Il Piano nazionale esiti 2025 dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali (Agenas) disegna una mappa della sanità italiana che conferma un divario territoriale strutturale e persistente, con le eccellenze ospedaliere concentrate quasi esclusivamente nelle regioni del Centro-Nord e una sola struttura del Mezzogiorno in grado di competere ai vertici delle classifiche nazionali. Il report, presentato al ministero della Salute e reso noto nell’arco delle ultime ore, ha analizzato le performance di 1.117 strutture ospedaliere pubbliche e private, valutandole su otto aree cliniche cruciali attraverso un sistema di indicatori di volume, processo ed esito che fotografa con estrema precisione la capacità del sistema di garantire cure appropriate ed efficaci ai cittadini.
Dei 1.117 presidi esaminati, solamente quindici ospedali hanno raggiunto livelli di performance classificati come “alto” o “molto alto” in almeno sei delle otto aree monitorate, rispettando gli standard fissati dal decreto ministeriale del 2015 e dimostrando una qualità dell’assistenza che si colloca ai vertici del sistema sanitario nazionale. Questa ristretta élite rappresenta meno dell’1,5 per cento del totale delle strutture valutate e disegna una geografia dell’eccellenza che traccia confini netti e spietati tra le diverse macroaree del Paese, con conseguenze dirette sulla salute dei pazienti e sulle loro possibilità di accesso a trattamenti di prima classe.
La fotografia che emerge dalle analisi di Agenas è quella di una sanità che migliora nel complesso ma resta fortemente segnata da diseguaglianze territoriali che non si attenuano nel tempo. La Lombardia si conferma la locomotiva del sistema, con ben cinque strutture che ottengono la valutazione massima, seguita dal Veneto con tre ospedali d’eccellenza e dall’Emilia-Romagna con due presidi ai vertici delle classifiche. Toscana, Marche e Umbria contribuiscono ciascuna con un ospedale di primissimo livello, completando il quadro di un Centro-Nord che monopolizza quasi totalmente la qualità delle cure erogate. L’unica eccezione a questo scenario è rappresentata dall’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, che si isola come unica eccellenza riconosciuta nel Mezzogiorno, un faro in un mare di criticità che investe tutto il Sud Italia e le Isole.
I 15 ospedali top d’Italia
- Ospedale Bolognini Lombardia
- Ospedale di Montebelluna Veneto
- Ospedale Bentivoglio Emilia-Romagna
- Ospedale di Città di Castello Umbria
- Ospedale Maggiore di Lodi Lombardia
- Fondazione Poliambulanza Lombardia
- Ospedale Papa Giovanni XXIII Lombardia
- Ist. Clin. Humanitas Lombardia
- Ospedale di Cittadella Veneto
- Ospedale Fidenza Emilia-Romagna
- P.O. F. Lotti Stabilimento di Pontedera Toscana
- Stabilimento Umberto I – G. M. Lancisi Marche
- A.O.U. Federico II di Napoli Campania
- Ospedale di Savigliano Piemonte
- Ospedale di Mestre Veneto
Due strutture si distinguono ulteriormente all’interno di questo ristretto novero: l’Ospedale di Savigliano in Piemonte e l’Ospedale di Mestre nel Veneto hanno ottenuto la valutazione massima in tutte e otto le aree cliniche monitorate, una performance che le colloca su un gradino ancora più alto e le certifica come modelli di riferimento per l’intero sistema sanitario nazionale. Queste due realtà dimostrano come sia possibile raggiungere livelli di eccellenza omogenea su tutti i fronti, dalla cardiologia alla chirurgia oncologica, dalla gestione delle gravidanze a high risk all’assistenza perioperatoria, offrendo una testimonianza concreta di qualità che dovrebbe fungere da spunto per le politiche di riorganizzazione del servizio sanitario.
Le otto aree cliniche prese in considerazione dagli analisti di Agenas per la valutazione delle strutture rappresentano i settori più delicati e complessi della medicina moderna: il comparto cardiocircolatorio, con particolare attenzione alla tempestività dell’angioplastica primaria nell’infarto del miocardio; l’area del sistema nervoso, con indicatori che misurano la qualità dell’assistenza in neurologia e neurochirurgia; la sfera respiratoria, con focus su polmoniti e insufficienze respiratorie acute; la chirurgia generale e quella oncologica, con sette indicatori specifici per i tumori; la gestione della gravidanza e del parto, con particolare riguardo all’appropriatezza dei tagli cesarei; l’area osteomuscolare, con attenzione alla frattura del collo del femore nella popolazione anziana; e infine la nefrologia, con la gestione dell’insufficienza renale cronica e del trattamento dialitico. Su questi parametri, oggettivi e quantificabili, si gioca la capacità del sistema di salvare vite e di garantire una sopravvivenza e una qualità di vita dignitose ai pazienti.
