Delitto di Garlasco, Chiara Poggi forse uccisa perché aveva scoperto un ricatto sessuale

Un latitante condannato per estorsione rivela che Chiara Poggi potrebbe essere stata uccisa per aver scoperto uno scandalo sessuale nel Santuario della Bozzola, collegando l’omicidio del 2007 ai ricatti ai danni di don Gregorio Vitali emersi nel 2014.

Diciotto anni dopo l’omicidio di Chiara Poggi, il caso di Garlasco si arricchisce di una nuova inquietante pista investigativa che potrebbe finalmente fornire un movente al delitto rimasto senza spiegazione. Un latitante condannato per estorsione ha rivelato alla trasmissione “Chi l’ha visto?” che la ventiseienne potrebbe essere stata uccisa per aver scoperto uno scandalo sessuale che coinvolgeva il Santuario della Madonna della Bozzola di Garlasco, lo stesso luogo dove don Gregorio Vitali lanciò il celebre appello all’assassino dopo il delitto del 13 agosto 2007.

La rivelazione, per quanto proveniente da una fonte di dubbia credibilità, getta nuova luce su una vicenda giudiziaria che ha visto la condanna di Alberto Stasi a sedici anni di reclusione in assenza di un movente chiaro e dell’arma del delitto. Secondo quanto emerso dal servizio di Vittorio Romano trasmesso su Rai 3, tutto ruoterebbe attorno a un segreto che la città di Garlasco custodirebbe da diciotto anni, collegato a presunti ricatti sessuali che avrebbero coinvolto l’ambiente ecclesiastico locale. Il latitante, uno dei due rumeni condannati per estorsione nei confronti della diocesi di Vigevano, ha dichiarato telefonicamente: “Ha scoperto tutto e la ragazza ha detto che parla”.

La storia del ricatto sessuale affonda le radici nel giugno 2014, quando nei locali della diocesi di Vigevano si consumò un’operazione sotto copertura che portò all’arresto di due cittadini rumeni. Flavius Alexa Savu, trentatré anni, e Florin Tanasie, ventitreenne, erano stati colti in flagrante mentre tentavano di estorcere duecentocinquantamila euro al promotore di giustizia del Tribunale Diocesano, minacciando di divulgare registrazioni audio a sfondo erotico che coinvolgevano don Gregorio Vitali, all’epoca rettore del Santuario della Madonna della Bozzola. L’operazione era stata orchestrata dai carabinieri di Vigevano, con militari travestiti da preti che avevano organizzato la trappola per catturare i ricattatori.

Don Gregorio Vitali, figura centrale di questa vicenda, non era semplicemente un sacerdote ma rivestiva un ruolo di particolare rilevanza nella comunità religiosa locale. Dal 1991 rettore del Santuario, il religioso era anche esorcista e fondatore di diverse comunità di recupero per giovani in difficoltà, orfani, tossicodipendenti e alcolisti, una delle quali sorgeva proprio accanto al luogo di culto mariano. Era stato proprio don Vitali a pronunciare dall’altare, all’indomani del delitto di Chiara Poggi, il celebre appello al killer: “Mi meraviglio di come riesca a tenere dentro di sé questo macigno”, parole che oggi assumono una valenza diversa alla luce delle nuove rivelazioni.

L’inchiesta del 2014 aveva rivelato un meccanismo di estorsione sofisticato, basato su materiale audio compromettente che i due rumeni sostenevano di possedere insieme a presunti video di “festini” registrati nella camera da letto del religioso. Secondo l’accusa, Savu si vantava di essere “un prostituto gay di alto bordo” e aveva costruito l’estorsione puntando sui comportamenti moralmente disdicevoli dei sacerdoti, che creavano vergogna e paura. L’avvocato Roberto Grittini, che difese i due imputati, ha spiegato che l’inchiesta non nacque da una denuncia diretta, ma da un confidente dei carabinieri di Vigevano che, interpellato nel contesto di un’indagine per rapina, riferì delle anomalie all’interno del Santuario.

