Gelati Sempre più Piccoli ma i Prezzi Salgono: la “shrinkflation” colpisce l’estate italiana

I gelati confezionati italiani subiscono aumenti di prezzo del 29,6% tra 2021-2024 mentre le quantità si riducono per la shrinkflation. Dal 1° ottobre 2025 obbligo di segnalare le riduzioni.

I gelati confezionati italiani stanno attraversando una fase di profonda trasformazione che coinvolge contemporaneamente dimensioni e prezzi, generando un fenomeno economico sempre più evidente agli occhi dei consumatori. La shrinkflation, termine che deriva dalla fusione delle parole inglesi “shrinkage” e “inflation”, rappresenta una strategia commerciale che consiste nella riduzione delle dimensioni o del peso dei prodotti mantenendo invariato o addirittura aumentando il prezzo di vendita. Questo meccanismo, che colpisce trasversalmente numerosissimi settori del largo consumo, ha trovato nei gelati confezionati uno dei suoi campi di applicazione più significativi e visibili.

Secondo i dati emersi dalle rilevazioni condotte dal Centro di formazione e ricerca sui consumi, i prezzi medi del gelato in vaschetta sono aumentati del 29,6% tra il 2021 e il 2024, passando da 4,52 euro al chilogrammo a 5,86 euro al chilogrammo. Questo incremento risulta essere quasi doppio rispetto al tasso di inflazione generale del 15,7% registrato nello stesso periodo. Il fenomeno appare particolarmente preoccupante se si considera che l’aumento dei prezzi si accompagna spesso a una parallela riduzione delle quantità di prodotto contenute nelle confezioni, determinando un doppio danno economico per i consumatori.

L’Osservatorio di Consumatori Attivi ha confermato che i gelati, sia artigianali che confezionati, rappresentano una delle categorie merceologiche più colpite dalla shrinkflation. Come sottolineato dall’avvocato Lina Sguassero dell’organizzazione, il problema fondamentale risiede nel fatto che a fronte di una grammatura diversa, il prezzo rimane sostanzialmente lo stesso o addirittura aumenta. Questa dinamica costringe i consumatori a prestare maggiore attenzione agli aspetti quantitativi dei prodotti che acquistano, sviluppando una consapevolezza critica nei confronti delle strategie commerciali delle aziende produttrici.

Uno degli esempi più emblematici del fenomeno della shrinkflation nel settore dei gelati confezionati è rappresentato dal celebre Magnum Classic, prodotto che ha subito una significativa riduzione di peso nel corso degli anni. Nel 2002 il Magnum Classic costava 1,20 euro e conteneva 86 grammi di prodotto, mentre attualmente lo stesso gelato costa 3 euro ma contiene soltanto 70 grammi, registrando una diminuzione complessiva di 16 grammi. Questo caso dimostra chiaramente come la strategia della shrinkflation si manifesti attraverso una doppia penalizzazione del consumatore: l’aumento del prezzo assoluto accompagnato dalla riduzione del contenuto effettivo.

Altri esempi significativi emergono dall’analisi condotta dal Centro Consumatori di Amburgo sui gelati Milka e Daim commercializzati in Italia. Questi prodotti vengono attualmente venduti in confezioni da tre stecchi da 90 millilitri ciascuno al prezzo di 3,49 euro, mentre in passato la stessa cifra permetteva di acquistare confezioni contenenti quattro stecchi da 100 millilitri l’uno. Il calcolo dell’incremento del prezzo nascosto raggiunge in questo caso il 48%, evidenziando la portata economica del fenomeno per le famiglie italiane.

La strategia della shrinkflation si basa fondamentalmente sull’incapacità dei consumatori di effettuare raffronti immediati tra il prodotto attuale e quello acquistato in precedenza. Gran parte degli acquirenti, almeno al momento dell’acquisto, non riesce a rendersi conto delle variazioni di peso o volume, permettendo alle aziende di implementare questi cambiamenti senza generare reazioni immediate nel mercato. Su questa assenza di contezza e sull’impossibilità di fare confronti diretti si fonda l’efficacia della tecnica della shrinkflation.

