Scarica l'App NewsRoom.
Non perderti le ULTIME notizie e le ALLERTA METEO in tempo reale.

Scarica GRATIS

Caldaie, addio ai controlli a casa per 20 milioni di impianti: cosa prevede la bozza di riforma delle ispezioni

Una bozza di decreto propone l’abolizione delle ispezioni fisiche per le caldaie domestiche sotto i 70 kW, sostituendole con controlli documentali a distanza ogni quattro anni.

Una rivoluzione silenziosa ma radicale potrebbe presto investire milioni di famiglie italiane, modificando in profondità le abitudini legate alla manutenzione e alla sicurezza degli impianti di riscaldamento domestico. Al centro del dibattito vi è una bozza del nuovo decreto predisposto dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE), un testo che, se approvato nella sua forma attuale, segnerebbe il superamento definitivo del Dpr 74/2013, la normativa che da oltre un decennio regola l’esercizio, la conduzione, il controllo e la manutenzione degli impianti termici nel nostro Paese. La novità più eclatante, e al contempo più discussa, riguarda l’eliminazione dell’obbligo di ispezione fisica “in situ” per la quasi totalità delle caldaie residenziali, sostituendo le verifiche sul campo con controlli meramente documentali ed eseguiti a distanza.

La fine delle ispezioni domiciliari per gli impianti sotto i 70 kW

Nel dettaglio, l’articolo 8, comma 3 dello schema di decreto prevede l’abolizione delle ispezioni condotte dalle autorità competenti (o dagli organismi delegati) presso le abitazioni private per tutti gli impianti con potenza termica nominale inferiore ai 70 kilowatt. Questa soglia tecnica, apparentemente asettica, racchiude in realtà la vastissima maggioranza del parco impianti italiano: si stima che siano coinvolte circa 20 milioni di caldaie autonome, quelle comunemente installate negli appartamenti e nelle villette di tutto il territorio nazionale. Fino a oggi, il sistema di controlli si è retto su un doppio binario: da un lato la manutenzione ordinaria e il controllo di efficienza energetica affidati ai manutentori privati, dall’altro le ispezioni a campione o programmate da parte degli enti locali (Comuni, Province, Città Metropolitane) per verificare la veridicità delle certificazioni e lo stato di sicurezza degli apparecchi. Con la nuova normativa, questo secondo livello di controllo fisico verrebbe meno, sostituito da una verifica telematica basata esclusivamente sull’analisi dei dati caricati nei Catasti degli Impianti Termici regionali.

Dalla verifica sul campo al controllo documentale: i rischi della “semplificazione”

La ratio del provvedimento risiede nella volontà di semplificare la burocrazia e ridurre i costi a carico della pubblica amministrazione e dei cittadini, puntando sulla digitalizzazione dei processi. Tuttavia, il passaggio da un controllo reale a uno virtuale solleva interrogativi inquietanti sulla reale efficacia del monitoraggio. Le associazioni di categoria, con in testa l’Unione Artigiani di Milano e Monza-Brianza, hanno lanciato un allarme circostanziato: affidare la sicurezza delle case italiane a un controllo “a scrivania” presuppone l’esistenza di database perfetti, aggiornati e interconnessi, una realtà che purtroppo è ancora lontana dall’essere concretizzata in molte aree della penisola. I Catasti regionali, infatti, presentano spesso un funzionamento “a macchia di leopardo”: piattaforme informatiche non comunicanti tra loro, dati incompleti e una scarsa interoperabilità con altre banche dati fondamentali, come quelle dei distributori di gas o dell’anagrafe immobiliare. Eliminare l’occhio umano del tecnico ispettore significa, di fatto, rinunciare a intercettare quelle situazioni di pericolo o di irregolarità che non emergono da un semplice invio telematico di un rapporto tecnico, come ad esempio la presenza di impianti non censiti, installazioni abusive o modifiche strutturali non dichiarate.

