difficile equilibrio tra arte e politica che l’Eurovision ha sempre cercato di mantenere. Nato nel 1956 con l’obiettivo di unire l’Europa attraverso la musica dopo le devastazioni della Seconda Guerra Mondiale, il concorso si trova ora a dover affrontare la più seria sfida alla sua identità originaria. La decisione finale dell’EBU sulla partecipazione di Israele, attesa per l’autunno, determinerà non solo il futuro dell’edizione 2026, ma potrebbe ridefinire permanentemente i criteri di partecipazione a uno degli eventi culturali più importanti del continente europeo.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!