La chiusura dei seggi alle ore 15:00 di lunedì 9 giugno 2025 ha sancito la conclusione di una tornata referendaria che si è caratterizzata per una partecipazione estremamente contenuta, con un dato finale di affluenza che secondo le nostre proiezioni sarà pari al 29,7% degli aventi diritto al voto. Il risultato, ampiamente al di sotto della soglia del 50% più uno necessaria per la validità dei cinque quesiti abrogativi su lavoro e cittadinanza, ha determinato il mancato raggiungimento del quorum e conseguentemente l’invalidità dell’intera consultazione referendaria.
L’andamento dell’affluenza aveva già mostrato segnali inequivocabili fin dalle prime rilevazioni di domenica 8 giugno, quando alle ore 12:00 si era registrata una partecipazione del 7,4% degli elettori, dato che aveva mantenuto un trend costantemente insufficiente per tutto l’arco delle due giornate di votazione. L’incremento progressivo registrato nelle ore successive, con il 16,6% alle 19:00 e il 22,73% alle 23:00 di domenica, non è riuscito a modificare sostanzialmente la dinamica astensionista che ha caratterizzato questa consultazione, confermando le previsioni più pessimistiche degli osservatori politici.
Questo risultato si inserisce in un quadro più ampio che evidenzia una crisi profonda dello strumento referendario in Italia, fenomeno che merita un’analisi approfondita considerando l’evoluzione storica di questo istituto democratico dal 1946 ad oggi. Dal referendum istituzionale che sancì la nascita della Repubblica italiana, il nostro Paese ha sperimentato un utilizzo sempre più frequente e talvolta controverso della consultazione diretta dei cittadini, arrivando a totalizzare 78 referendum nazionali in quasi ottant’anni di storia repubblicana.
La proliferazione dei referendum abrogativi, che rappresentano 72 dei 78 quesiti complessivamente sottoposti al voto popolare, ha iniziato a manifestarsi in modo sistematico a partire dagli anni Settanta del secolo scorso. Il primo referendum abrogativo del 1974 sul divorzio, che registrò un’affluenza eccezionale dell’87,7%, rappresentò un momento cruciale nella storia politica italiana e sembrò inaugurare una stagione di grande partecipazione popolare alle consultazioni referendarie. Tuttavia, questa fase iniziale di entusiasmo per lo strumento della democrazia diretta si è progressivamente trasformata in un fenomeno di inflazione referendaria che ha finito per svilire il valore e l’efficacia di questo istituto costituzionale.
L’analisi dei dati storici rivela come il Partito Radicale abbia fatto dello strumento referendario una vera e propria bandiera politica, promuovendo oltre la metà dei referendum abrogativi votati in Italia e trasformando questa forma di partecipazione democratica in uno strumento di lotta politica permanente. Tale approccio, seppur legittimo dal punto di vista costituzionale, ha contribuito a generare un effetto di saturazione nell’opinione pubblica, che ha iniziato a percepire i referendum non più come momenti eccezionali di partecipazione civica, ma come appuntamenti elettorali routinari e spesso di carattere tecnico-specialistico.
La tendenza al mancato raggiungimento del quorum si è accentuata drammaticamente a partire dagli anni Novanta, quando si è diffusa la strategia politica dell’astensionismo come forma di opposizione ai quesiti referendari. Questa pratica, che trasforma il non voto da manifestazione di disinteresse in scelta politica consapevole, ha snaturato la funzione originaria del quorum, concepito dai costituenti come garanzia di una partecipazione sufficientemente ampia per legittimare decisioni di particolare rilevanza.
L’ultimo successo referendario risale al 2011, quando i quesiti su acqua pubblica e nucleare riuscirono a superare la soglia del 50% con circa il 55% di partecipazione, beneficiando di un clima politico particolare e di tematiche che avevano catalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica. Da allora, tutte le successive consultazioni referendarie hanno fallito l’obiettivo del quorum, come dimostrato dal referendum sulla giustizia del 2022 che si fermò al 20,4% di affluenza.
Un elemento particolarmente problematico è rappresentato dalla crescente incidenza degli italiani residenti all’estero, che costituiscono ormai quasi il 10% del corpo elettorale ma storicamente partecipano in misura molto limitata alle consultazioni referendarie, con affluenze che non superano mai il 23%. Questa situazione crea un paradosso democratico per cui una significativa porzione del corpo elettorale, pur avendo diritto di voto, rimane di fatto esclusa dal processo decisionale referendario, rendendo ancora più difficile il raggiungimento del quorum.
La moltiplicazione dei referendum ha inoltre comportato una banalizzazione delle tematiche sottoposte al voto popolare, con quesiti spesso di carattere tecnico-giuridico che richiederebbero competenze specialistiche per essere adeguatamente valutati dai cittadini. Questa deriva tecnicistica ha allontanato progressivamente l’elettorato dalle consultazioni referendarie, contribuendo a consolidare la percezione di uno strumento democratico ormai inadeguato rispetto alle sfide della moderna società italiana.
L’esito negativo dei referendum del 2025 conferma dunque una tendenza consolidata che evidenzia l’urgente necessità di ripensare profondamente lo strumento referendario in Italia. L’abuso di questo istituto democratico, utilizzato talvolta come mero strumento di propaganda politica piuttosto che come occasione di autentica partecipazione civica, ha determinato un progressivo svuotamento del suo significato costituzionale e una crescente disaffezione da parte dei cittadini.
La riflessione che emerge da questa ennesima mancata consultazione referendaria riguarda la necessità di individuare forme alternative di partecipazione democratica che possano restituire ai cittadini italiani strumenti efficaci per influire sulle decisioni politiche fondamentali. Il fallimento sistematico del referendum abrogativo degli ultimi anni dimostra come l’attuale assetto normativo e procedurale di questo istituto non sia più in grado di rispondere alle esigenze di una democrazia moderna e dinamica, richiedendo interventi riformatori che possano rilanciare la partecipazione popolare attraverso modalità più adeguate ai tempi attuali.