La Suprema Corte di Cassazione ha generato un vero e proprio cortocircuito giuridico con due ordinanze gemelle che rischiano di trasformare ogni contestazione di multa da autovelox in un percorso a ostacoli per gli automobilisti italiani. Due pronunciamenti, firmati nello stesso giorno dalla stessa sezione e con il medesimo relatore, disegnano scenari processuali radicalmente diversi, creando una situazione di incertezza senza precedenti in un settore già devastato da trentatre anni di vuoto normativo.
La sentenza 13996/2025 riafferma il principio ormai consolidato secondo cui l’assenza di omologazione dell’autovelox è sufficiente per annullare la multa, confermando l’orientamento giurisprudenziale seguito dalla Cassazione dal 2024. Tuttavia, la sentenza 13997/2025, emessa nelle stesse ore, introduce un requisito aggiuntivo che stravolge completamente le procedure: quando il verbale contiene false attestazioni sull’omologazione del dispositivo, il cittadino deve proporre una querela di falso contro chi ha redatto il verbale, oltre al normale ricorso per contestare la sanzione.
Il professor Mauro Renna, ordinario di diritto amministrativo all’Università Cattolica di Milano, spiega la portata di questa novità: “La Corte, da un lato, ribadisce che serve non solo l’approvazione, ma anche l’omologazione degli autovelox ai fini della validità delle sanzioni. Tuttavia, in presenza di verbali con false attestazioni, costringe i sanzionati a proporre ben due giudizi, peraltro dall’esito positivo sicuro, dato che è falso che gli autovelox possano essere stati omologati secondo quanto previsto dalla legge”. Si tratta di un aggravio sproporzionato che va a colpire il cittadino per un’inadempienza originata dallo Stato stesso.
La questione affonda le radici in un dato di fatto incontrovertibile: nessun autovelox in Italia è formalmente omologato. Come conferma il professor Renna, “che gli autovelox in Italia non siano stati omologati secondo quanto previsto dagli articoli 45, comma 6, e 142, comma 6, del Codice della Strada è un fatto notorio e incontrovertibile”. Il problema nasce da un vuoto normativo di trentatré anni: il decreto ministeriale che dovrebbe stabilire i criteri per l’omologazione non è mai stato adottato, lasciando l’intero sistema in una situazione di precarietà giuridica.
Questa lacuna legislativa ha creato una situazione paradossale in cui gli apparecchi di rilevamento della velocità vengono utilizzati quotidianamente dalle forze dell’ordine e dalle amministrazioni comunali, pur non avendo mai ricevuto la necessaria omologazione tecnica. La distinzione tra approvazione e omologazione, chiarita dalla Cassazione nel 2024, ha evidenziato come la semplice approvazione ministeriale non sia sufficiente a garantire la validità legale delle sanzioni emesse.
Il meccanismo introdotto dalla sentenza 13997/2025 si rivela particolarmente perverso per i cittadini. Quando il verbale della polizia municipale o stradale dichiara che l’autovelox è omologato, quella dichiarazione acquisisce fede privilegiata. Per smentirla, il cittadino deve intentare una querela di falso, un’azione legale complessa e onerosa, prima di poter contestare la multa nel merito. La discriminante fondamentale diventa quindi il contenuto del verbale: se non compare la parola “omologato” basta il semplice ricorso per ottenere l’annullamento, mentre se al contrario sul verbale si attesta l’omologazione dell’autovelox bisogna presentare denuncia per falso.
Le reazioni del mondo operativo non si sono fatte attendere. Giordano Biserni, presidente dell’Associazione Amici della Polizia Stradale, non usa mezzi termini: “Se è così, basta. Spegniamo tutto. Non si può aspettare che i comandanti della Stradale o della Municipale vengano condannati perché da trentatré anni manca un decreto ministeriale”. Anche Luigi Altamura, comandante della Polizia Locale di Verona e referente Anci in Viabilità Italia, ha già preso contromisure preventive: “Io ho già fatto eliminare dai nostri verbali la dizione ‘omologato’, ma siamo tutti sospesi perché continua a mancare il decreto ministeriale e così ogni nostra multa può essere sconfessata dai giudici”.
La situazione assume contorni ancora più preoccupanti considerando le implicazioni economiche per la pubblica amministrazione. Il Codacons ha messo in guardia sui possibili danni erariali: “I cittadini che per contestare la sanzione dovranno affrontare spese di giudizio, potranno rivalersi sulla pubblica amministrazione e chiedere il rimborso dei costi sostenuti, essendo evidente l’omissione in materia da parte dello Stato”. Il presidente Carlo Rienzi aggiunge che questa situazione “genererebbe danni erariali enormi e aprirebbe la strada all’intervento della Corte dei Conti”.
Il panorama giurisprudenziale sta già mostrando i primi segni di frammentazione. Diverse decisioni di giudici di pace stanno prendendo orientamenti differenti, come evidenziato dal caso di Prato dove due giudici hanno emesso sentenze diametralmente opposte su ricorsi simili. Questa incertezza interpretativa rischia di generare disparità di trattamento tra cittadini che si trovano nella medesima situazione giuridica, minando il principio di uguaglianza davanti alla legge.
Il governo aveva tentato di risolvere la questione preparando una bozza di decreto sul tema autovelox, inviata a Bruxelles per la notifica europea, ma il documento è stato ritirato dopo le polemiche seguite all’anticipazione giornalistica. La senatrice Raffaella Paita di Italia Viva ha denunciato che “da oltre due anni si susseguono annunci sull’adozione dei decreti attuativi in materia”, evidenziando come la situazione sia “paradossale, visto che il tema è allo studio del MIT da almeno due anni”.
Dal 12 giugno 2025 entrerà in vigore un nuovo decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che introduce disposizioni sulla collocazione e l’uso degli autovelox, ma le nuove normative si limitano perlopiù a ribadire concetti già previsti dalle regole vigenti senza risolvere la questione fondamentale dell’omologazione. Il decreto prevede l’obbligo di omologazione tecnica dei dispositivi, distanze minime tra le postazioni e il parere obbligatorio del prefetto per individuare i tratti stradali da monitorare, ma resta da chiarire come questi principi si concilieranno con il vuoto normativo esistente.
La doppia sentenza della Cassazione ha trasformato un sistema già fragile in un labirinto procedurale che penalizza i cittadini per inadempimenti statali. Mentre si attende da oltre tre decenni una soluzione definitiva, il sistema dei controlli sulla velocità si sgretola giorno dopo giorno, vittima di un paradosso normativo che sembra non avere fine. La contraddizione tra le due ordinanze gemelle della Suprema Corte evidenzia come anche la giurisprudenza di legittimità stia faticando a trovare un equilibrio tra esigenze di legalità e necessità operative del controllo stradale.
La questione degli autovelox rappresenta ormai un caso di scuola sui rischi derivanti dall’inerzia legislativa prolungata nel tempo. Trentré anni di attesa per un decreto ministeriale hanno creato una situazione in cui le strade italiane continuano a mietere vittime mentre il sistema sanzionatorio si paralizza per questioni formali che avrebbero potuto essere risolte decenni fa. La legalità vale per tutti, anche per lo Stato, ma il prezzo di questa inadempienza viene pagato dai cittadini costretti a percorsi giudiziari onerosi per far valere diritti che dovrebbero essere garantiti dalla corretta applicazione delle norme.