La prima rilevazione dell’affluenza per i referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno 2025 fotografa una partecipazione estremamente contenuta, con appena il 7,4% degli aventi diritto che si è recato alle urne entro le ore 12 della prima giornata di votazioni. Il dato, pur omogeneo tra i cinque quesiti sottoposti al voto popolare, evidenzia una tendenza preoccupante per il raggiungimento del quorum necessario alla validità della consultazione referendaria, fissato al 50% più uno degli elettori.
Il primo quesito, che ha registrato un’affluenza del 7,41%, riguarda l’abrogazione del contratto di lavoro a tutele crescenti introdotto dal Jobs Act. La proposta mira a cancellare la disciplina del decreto legislativo 23/2015 che, per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, limita il reintegro in caso di licenziamento illegittimo nelle imprese con più di 15 dipendenti. Attualmente questi lavoratori hanno diritto solamente a un’indennità economica, perdendo la possibilità di tornare fisicamente al proprio posto di lavoro, salvo casi eccezionali come discriminazione o nullità del licenziamento. L’obiettivo del quesito è ripristinare la possibilità di reintegrazione completa del lavoratore nel suo ruolo originario, abolendo una delle principali innovazioni della riforma del mercato del lavoro voluta dal governo Renzi.
Il secondo quesito, con un’affluenza identica del 7,41%, si concentra sulle piccole imprese e propone l’eliminazione del limite massimo di sei mensilità come indennità per licenziamenti illegittimi nelle aziende con meno di 16 dipendenti. La normativa attuale stabilisce che il risarcimento per un licenziamento senza giusta causa non possa superare le sei mensilità di retribuzione, una limitazione che i promotori del referendum considerano insufficiente a tutelare adeguatamente i diritti dei lavoratori delle microimprese. L’abrogazione di questa disposizione consentirebbe ai giudici di determinare l’importo dell’indennità senza vincoli predefiniti, potenzialmente aumentando le tutele economiche per i dipendenti delle piccole realtà imprenditoriali che, secondo i sostenitori del sì, attualmente godono di protezioni inferiori rispetto ai colleghi delle grandi aziende.
Il terzo quesito, che ha fatto registrare un’affluenza del 7,42%, affronta la questione dei contratti a termine e mira a reintrodurre l’obbligo di causale specifica per tutti i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato. Attualmente la legislazione stabilisce che serve una motivazione oggettiva solamente per i contratti che superano i 12 mesi di durata, mentre quelli inferiori all’anno possono essere stipulati liberamente senza necessità di giustificare le ragioni dell’assunzione temporanea. Il referendum propone l’abrogazione parziale dell’articolo 19 del decreto legislativo 81/2015, con l’obiettivo di estendere l’obbligo di causale anche ai contratti brevi, costringendo i datori di lavoro a specificare le esigenze tecniche, organizzative o produttive che rendono necessaria l’assunzione a termine piuttosto che quella a tempo indeterminato.
Il quarto quesito, anch’esso con un’affluenza del 7,42%, interviene sulla delicata materia della sicurezza sul lavoro e della responsabilità negli appalti. La proposta referendaria chiede l’abrogazione della norma che esclude la responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per gli infortuni derivanti da rischi specifici dell’attività delle imprese appaltatrici. Attualmente la legge stabilisce che se un lavoratore di una ditta subappaltatrice subisce un incidente durante lo svolgimento di attività caratteristiche della propria impresa, la responsabilità non si estende automaticamente al committente principale. I promotori del referendum sostengono che questa limitazione favorisce il ricorso ad appaltatori privi di solidità finanziaria e spesso non in regola con le norme antinfortunistiche, mentre l’estensione della responsabilità a tutti i soggetti della catena di appalto garantirebbe maggiore attenzione alla sicurezza e scoraggerebbe pratiche di dumping sociale.
Il quinto quesito, con un’affluenza del 7,42%, riguarda la cittadinanza italiana e propone il dimezzamento da 10 a 5 anni del periodo di residenza legale richiesto agli stranieri extracomunitari maggiorenni per richiedere la naturalizzazione. La modifica interesserebbe l’articolo 9 della legge 91/1992, ripristinando un requisito temporale che era rimasto invariato dal 1865 fino al 1992, quando venne innalzato ai dieci anni attuali. Secondo i promotori, questa riforma riguarderebbe circa 2,5 milioni di persone attualmente presenti in Italia e consentirebbe un accesso più rapido alla cittadinanza mantenendo inalterati tutti gli altri requisiti previsti dalla normativa, come la conoscenza della lingua italiana, la disponibilità di un reddito adeguato e l’assenza di condanne penali per determinati reati.
Il confronto con i precedenti referendum evidenzia la criticità della situazione attuale: nel 2011, quando si raggiunse il quorum con un’affluenza finale del 57%, alle ore 12 del primo giorno aveva già votato l’11,6% degli elettori. La differenza di oltre quattro punti percentuali rispetto alla consultazione odierna suggerisce concrete difficoltà nel superare la soglia di validità del 50% più uno. Anche rispetto al referendum del 2022 sulla giustizia, che fallì con un’affluenza finale del 20,4%, il dato attuale appare preoccupante, considerando che in quell’occasione alle 12 aveva votato il 6,7% degli aventi diritto.
La distribuzione geografica del voto evidenzia notevoli disparità territoriali, con l’Emilia-Romagna che guida la classifica della partecipazione al 10,9%, seguita dalla Toscana al 10,31%. All’opposto della classifica si collocano la Sicilia con il 4,55% e la Calabria con il 4,41% di affluenza. Particolarmente significativa risulta la performance delle province emiliane, con Bologna che tocca il 14,3% e Reggio Emilia il 13%, mentre alcuni comuni storicamente attivi come Fabbrico raggiungono punte del 18,4% di partecipazione.
Le polemiche non sono mancate durante questa prima fase della consultazione, con segnalazioni di irregolarità procedurali in alcuni seggi romani dove il personale avrebbe impropriamente chiesto agli elettori di specificare quali schede intendessero ritirare. Il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte ha raccolto diverse testimonianze di cittadini sollecitati preventivamente a scegliere i quesiti, definendo questo comportamento “improprio” e lesivo della libertà di espressione dell’elettore. La questione assume particolare rilevanza considerando che i votanti possono scegliere di partecipare solo ad alcuni dei cinque referendum, influenzando così selettivamente il raggiungimento del quorum per i diversi quesiti.