La cadenza quadriennale e il passo indietro sulla tutela ambientale

Un altro punto critico della bozza riguarda la frequenza dei controlli di efficienza energetica, il cosiddetto “bollino blu”. Il nuovo testo fisserebbe uno standard nazionale unico, prevedendo un controllo ogni quattro anni per gli impianti domestici a gas. Sebbene il Dpr 74/2013 prevedesse già questa cadenza per i nuovi impianti, molte Regioni virtuose avevano esercitato la propria autonomia legislativa per imporre frequenze più ravvicinate (biennali), specialmente per le caldaie più vetuste o per quelle installate in aree a forte criticità ambientale, come il bacino padano. La nuova normativa limiterebbe drasticamente questa facoltà delle amministrazioni locali, consentendo deroghe alla periodicità quadriennale solo a fronte di motivazioni “robuste” e previo via libera ministeriale. Il rischio concreto è quello di un livellamento verso il basso degli standard di sicurezza e ambientali, vanificando gli sforzi compiuti da territori come la Lombardia, dove i controlli più frequenti hanno contribuito a mantenere sotto controllo le emissioni di ossidi di azoto e polveri sottili derivanti dal riscaldamento civile.

Il paradosso della sicurezza in un parco impianti obsoleto

Ciò che rende la prospettiva di una deregolamentazione particolarmente preoccupante è lo stato di salute del parco caldaie italiano. Secondo le stime più recenti, su 20 milioni di apparecchi installati, almeno 7 milioni hanno più di quindici anni di vita. Si tratta di macchine tecnologicamente superate, spesso prive dei moderni sistemi di sicurezza e di modulazione della fiamma, che necessiterebbero di un’attenzione costante e non di un allentamento della sorveglianza. L’analogia proposta dagli esperti del settore è efficace: sarebbe come decidere di abolire la revisione periodica delle automobili più vecchie proprio mentre si discute di transizione ecologica e sicurezza stradale. La mancata ispezione fisica potrebbe tradursi in un aumento esponenziale dei rischi per l’incolumità domestica: fughe di gas, intossicazioni da monossido di carbonio e incendi sono pericoli che la manutenzione regolare e le ispezioni a campione hanno contribuito a mitigare negli anni. I dati del Comitato Italiano Gas, che registrano ancora oltre un migliaio di incidenti e decine di decessi ogni anno legati all’uso del gas, dovrebbero suggerire prudenza prima di smantellare un sistema di controlli consolidato.

Manutenzione vs Efficienza: fare chiarezza per i cittadini

In questo scenario di incertezza normativa, è fondamentale operare una distinzione chiara per non generare confusione nei cittadini. È necessario ribadire che la “manutenzione ordinaria” dell’apparecchio, finalizzata alla sicurezza e al corretto funzionamento (pulizia del bruciatore, verifica dello scambiatore, controllo delle sicurezze), rimarrà comunque obbligatoria secondo le scadenze indicate dal costruttore della caldaia, che nella maggior parte dei casi prevede una frequenza annuale. Ciò che la bozza del decreto mette in discussione è l’obbligo della verifica burocratica dell’efficienza energetica e, soprattutto, l’attività ispettiva pubblica che funge da deterrente contro l’evasione degli obblighi manutentivi. Il timore è che, venendo meno la “minaccia” dell’ispezione a casa e diluendo nel tempo l’obbligo del bollino, molti cittadini possano sentirsi legittimati a trascurare anche la manutenzione ordinaria, con conseguenze disastrose sia per la sicurezza che per i consumi energetici. Una caldaia non manutenuta, infatti, può consumare fino al 10-15% in più di gas, gravando sulle bollette delle famiglie e vanificando ogni politica di risparmio energetico nazionale.

La reazione del mondo medico e scientifico

Non sono solo gli artigiani a protestare. Anche l’ISDE, l’Associazione Medici per l’Ambiente, ha espresso una ferma condanna verso l’ipotesi di riforma, definendola un passo indietro inaccettabile per la tutela della salute pubblica. In un momento storico in cui la qualità dell’aria nelle nostre città è sotto osservazione speciale da parte dell’Europa e le procedure di infrazione per i superamenti dei limiti di inquinanti si moltiplicano, allentare le maglie sui controlli delle emissioni domestiche appare una scelta contraddittoria. Le caldaie vetuste e mal regolate sono infatti responsabili di una quota significativa delle emissioni di PM10 e NOx nei centri urbani durante la stagione invernale. Rinunciare a un controllo capillare significa accettare implicitamente un peggioramento della qualità dell’aria che respiriamo, sacrificando la salute collettiva sull’altare di una semplificazione amministrativa che rischia di rivelarsi miope e costosa nel lungo periodo. La palla passa ora al Governo e al Ministero, chiamati a valutare se confermare questa linea o accogliere le istanze di chi chiede di non smantellare un presidio fondamentale di sicurezza e civiltà. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!