Dal primo gennaio 2026 scatteranno aumenti sui pedaggi autostradali per la maggior parte della rete nazionale, con un adeguamento medio dell’1,5 % determinato dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti. La sentenza numero 147 della Corte Costituzionale, depositata il 14 ottobre 2025, ha dichiarato illegittimo il tentativo del governo di congelare le tariffe, vanificando gli sforzi del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini di bloccare i rincari fino alla definizione dei nuovi Piani Economico-Finanziari regolatori.
Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha comunicato ufficialmente che l’adeguamento tariffario scatterà per tutte le società concessionarie autostradali per le quali è in corso la procedura di aggiornamento dei relativi Piani Economico-Finanziari. L’incremento dell’1,5 per cento corrisponde all’indice di inflazione programmata per l’anno 2026, una misura automatica che il MIT non può più impedire dopo le decisioni della Corte Costituzionale e dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti.
La vicenda affonda le radici in una complessa battaglia giuridica iniziata nel 2019, quando il governo aveva cercato di bloccare gli aumenti tariffari attraverso una serie di decreti legge che posticipavano i termini per l’adeguamento dei pedaggi. Il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi sul ricorso della concessionaria Raccordo Autostradale Valle d’Aosta, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale ritenendo che le norme censurate violassero gli articoli 3, 41 e 97 della Costituzione, relativi rispettivamente all’uguaglianza, alla libertà di iniziativa economica e al buon andamento della pubblica amministrazione.
La Corte Costituzionale ha accolto le argomentazioni del Consiglio di Stato, dichiarando che il rinvio reiterato degli adeguamenti tariffari dal 2020 al 2023 aveva alterato irragionevolmente l’equilibrio contrattuale tra Stato e concessionari, impedendo la continuità dell’azione amministrativa e deresponsabilizzando i funzionari pubblici. I giudici costituzionali hanno sottolineato che il blocco prolungato ha finito per danneggiare l’iniziativa economica privata, compromettendo la sostenibilità finanziaria delle società che gestiscono le autostrade e, di conseguenza, la capacità di investimento in manutenzione e sicurezza delle infrastrutture.
Secondo la sentenza della Consulta, il differimento dei termini non era necessario per garantire il coordinamento con il nuovo sistema tariffario introdotto dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti, in quanto l’amministrazione disponeva già degli strumenti per applicare le delibere dell’ART senza congelare i procedimenti. La posticipazione degli adeguamenti ha alterato anche la corrispondenza tra fruizione dell’infrastruttura e pagamento del pedaggio, scaricando i recuperi futuri su utenti diversi da quelli che avevano effettivamente utilizzato le autostrade negli anni precedenti.
La nota del Ministero precisa che per alcune società concessionarie non sono previste variazioni tariffarie. In particolare, le Concessioni del Tirreno sui tronchi A10 e A12, la Ivrea-Torino-Piacenza sui tronchi A5 e A21, e Strada dei Parchi che gestisce la A24 e la A25, non applicheranno aumenti essendo in vigenza di periodo regolatorio con piani economico-finanziari già approvati dall’ART. Per queste tratte, in alcuni casi sono previste addirittura riduzioni tariffarie in linea con i rispettivi atti convenzionali vigenti.
Un adeguamento più marcato rispetto alla media nazionale interesserà la concessionaria Salerno-Pompei-Napoli, che gestisce l’autostrada A3 Napoli-Salerno, con un incremento dell’1,925 per cento. Anche l’Autostrada del Brennero registrerà un aumento, seppur più contenuto e pari all’1,46 per cento, in un contesto particolare dato che la concessione è scaduta ed è in corso la procedura per il riaffidamento della medesima.
L’elenco completo delle società interessate dall’aumento dell’1,5 per cento comprende Autostrade per l’Italia, che gestisce circa 2.800 chilometri di rete autostradale nazionale, Brescia-Padova, Autovia Padana, Salt per il tronco Autocisa, Consorzio Autostrade Siciliane, Milano Serravalle, Tangenziale di Napoli, Raccordo Autostradale Valle d’Aosta, Società Autostrada Torino-Alessandria-Piacena, Società Italiana Traforo Autostradale del Frejus, Società Autostrada Torino-Savona, Autostrade Lombarde per il tronco A6, Concessioni Autostradali Venete, Asti-Cuneo, oltre a Pedemontana Lombarda, Tangenziale Esterna di Milano e Brebemi.
Il MIT ha sottolineato che l’Autorità di Regolazione dei Trasporti ha determinato l’adeguamento tariffario basandosi sull’indice di inflazione programmata, un parametro utilizzato per calcolare gli aumenti annuali di servizi pubblici e concessioni, diverso dall’inflazione effettiva misurata a posteriori dall’Istat. L’applicazione di questo meccanismo è prevista dalle convenzioni che regolano i rapporti tra lo Stato, proprietario della rete autostradale, e le società concessionarie che gestiscono le tratte.
La sentenza della Corte Costituzionale ha evidenziato come il legislatore non possa intervenire unilateralmente bloccando gli adeguamenti tariffari previsti dai contratti di concessione, in quanto tale ingerenza altera l’equilibrio economico delle concessioni e mette a rischio la pianificazione degli investimenti necessari per la manutenzione e la sicurezza delle infrastrutture. Senza la certezza dei ricavi da pedaggio, le concessionarie potrebbero non avere la liquidità necessaria per cantieri fondamentali come quelli su viadotti e gallerie, compromettendo l’efficienza e la sicurezza della rete autostradale nazionale.
L’adeguamento tariffario del 2026 apre una fase delicata per la politica industriale del settore autostradale. Con il venir meno del blocco governativo, la definizione dei nuovi Piani Economico-Finanziari dovrà garantire la sostenibilità degli investimenti senza gravare eccessivamente sugli utenti. Gli scenari sul tavolo sono complessi e prevedono ulteriori aggiustamenti dei pedaggi secondo i criteri stabiliti dall’ART, mentre si valuta l’estensione della durata delle concessioni per spalmare nel tempo i costi delle opere necessarie.
Il Ministero ha precisato che sulle decisioni della Corte Costituzionale e dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti non può più intervenire, chiudendo di fatto ogni possibilità di ulteriore congelamento delle tariffe. L’aumento dei pedaggi si inserisce in un contesto più ampio di riforma del settore autostradale, che prevede dal 2026 una modulazione delle tariffe in base agli investimenti realmente realizzati e agli standard qualitativi fissati dall’Autorità, con riduzioni obbligatorie per i concessionari che non rispetteranno i requisiti stabiliti.
La vicenda rappresenta un importante precedente giuridico sul rapporto tra intervento legislativo e contratti di concessione, confermando i limiti costituzionali all’ingerenza dello Stato nei rapporti contrattuali di durata quando tale intervento si traduce in scelte irragionevoli, sproporzionate o lesive della libertà di iniziativa economica. La sentenza della Consulta ha ribadito che le leggi-provvedimento che modificano le regole dei procedimenti amministrativi devono essere sottoposte a uno scrutinio rigoroso di costituzionalità, verificando la congruità del mezzo rispetto allo scopo perseguito e la proporzionalità della misura prescelta. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
