I genitori gli tolgono lo smartphone, 15enne ricoverato in astinenza: “come per la droga”

Un adolescente torinese è stato ricoverato in ospedale con sintomi di astinenza dopo che i genitori gli avevano tolto lo smartphone, evidenziando l’emergere della nomofobia come dipendenza equiparabile alle sostanze d’abuso.

Un episodio senza precedenti ha scosso il panorama sanitario torinese quando un adolescente di quindici anni è stato ricoverato presso l’ospedale San Luigi di Orbassano in preda a una grave crisi d’astinenza, manifestando sintomi identici a quelli di una persona in carenza di sostanze stupefacenti. La peculiarità del caso risiede nel fatto che l’elemento scatenante non era alcuna droga tradizionale, bensì la privazione del proprio smartphone, sottratto dai genitori esasperati dall’uso compulsivo che il figlio ne faceva quotidianamente.

Il professor Gianluca Rosso, medico chirurgo specialista in psichiatria e docente associato presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università degli Studi di Torino, che era di guardia quella sera, ha descritto con precisione clinica la drammaticità della situazione. “Quando è arrivato in pronto soccorso presentava esattamente gli stessi sintomi di una persona in crisi di astinenza da sostanze. Peccato che, a mancargli in modo psicotropo, fosse lo smartphone”, ha dichiarato il medico, sottolineando come il ragazzo si trovasse in uno stato di agitazione psicomotoria severa che ha richiesto immediate terapie ansiolitiche intramuscolari ed endovenose. L’intervento dei genitori, seppur comprensibile di fronte a un uso eccessivo del dispositivo, aveva innescato una reazione paragonabile nei fatti a quella di un tossicodipendente privato della propria sostanza d’abuso.

Il fenomeno che ha colpito il giovane torinese si inquadra perfettamente in quello che gli esperti definiscono “nomofobia”, termine coniato nel 2008 che deriva dall’acronimo “no mobile phone phobia” e descrive la paura irrazionale di rimanere senza il proprio dispositivo mobile. Questa condizione psicologica non è ancora formalmente riconosciuta nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali DSM-5, tuttavia presenta caratteristiche comportamentali e sintomatologiche del tutto analoghe alle dipendenze tradizionali. Gli individui affetti da nomofobia sviluppano un legame compulsivo con il proprio smartphone che va ben oltre il normale utilizzo funzionale, trasformando il dispositivo in una necessità psicologica imprescindibile dalla quale diventa impossibile separarsi senza sperimentare ansia, panico e agitazione.

Le ricerche scientifiche più recenti confermano l’allarmante diffusione di questo disturbo tra le giovani generazioni, con dati che delineano un quadro particolarmente preoccupante. Secondo uno studio finlandese pubblicato sulla rivista Archives of Disease in Childhood, gli adolescenti trascorrono mediamente 5,8 ore al giorno con lo smartphone in mano, dedicando 3,9 ore specificamente ai social media. Il 17% delle ragazze coinvolte nella ricerca è risultato probabilmente dipendente dai social media e a rischio di sviluppare disturbi mentali, mentre alcune arrivano a prendere in mano il telefono fino a 115 volte al giorno. In Italia, la situazione non appare meno critica: sette adolescenti su dieci possiedono uno smartphone prima degli undici anni e sono quasi 100.000 i ragazzi che presentano caratteristiche compatibili con la dipendenza.

L’aspetto più inquietante emerso dalle analisi neurobiologiche è rappresentato dalla sostanziale equivalenza tra la dipendenza da smartphone e quella da sostanze tradizionalmente considerate d’abuso. Il professor Rosso ha spiegato come “l’utilizzo dello smartphone crea un legame con l’oggetto molto simile a quello ottenuto da altre sostanze d’abuso come alcol, sigarette e stupefacenti”, evidenziando che tutti questi elementi agiscono stimolando costantemente il sistema dopaminergico cerebrale. Uno studio tedesco condotto dalle Università di Heidelberg e Colonia, pubblicato sulla rivista Computers in Human Behavior, ha dimostrato scientificamente che bastano solamente tre giorni di astinenza per rimodellare l’attività cerebrale, con evidenti cambiamenti nelle aree collegate alle voglie e ai meccanismi di ricompensa. Quando ai partecipanti venivano mostrate immagini di smartphone, si osservavano puntualmente incrementi di attività nelle zone cerebrali associate alla dipendenza.

La sintomatologia della nomofobia si manifesta attraverso un ventaglio di comportamenti disfunzionali che interferiscono significativamente con la vita quotidiana degli individui colpiti. Gli esperti hanno identificato diversi indicatori caratteristici: l’impossibilità fisica di resistere senza avere il dispositivo nelle vicinanze, l’uso compulsivo che sottrae tempo ad attività importanti, l’ansia incontrollabile quando non si può accedere al telefono, e la dipendenza emotiva dalle notifiche e dalle interazioni virtuali. Secondo una ricerca dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza condotta su 11.500 ragazzi, il 15% degli adolescenti trascorre più di dieci ore al giorno attaccato allo smartphone, con una prevalenza del 73% tra le ragazze. Particolarmente allarmante è il fenomeno del “vamping”, ovvero l’abitudine di rimanere svegli fino a notte fonda per controllare i profili social, che colpisce il 62% degli adolescenti e compromette gravemente la qualità del sonno.

Le conseguenze sulla salute mentale e fisica dei giovani risultano molteplici e interconnesse, configurando un quadro clinico complesso che richiede un approccio terapeutico specializzato. L’uso smodato dello smartphone genera insonnia, ansia da prestazione sociale, riduzione delle capacità di concentrazione e deterioramento delle relazioni interpersonali reali. Una ricerca condotta da Changes Unipol su 1.518 persone ha rivelato che il 90% dei giovani tra i 16 e i 35 anni sviluppa abitudini controproducenti legate all’uso del dispositivo: il 57% utilizza lo smartphone fino a tarda notte con conseguente perdita di sonno, il 50% sperimenta ansia da mancanza di connessione, il 40% preferisce le interazioni online a quelle faccia a faccia, e il 30% riscontra una diminuzione delle prestazioni scolastiche o lavorative. L’aspetto paradossale è rappresentato dalla consapevolezza: l’81% degli under 35 riconosce la propria dipendenza, ma solo una minoranza riesce effettivamente a ridurre l’utilizzo del dispositivo.

Il trattamento della nomofobia richiede un approccio multidisciplinare che combina interventi psicoterapeutici, educativi e comportamentali. Gli specialisti utilizzano principalmente la terapia cognitivo-comportamentale, l’educazione sulla gestione dello stress, la terapia di esposizione graduale e il supporto di gruppo per aiutare i pazienti a ristabilire un rapporto equilibrato con la tecnologia. Fondamentale risulta l’implementazione di strategie di autogestione che includono l’impostazione di limiti temporali per l’uso dei social media, la creazione di attività alternative offline e lo sviluppo di competenze per affrontare l’ansia da disconnessione. Il caso del quindicenne torinese rappresenta un campanello d’allarme che evidenzia l’urgenza di sviluppare protocolli di prevenzione e intervento specifici per questa nuova forma di dipendenza, che sta assumendo proporzioni epidemiche tra le giovani generazioni e richiede un riconoscimento formale da parte della comunità medica internazionale.