Le principali cause alla base dell’incremento dei prezzi e della riduzione delle dimensioni dei gelati confezionati risiedono nell’aumento significativo dei costi delle materie prime utilizzate nella produzione. Il settore della gelateria ha dovuto fronteggiare rincari particolarmente sostenuti per ingredienti fondamentali come latte, nocciole, pistacchi e soprattutto cacao. Quest’ultimo ingrediente rappresenta un caso emblematico: le quotazioni del cacao in borsa hanno registrato un incremento del 358% a partire dal 2023, a causa delle difficili condizioni climatiche verificatesi nei principali paesi produttori come Ghana e Costa d’Avorio, che insieme rappresentano il 60% della produzione mondiale.

Le problematiche climatiche che hanno interessato le zone di coltivazione del cacao, caratterizzate da periodi di grande siccità alternati a piogge intense, hanno lasciato strascichi significativi sulla produzione mondiale, riducendo l’offerta e incrementando inesorabilmente il costo del prodotto finale. A queste difficoltà si sono aggiunte le malattie che colpiscono le piante di cacao, come il “Black Pod” e il virus del “Cacao Swollen Shoot”, che contribuiscono a ridurre ulteriormente la quantità di prodotto immesso sul mercato. Il colpo di grazia deriva dall’aumento generalizzato dei costi di produzione, che coinvolgono manodopera, fertilizzanti e macchinari impiegati nei processi produttivi.

Parallelamente agli incrementi delle materie prime, il settore della gelateria ha dovuto affrontare l’aumento dei costi energetici, che incidono significativamente sui processi di produzione e conservazione. La produzione del gelato richiede macchinari per miscelare, congelare e confezionare che consumano elevate quantità di elettricità e gas. L’aumento dei costi energetici ha reso più gravosa l’operatività di queste apparecchiature, incrementando sensibilmente i costi di produzione. Inoltre, il gelato deve essere conservato a temperature molto basse durante l’intera catena di distribuzione, dal produttore al punto vendita, trasformando l’aumento dei costi energetici in spese più elevate per mantenere i sistemi di refrigerazione.

La risposta normativa e le prospettive future

Il governo italiano ha deciso di intervenire normativamente per contrastare il fenomeno della shrinkflation attraverso l’introduzione di specifici obblighi di trasparenza a carico dei produttori. La Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2023, inizialmente prevista per entrare in vigore il 1° aprile 2025, è stata posticipata al 1° ottobre 2025 dal decreto Milleproroghe. La normativa obbligherà i produttori a informare esplicitamente i consumatori quando riducono la quantità di un prodotto mantenendo lo stesso packaging.

La nuova legislazione prevede che le confezioni che subiscono una riduzione di peso o volume, ma mantengono l’aspetto del precedente imballaggio, dovranno riportare nel campo visivo principale la dicitura: “Questa confezione contiene un prodotto inferiore di X (unità di misura) rispetto alla precedente quantità”. Questa informazione dovrà rimanere visibile per sei mesi dall’immissione in commercio del prodotto modificato. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sta già monitorando il fenomeno, mentre la Commissione parlamentare d’inchiesta sui diritti dei consumatori ha incluso la shrinkflation tra i temi da analizzare.

Il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha sottolineato il ruolo pionieristico dell’Italia in Europa insieme alla Francia nell’affrontare questa problematica, dichiarando che il governo si è mosso immediatamente per porre un freno alla shrinkflation. La Commissione di allerta rapida per la sorveglianza dei prezzi, istituita presso Palazzo Piacentini, ha l’obiettivo principale di tutelare il potere d’acquisto di famiglie e consumatori, garantendo la trasparenza sui cambiamenti di quantità e prezzo dei prodotti del carrello della spesa. Questa misura mira a garantire una scelta d’acquisto consapevole da parte dei consumatori, evitando che la riduzione della quantità passi inosservata e permettendo ai cittadini di valutare con maggiore chiarezza il rapporto tra prezzo e quantità.