Il processo si concluse nel 2018 con la condanna di Flavius Savu a cinque anni e sei mesi di reclusione e di Florin Tanasie a un anno e otto mesi, pene significativamente inferiori alle richieste del pubblico ministero Roberto Valli. Don Gregorio Vitali, parte offesa nel procedimento, ammise un solo rapporto dovuto a “un momento di debolezza” e gli venne proibito di celebrare messa in pubblico. I presunti video compromettenti non furono mai trovati, rimanendo solo le registrazioni audio utilizzate per il ricatto, mentre Savu si trasferì in Austria dal fratello dopo la condanna.

La connessione tra questa vicenda di ricatti sessuali e l’omicidio di Chiara Poggi emerge ora dalle dichiarazioni del latitante, che sostiene come la giovane avesse scoperto il giro di estorsioni e avesse manifestato l’intenzione di rivelare tutto. Questa ipotesi si inserisce in un contesto investigativo che vede al centro Andrea Sempio, amico di Marco Poggi e attuale indagato per concorso in omicidio, la cui impronta digitale sarebbe stata identificata nella villetta del delitto. L’impronta numero 33, inizialmente ritenuta inutile alle indagini nel 2007, è oggi considerata uno dei possibili punti di svolta del caso, anche se Massimo Lovati, avvocato di Sempio, contesta la validità di questa prova definendola “l’ennesima bufala”.

Un elemento che aggiunge complessità alla vicenda è rappresentato dal ruolo dello stesso avvocato Lovati, che nel 2014 assistette alla stipula dei contratti tra Flavius Savu e don Gregorio Vitali, accordi attraverso i quali veniva formalizzato “l’aiuto economico e di solidarietà” della comunità religiosa nei confronti della famiglia del rumeno. Quando venne sentito come persona informata sui fatti per chiarire la natura di quegli accordi, Lovati si avvalse del segreto professionale, rifiutandosi di fornire spiegazioni. Oggi lo stesso legale difende Andrea Sempio nel nuovo filone investigativo, configurando una coincidenza che non è passata inosservata agli inquirenti.

Le indagini attuali si concentrano su diversi elementi precedentemente trascurati, tra cui le analisi del DNA rinvenuto sotto le unghie di Chiara Poggi, che secondo alcuni genetisti porterebbe proprio ad Andrea Sempio, e le telefonate che l’indagato effettuò alla villetta dei Poggi nei giorni precedenti l’omicidio. Trentotto chiamate in otto mesi, di cui diciassette dalla casa Poggi al cellulare di Sempio e solo cinque in direzione opposta, concentrate significativamente nei giorni in cui Marco Poggi era assente per le vacanze estive. Questo pattern comunicativo solleva interrogativi sulla reale natura del rapporto tra Sempio e Chiara, alimentando l’ipotesi che la giovane potesse essere diventata una testimone scomoda.

La pista del ricatto sessuale, per quanto suggestiva, deve essere valutata con estrema cautela considerando la fonte delle rivelazioni e l’assenza di riscontri oggettivi che possano confermare il collegamento tra lo scandalo del Santuario e l’omicidio di Chiara Poggi. Tuttavia, questa nuova ipotesi investigativa potrebbe finalmente fornire quel movente che è sempre mancato al caso di Garlasco, spiegando perché una giovane studentessa sia stata brutalmente uccisa nella propria abitazione in una tranquilla mattina di agosto. Gli inquirenti della Procura di Pavia, coordinati dal procuratore aggiunto Stefano Civardi, stanno ora valutando tutti gli elementi emersi per verificare se esistano connessioni concrete tra i due episodi, mentre l’opinione pubblica attende di conoscere se dopo diciotto anni di misteri sia finalmente possibile scrivere la parola fine su uno dei cold case più discussi della cronaca giudiziaria italiana.