Egitto, Bloccati al Cairo due attivisti Pro Pal di Torino

Due studenti della scuola Holden, Andrea Usala e Vittoria Antonioli Arduini, fermati dalle autorità egiziane mentre tentavano di raggiungere la Global March to Gaza per chiedere l’apertura di corridoi umanitari verso la Striscia.

Due giovani attivisti torinesi, membri del movimento pro-palestinese, sono stati fermati dalle autorità egiziane all’aeroporto del Cairo mentre tentavano di partecipare alla Global March to Gaza, iniziativa internazionale volta a raggiungere il valico di Rafah per chiedere l’apertura di corridoi umanitari verso la Striscia di Gaza. Andrea Usala, 25 anni, e Vittoria Antonioli Arduini, 21 anni, entrambi studenti della prestigiosa scuola Holden di Torino, sono stati bloccati all’alba del 12 giugno 2025 durante i controlli di frontiera egiziani.

I due attivisti facevano parte del gruppo che dal 19 maggio aveva allestito un presidio permanente in piazza Castello, ribattezzata simbolicamente “piazza Palestina”, per denunciare quella che definiscono “una strage sotto gli occhi del mondo intero”. La loro partenza era stata annunciata con una dichiarazione di intenti inequivocabile: “Non possiamo continuare a stare in silenzio di fronte al genocidio a Gaza. Dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo fermarlo”.

Secondo le prime ricostruzioni fornite dai compagni rimasti a Torino, Vittoria sarebbe già in fase di rimpatrio, mentre la situazione di Andrea risulta ancora incerta, con notizie frammentarie che confermano solamente il suo arrivo al Cairo senza ulteriori dettagli sulla sua condizione attuale. Le autorità egiziane hanno adottato misure restrittive sistematiche nei confronti dei partecipanti alla manifestazione internazionale, impedendo loro di raggiungere il valico di Rafah, punto strategico per l’eventuale invio di aiuti umanitari e per la sensibilizzazione dell’opinione pubblica mondiale.

La Global March to Gaza rappresenta una delle più significative mobilitazioni umanitarie internazionali degli ultimi anni, con migliaia di attivisti provenienti da oltre cinquanta paesi che convergevano verso l’Egitto con l’obiettivo dichiarato di marciare per undici chilometri al giorno attraverso il deserto del Sinai fino al valico di Rafah. L’iniziativa, nata dal basso senza il supporto di organizzazioni ufficiali, coinvolgeva cittadini comuni, medici, cooperanti, giornalisti e attivisti accomunati dalla volontà di “fare pressione sul governo egiziano per aprire corridoi umanitari e permettere l’ingresso di beni essenziali nella Striscia di Gaza”.

Il blocco sistematico degli attivisti internazionali non ha colpito solamente i due giovani torinesi, ma si è configurato come un’operazione coordinata che ha interessato centinaia di persone provenienti da tutta Europa e dal Nord Africa. Presso l’aeroporto internazionale del Cairo, a partire dalla serata dell’11 giugno, chiunque arrivasse da scali internazionali europei è stato sottoposto a interrogatori, fermi e in numerosi casi a rimpatri immediati. Le autorità egiziane hanno sequestrato passaporti e telefoni, mantenendo gli attivisti bloccati per ore nelle strutture aeroportuali prima di procedere alle espulsioni.

La decisione delle autorità egiziane di bloccare la marcia internazionale si inserisce in un contesto geopolitico complesso, caratterizzato dalle pressioni diplomatiche israeliane. Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz aveva infatti dichiarato pubblicamente l’11 giugno di aspettarsi che l’Egitto “impedisse ai manifestanti jihadisti di avvicinarsi a Rafah”, definendo la marcia una “provocazione” e “un pericolo per i soldati israeliani”. Il giorno successivo, il Cairo ha risposto con una retata sistematica che ha coinvolto attivisti algerini, marocchini, francesi, tunisini e italiani.

Tra le testimonianze più significative emerge quella di Antonietta Chiodo, fotoreporter di guerra e referente italiana della Global March to Gaza, che in un video diffuso dai canali social dell’organizzazione ha denunciato: “Molti sono stati già deportati e questo è assolutamente inaccettabile. Tutti gli occidentali vengono deportati. È una violazione del diritto internazionale”. Chiodo, con vent’anni di esperienza come reporter nei territori palestinesi occupati, aveva guidato la delegazione italiana composta da circa duecento persone.

Il coordinamento egiziano dell’operazione di blocco ha interessato anche il convoglio terrestre “Al-Samoud” (resilienza), partito il 9 giugno dalla Tunisia con oltre mille attivisti del Maghreb, rimasto intrappolato in Libia dopo l’accoglienza popolare ricevuta a Tripoli, Misurata e Bengasi. Il convoglio, pensato come un ponte umano tra l’Africa e Gaza, non ha mai avuto una reale possibilità di attraversare il valico di Sallum per unirsi alla marcia al Cairo, trovandosi davanti ostacoli burocratici insurmontabili e l’assenza di qualsiasi risposta ufficiale da parte delle autorità egiziane.

La mobilitazione torinese si inserisce in un contesto di attivismo pro-palestinese particolarmente vivace nel capoluogo piemontese, dove il movimento “Torino per Gaza” ha organizzato negli ultimi mesi diverse manifestazioni di solidarietà. Il 6 giugno, un corteo con alcune centinaia di persone aveva attraversato le vie del centro per chiedere la sospensione dell’accordo di collaborazione militare tra Italia e Israele, mentre il 17 maggio manifestanti pro-Palestina avevano bloccato lo svincolo della superstrada per l’aeroporto di Torino Caselle durante una mobilitazione che aveva coinvolto un migliaio di partecipanti.

Il presidio permanente in piazza Castello, mantenuto dai compagni di Andrea e Vittoria, continua le attività di sensibilizzazione attraverso dibattiti, assemblee pubbliche e momenti di informazione. Gli attivisti rimasti a Torino hanno dichiarato che il fermo dei due giovani non farà altro che rafforzare il senso della loro mobilitazione: “Siamo qui per dare voce a chi non ce l’ha. E non ci fermeremo”. L’episodio riaccende il dibattito sulla libertà di movimento e sulla gestione dei confini internazionali nei confronti di manifestazioni politiche pacifiche.

La Global March to Gaza rappresentava un tentativo coordinato di diplomazia popolare, con l’obiettivo di “chiedere l’immediata fine delle ostilità, l’ingresso degli aiuti e il rispetto dei diritti umani” nella Striscia di Gaza. L’iniziativa prevedeva un approccio multidirezionale, con attivisti che convergevano verso Rafah via terra, via cielo e via mare, coordinandosi con la Freedom Flotilla, la missione navale umanitaria che nei giorni precedenti era stata intercettata dalle forze israeliane in acque internazionali.

L’Egitto mantiene tradizionalmente un controllo rigoroso sulle manifestazioni e sulla presenza di attivisti stranieri nel proprio territorio, specialmente quando le proteste riguardano questioni sensibili come il conflitto israelo-palestinese. