Il Tribunale di Monza ha pronunciato una sentenza di condanna che ha scosso l’ambiente delle forze dell’ordine e del mondo mediatico, accendendo i riflettori su un sistema di favoritismi che per anni ha garantito corsie preferenziali ai volti noti dell’emittente televisiva. Un appuntato scelto della Tenenza dei Carabinieri di Cologno Monzese, di quarantotto anni, è stato condannato a un anno e quattro mesi di reclusione per falso e a nove mesi per omissione di atti di ufficio, con pena sospesa. Parallelamente, un secondo militare, carabiniere scelto di trentotto anni della medesima Tenenza, ha ricevuto una condanna a un anno di reclusione per un episodio di falso in concorso con il primo imputato.
La vicenda giudiziaria affonda le radici in un episodio apparentemente marginale verificatosi nel 2019, quando presso l’abitazione del presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, si consumò un furto che avrebbe innescato una catena di eventi dalle conseguenze impreviste. Dopo la denuncia del crimine, alla Tenenza dei Carabinieri di Cologno Monzese erano state inviate le chiavette contenenti le videoregistrazioni del sistema di sicurezza, materiale probatorio che però andò smarrito. La scomparsa di questo elemento così rilevante per le indagini scatenò una perquisizione sistematica e capillare all’interno della caserma per ritrovare i supporti digitali, operazione che portò alla luce un quadro ben più complesso e inquietante.
Durante le perquisizioni, gli investigatori scoprirono nei cassetti dell’ufficio dell’appuntato una serie di pratiche inevase e refurtiva da restituire, mentre computer e telefoni cellulari del militare contenevano una fitta corrispondenza di messaggi finalizzati a favorire personaggi celebri e dirigenti di Mediaset per questioni relative a denunce o procedimenti di identificazione. L’indagine rivelò che sulla carta tali denunce risultavano regolarmente raccolte in presenza al Comando dei Carabinieri, quando invece erano state effettuate presso gli uffici dell’emittente televisiva o predisposte anticipatamente, talvolta anche non da un pubblico ufficiale, per essere successivamente firmate dai soggetti interessati.
Il sistema di agevolazioni messo in piedi dal carabiniere coinvolgeva una nutrita schiera di personalità del mondo televisivo e giornalistico. Tra i beneficiari di questo trattamento privilegiato figuravano Barbara D’Urso, per la quale furono gestite elezioni di domicilio, il giornalista Mario Giordano, Elena Guarnieri, Matteo Viviani delle Iene, Claudio Brachino, il dirigente Marco Giordani e l’avvocato Stefano Longhini. Per una decina di casi è scattata la prescrizione, segno che il sistema operava da tempo.
Il pubblico ministero Alessandro Pepè della Procura di Monza, durante la sua requisitoria, ha descritto il comportamento dell’imputato come caratterizzato da "un atteggiamento di tale servilismo da indurlo a commettere sistematicamente tutta una serie di falsi per agevolare quel tale dirigente, quella tale funzionaria, quella tale conduttrice". Secondo l’accusa, il militare garantiva ai personaggi Mediaset la possibilità di evitare la normale procedura burocratica, consentendo loro di non recarsi fisicamente in caserma per sporgere denuncia. In alcuni casi, i documenti venivano precompilati dal carabiniere e successivamente firmati dalle persone interessate, magari nel camerino prima di andare in onda.
La difesa dell’appuntato, rappresentata dall’avvocato Manuela Cacciuttolo, ha respinto le accuse sostenendo che "l’imputato non era al servizio di Mediaset, non esiste il dolo e si tratta di falso innocuo perché il contenuto delle denunce era vero". Il legale ha inoltre evidenziato come la ricerca delle chiavette smarrite avesse assunto proporzioni sproporzionate, osservando che "se fossero state le chiavette di un procedimento di un privato cittadino dubito che il comandante della Tenenza avrebbe messo sottosopra la caserma per cercarle".
Nonostante le argomentazioni della difesa, i giudici del Tribunale di Monza hanno ritenuto sussistenti i reati contestati, dichiarando la nullità degli atti falsi e disponendo la trasmissione del procedimento penale all’Arma dei Carabinieri per un eventuale provvedimento disciplinare. La sentenza ha così sancito la fine di un sistema che garantiva trattamenti privilegiati ai volti noti dell’emittente televisiva, compromettendo i principi di uguaglianza e imparzialità che dovrebbero caratterizzare l’azione delle forze dell’ordine.
La vicenda ha sollevato interrogativi più ampi sul rapporto tra potere mediatico e istituzioni, evidenziando come la notorietà e l’influenza possano talvolta tradursi in vantaggi concreti anche nei rapporti con gli apparati dello Stato. Il caso della Tenenza di Cologno Monzese rappresenta un monito sull’importanza di mantenere l’integrità e l’imparzialità delle procedure amministrative e giudiziarie, indipendentemente dalla posizione sociale o mediatica dei soggetti coinvolti.
La condanna definitiva dei due carabinieri segna la conclusione di un capitolo che ha gettato ombre sull’operato di una struttura territoriale dell’Arma, ma rappresenta al contempo un segnale della capacità del sistema giudiziario di far emergere e sanzionare comportamenti scorretti, anche quando coinvolgono figure istituzionali e personalità del mondo dello spettacolo. I magistrati monzesi hanno così ribadito che nessuno può considerarsi al di sopra della legge e che il principio di uguaglianza davanti alle istituzioni non ammette eccezioni, nemmeno per i volti più noti della televisione italiana. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!