Carabiniere ucciso, indagati i due agenti che hanno sparato al killer

Due poliziotti che hanno neutralizzato il killer del brigadiere Legrottaglie sono indagati per omicidio colposo: un’ingiustizia che criminalizza chi rischia la vita per difendere i cittadini.

L’indagine a carico dei due poliziotti che hanno sparato ai malviventi coinvolti nella morte del brigadiere capo Carlo Legrottaglie rappresenta l’ennesimo schiaffo morale a chi rischia quotidianamente la propria vita per garantire la sicurezza dei cittadini italiani. Una decisione che solleva profonda indignazione e che mette in luce, ancora una volta, le contraddizioni di un sistema giudiziario che sembra più preoccupato di tutelare i criminali piuttosto che sostenere le forze dell’ordine nell’esercizio del loro dovere.

I fatti sono chiari e inequivocabili: Michele Mastropietro, pluripregiudicato di 59 anni, insieme al complice Camillo Giannattasio, ha brutalmente assassinato il brigadiere Carlo Legrottaglie durante un conflitto a fuoco nelle campagne di Francavilla Fontana. Il carabiniere, a pochi giorni dalla meritata pensione dopo una vita dedicata al servizio dello Stato, è stato freddato mentre svolgeva il proprio dovere. Dall’ordinanza di custodia cautelare emerge un elemento agghiacciante: il brigadiere sarebbe stato ucciso perché i due malviventi temevano che, se arrestati, i carabinieri avrebbero scoperto il vasto arsenale di armi che nascondevano.

Dopo l’omicidio, Mastropietro non si è fermato, ma ha tentato di colpire anche altri agenti e alcuni contadini presenti, fermato solo dal fatto che la sua pistola si è fortunatamente inceppata. Il rischio di una strage era concreto e imminente. In questo scenario drammatico, due agenti della Polizia di Stato, durante un normale servizio di pattugliamento, si sono trovati faccia a faccia con i fuggitivi. Nel conflitto a fuoco che ne è seguito, Mastropietro è rimasto ucciso mentre Giannattasio è stato arrestato.

Ed ecco l’assurdo paradosso italiano: i due poliziotti che hanno impedito una potenziale strage, rischiando la propria vita per fermare un criminale armato e pericoloso, sono ora indagati per omicidio colposo per eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi. Un’indagine che, sebbene definita come “atto dovuto”, rappresenta una vera e propria umiliazione per chi indossa una divisa.

La Procura di Taranto ha giustificato l’iscrizione nel registro degli indagati dei due agenti come un “atto dovuto” in vista dell’autopsia sul corpo di Mastropietro. Una formula che nasconde l’ipocrisia di un sistema che criminalizza sistematicamente le forze dell’ordine. Come ha giustamente sottolineato il segretario generale del Movimento Sindacale Autonomo di Polizia, Fabio Conestà, questa indagine rappresenta “un insulto” a chi rischia la vita per fermare i delinquenti.

È inaccettabile che chi indossa una divisa debba temere più il tribunale che i criminali. Il nostro è un paese confuso e pieno di contraddizioni, dove i più deboli e chi svolge onestamente il proprio lavoro o dovere, come nel caso di poliziotti e carabinieri, pagano sempre un prezzo al di là di tutto.

Anche l’avvocato Giorgio Carta, uno dei legali dei poliziotti indagati, ha messo in luce un altro aspetto scandaloso di questa vicenda: “Quando, una volta chiarite le dinamiche, l’indagine o il processo si chiudono con un pieno proscioglimento, si apre un paradosso tutto italiano: il rimborso delle spese legali sostenute dall’agente potrebbe essere non scontato né integrale”. Questo significa che, oltre al trauma psicologico e alla gogna mediatica, i poliziotti dovranno anche sostenere economicamente la propria difesa, con il rischio concreto di non essere completamente rimborsati.

Il problema non è solo nell’applicazione della legge, ma nella legge stessa. L’articolo 55 del codice penale, che disciplina l’eccesso colposo, prevede che quando si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge nell’uso legittimo delle armi, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi. Una norma che non tiene conto della realtà operativa in cui si trovano ad agire le forze dell’ordine, costrette a prendere decisioni in frazioni di secondo, sotto stress e con la propria vita in pericolo.

L’uso legittimo delle armi, disciplinato dall’articolo 53 del codice penale, prevede che non sia punibile il pubblico ufficiale che fa uso delle armi quando è costretto dalla necessità di respingere una violenza o vincere una resistenza all’autorità. Nel caso specifico, i due agenti si sono trovati di fronte un criminale armato, già responsabile dell’omicidio di un carabiniere, che aveva tentato di compiere una strage. Come può essere considerato “eccesso colposo” l’aver neutralizzato una minaccia così evidente e concreta?

La verità è che questa indagine genera un effetto dissuasivo concreto: chi sa di poter finire indagato anche in casi evidenti di legittimo intervento e sa che dovrà difendersi in tutto o in parte a proprie spese, sarà indotto, anche inconsciamente, a esitare. Ma un poliziotto che esita, per paura delle conseguenze giudiziarie o economiche, non è più in grado di tutelare la sicurezza pubblica né sé stesso.

Fortunamente, il mondo politico ha reagito con fermezza a questa assurdità giuridica. Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia si sono detti favorevoli a una modifica normativa per tutelare le forze dell’ordine impegnate in operazioni ad alto rischio. Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, si è dichiarato “favorevole a una riflessione seria su come garantire le tutele necessarie a chi indossa una divisa”.

Particolarmente incisive le parole del leader della Lega, Matteo Salvini: “Il fatto che due poliziotti siano indagati per aver ucciso il killer lo vedo come un disincentivo al lavoro a chi rischia anche oggi per salvare altre vite. Nell’aggiornamento del decreto sicurezza stiamo lavorando, come Lega, per prevedere, anche oltre alle tutele legali già previste, il fatto che non ci sia la registrazione nel registro degli indagati di chi, durante il compimento del proprio dovere, deve usare delle armi per mettere fuori servizio i delinquenti”.

Anche Alfredo Antoniozzi, vicecapogruppo alla Camera per Fratelli d’Italia, ha espresso perplessità attraverso un post sui social: “Abbiamo rispetto per la magistratura, ma non possiamo non essere perplessi. Solidarietà piena ai due agenti, che meritano chiarezza e gratitudine. Così non si difende lo Stato”.

Questa vicenda non riguarda solo i due poliziotti indagati, ma tutti noi cittadini italiani. Quando lo Stato criminalizza chi ci difende, siamo tutti più vulnerabili e meno sicuri. Come ha giustamente sottolineato l’avvocato Giorgio Carta, “se davvero lo Stato vuole dimostrare vicinanza alle proprie forze dell’ordine, la tutela legale non può essere soggetta a sconti o a revisioni contabili. È un dovere, non un favore”.

Mentre celebriamo con tutti gli onori il brigadiere Carlo Legrottaglie, eroe caduto nell’adempimento del proprio dovere, non possiamo dimenticare che altri servitori dello Stato stanno subendo un’ingiustizia che grida vendetta. I funerali solenni del brigadiere, celebrati alla presenza delle più alte cariche dello Stato, tra cui il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, contrastano amaramente con il trattamento riservato ai due poliziotti che hanno rischiato la vita per assicurare alla giustizia i responsabili di quel crimine efferato.

È tempo che la politica passi dalle parole ai fatti, modificando una legislazione anacronistica che non tutela adeguatamente chi rischia la vita per la nostra sicurezza. È tempo che la magistratura smetta di considerare le forze dell’ordine come potenziali criminali e inizi a trattarle con il rispetto che meritano. È tempo che noi cittadini ci indigniamo di fronte a questa ingiustizia e pretendiamo un cambiamento.

Perché in uno Stato di diritto, chi difende la legge non può essere trattato come chi la infrange. E perché un paese che non sa proteggere chi lo protegge è un paese destinato al fallimento.