Quanto sono costati i Referendum dell’8, 9 giugno? Analisi dei costi reali

Analisi dettagliata dei costi reali dei referendum 2025: 88,33 milioni di euro secondo i documenti ufficiali, contro le stime gonfiate di 300-400 milioni circolate sui media.

La consultazione referendaria dell’8 e 9 giugno 2025 sui cinque quesiti riguardanti lavoro e cittadinanza ha generato un acceso dibattito non soltanto sui contenuti delle proposte, ma anche sui costi effettivi dell’operazione elettorale. Mentre sui social network e su alcuni organi di informazione circolano cifre spesso gonfiate e imprecise, i documenti ufficiali del Ministero dell’Interno e del Governo forniscono una panoramica dettagliata e verificabile delle spese sostenute dallo Stato per l’organizzazione di questa consultazione democratica.

Secondo la relazione tecnica che accompagna il decreto legislativo per l’organizzazione delle consultazioni elettorali e referendarie, gli oneri complessivi per lo svolgimento dei referendum abrogativi nel 2025 ammontano a 90,19 milioni di euro nel caso di svolgimento in date separate dalle elezioni amministrative. Tuttavia, poiché il Governo ha deciso di far coincidere i referendum con il turno di ballottaggio delle elezioni amministrative nelle regioni a statuto ordinario e in Sicilia, nonché con il primo turno delle elezioni amministrative in Sardegna, i costi effettivi si riducono a 88,33 milioni di euro, generando un risparmio di 1,85 milioni di euro per le casse pubbliche.

Questa cifra ufficiale si discosta notevolmente dalle stime diffuse da alcuni mezzi di comunicazione, che hanno parlato di costi compresi tra i 300 e i 400 milioni di euro, paragondandoli erroneamente a quelli delle elezioni politiche nazionali. Tale confronto risulta improprio poiché le elezioni politiche comportano una mobilitazione molto più ampia del corpo elettorale e richiedono procedure organizzative differenti, inclusa la gestione di candidature multiple e scrutini più complessi. La macchina referendaria, pur coinvolgendo tutte le 61.557 sezioni elettorali ordinarie e i 1.492 seggi speciali distribuiti sul territorio nazionale, presenta una struttura organizzativa più snella e costi unitari inferiori.

L’analisi dei costi per singola sezione elettorale, come emerge dalla documentazione ministeriale, rivela che ogni ufficio elettorale di sezione comporta una spesa di 1.030 euro per i cinque referendum abrogativi, mentre il costo per le elezioni amministrative si attesta a 750 euro per sezione. Nel caso di contestualità tra referendum e amministrative, il costo cumulativo raggiunge 1.322 euro per sezione, evidenziando come l’abbinamento delle consultazioni generi economie di scala significative. I seggi speciali, utilizzati principalmente per il voto domiciliare e ospedaliero, presentano costi unitari inferiori, pari a 185 euro per il referendum e 212 euro per le elezioni amministrative, riflettendo la minore complessità organizzativa di queste strutture.

Una componente rilevante del budget complessivo è rappresentata dai compensi per i membri dei seggi elettorali, stabiliti dal Ministero dell’Interno con la circolare numero 41 del 2025. I presidenti dei seggi ordinari ricevono un compenso forfettario di 262 euro per la gestione dei cinque referendum, mentre scrutatori e segretari percepiscono 192 euro ciascuno. Questi importi, esenti da ritenute fiscali e non cumulabili con altri trattamenti retributivi, includono una quota fissa di base più maggiorazioni specifiche per ogni scheda referendaria oltre la prima. Nel caso di seggi speciali, i compensi si riducono rispettivamente a 79 euro per i presidenti e 53 euro per scrutatori e segretari, considerando il minor carico di lavoro associato a queste postazioni.

Il sistema di finanziamento delle consultazioni referendarie prevede che lo Stato rimborsi ai Comuni le spese sostenute secondo parametri prestabiliti e vincolanti. Il Ministero dell’Interno ha chiarito che l’importo massimo delle spese rimborsabili a ciascun ente locale viene determinato tramite decreto ministeriale nei limiti delle assegnazioni di bilancio, applicando criteri proporzionali basati per il 40% sul numero di sezioni elettorali e per il 60% sul numero di elettori, con una maggiorazione del 40% per i Comuni con massimo tre sezioni elettorali. Questa metodologia garantisce una distribuzione equa delle risorse pur mantenendo un controllo rigoroso sui costi complessivi.

Un aspetto spesso trascurato nel dibattito sui costi riguarda i rimborsi previsti per i comitati promotori dei referendum. La normativa vigente, disciplinata dall’articolo 1 comma 4 della legge 157 del 1999, stabilisce un rimborso di un euro per ogni firma valida raccolta, fino a un tetto massimo annuo di 2.582.285 euro per il 2025. Questo meccanismo, finalizzato a compensare parzialmente le spese sostenute durante la fase di raccolta firme e promozione, viene attivato soltanto se almeno uno dei quesiti raggiunge il quorum del 50% più uno degli aventi diritto. Nel caso specifico dei referendum del 2025, considerando che sono stati presentati cinque quesiti con milioni di firme raccolte, i promotori potrebbero teoricamente accedere all’intero importo massimo previsto, purché venga superata la soglia di partecipazione richiesta.

Le amministrazioni comunali si trovano ad affrontare una particolare sfida finanziaria legata all’incertezza sui rimborsi statali. Il Ministero dell’Interno, attraverso la circolare 54 del 2022, ha evidenziato come i Comuni debbano sostenere anticipatamente le spese organizzative in attesa di conoscere l’ammontare definitivo delle risorse stanziate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Questa situazione ha portato il Dicastero a raccomandare agli enti locali di contenere le spese nei limiti strettamente indispensabili, poiché eventuali eccedenze rispetto all’importo massimo assegnabile resterebbero a carico dei bilanci comunali, creando potenziali difficoltà finanziarie soprattutto per i Comuni più piccoli.

La gestione dei costi referendari deve essere inoltre contestualizzata nel quadro delle agevolazioni e dei servizi accessori previsti dalla normativa. Gli elettori residenti all’estero che si trovano in Stati con cui l’Italia non intrattiene relazioni diplomatiche o dove la situazione politica non garantisce condizioni sicure per il voto per corrispondenza hanno diritto al rimborso del 75% del costo del biglietto di viaggio per recarsi in Italia a votare. Questo beneficio, disciplinato dalla legge 459 del 2001 e dal decreto presidenziale 104 del 2003, rappresenta un costo aggiuntivo per lo Stato che tuttavia garantisce l’esercizio del diritto di voto anche in circostanze particolarmente difficili.

In conclusione, l’analisi dei documenti ufficiali dimostra come i costi effettivi dei referendum dell’8 e 9 giugno 2025 si attestino su cifre significativamente inferiori rispetto a quelle circolate nella disinformazione online. Gli 88,33 milioni di euro stimati dal Governo per la consultazione referendaria in abbinamento con le elezioni amministrative rappresentano un investimento democratico proporzionato all’importanza costituzionale dell’istituto referendario, mentre le economie di scala generate dall’abbinamento delle consultazioni evidenziano una gestione oculata delle risorse pubbliche in un momento di particolare attenzione ai conti dello Stato.