L’altro volto della medaglia del report Agenas è rappresentato dalle quasi duecento strutture che hanno ricevuto una valutazione negativa e sono state di fatto “rimandate” per un processo di revisione e di audit della qualità. Si tratta di 198 ospedali, circa il 20 per cento del totale esaminato, che mostrano livelli di aderenza agli standard di qualità insufficienti e che richiedono interventi migliorativi urgenti per garantire la sicurezza dei pazienti. La distribuzione geografica di queste criticità è ancora più emblematica del divario Nord-Sud: la Campania conduce questa triste classifica con 51 strutture segnalate, seguita dalla Sicilia con 43 ospedali in difficoltà, dalla Puglia con 19 e dalla Calabria con 12. Anche il Lazio registra 19 presidi con performance insufficienti, mentre persino la Lombardia, nonostante le sue eccellenze, non è immune da problemi, con 14 strutture che necessitano di interventi correttivi.
Le criticità maggiori si concentrano in due ambiti specifici che toccano la vita dei cittadini in momenti particolarmente delicati: la gestione della gravidanza e del parto, e l’area cardiocircolatoria. Sul fronte materno-infantile, il 52,7 per cento delle richieste di audit riguarda proprio questo settore, con particolare riferimento alla proporzione di tagli cesarei che resta ancora troppo elevata, soprattutto al Sud dove i valori mediani superano spesso il 25 per cento e arrivano a picchi del 30-35 per cento, ben lontani dagli standard internazionali che indicano come ottimale una percentuale intorno al 15 per cento. Anche la presenza di punti nascita con meno di 500 parti l’anno, nonostante la legge ne disponga la chiusura, continua a essere una realtà in diverse aree del Paese, compromettendo la sicurezza delle madri e dei neonati. Sul fronte cardiovascolare, il 22,1 per cento delle segnalazioni riguarda la tempestività di accesso all’angioplastica primaria, un intervento salvavita che deve essere eseguito entro 90 minuti dall’arrivo in ospedale per massimizzare le possibilità di sopravvivenza del paziente con infarto acuto del miocardio.
I dati positivi che emergono dal report non possono essere completamente oscurati dalle criticità. Gli esiti per le operazioni di frattura del collo del femore negli over 65 sono in miglioramento, con un aumento del numero di interventi eseguiti entro le 48 ore dall’accesso in emergenza, un fattore che incide significativamente sulla mortalità e sulla disabilità dei pazienti anziani. I tagli cesarei, seppure con forti disparità territoriali, mostrano una lenta ma costante riduzione, passando dal 25 per cento del 2015 al 22 per cento del 2024, un dato che testimonia la capacità del sistema di correggere parzialmente alcune distorsioni nell’appropriatezza clinica. La chirurgia oncologica, esaminata attraverso sette indicatori specifici, vede primeggiare soprattutto Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna, ma registra eccellenze anche in Veneto, Liguria, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Campania e Sicilia, dimostrando come la lotta ai tumori possa essere condotta con efficacia anche al di là delle barriere geografiche.
La sfida futura per il Servizio sanitario nazionale sarà quella di tradurre le eccellenze concentrate in alcuni nodi strategici in un modello di assistenza capillare e omogeneo su tutto il territorio, superando il divario Nord-Sud che permane come una ferita aperta nel tessuto sociale del Paese. Il ministro della Salute, presentando i dati, ha sottolineato come siano stati garantiti maggiore qualità e sicurezza delle cure grazie alla concentrazione degli interventi a maggiore complessità in strutture qualificate, ma ha riconosciuto che permane un significativo divario territoriale, soprattutto per gli interventi oncologici complessi come quelli per il tumore del pancreas, dove solo il 28 per cento dei casi viene trattato in centri ad alto volume, e del retto, dove addirittura si registra un peggioramento con le strutture ad alto volume che diminuiscono dal 30 al 22 per cento. Il prossimo passo sarà verificare l’attuazione del decreto ministeriale 77 del 2022, che ha riscritto l’organizzazione delle cure primarie, un’area ancora in gran parte da esplorare ma cruciale per ridurre il gap tra territori e garantire cure appropriate ed efficaci in tutta Italia, dal Piemonte alla Sicilia, dalla Lombardia alla Calabria. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
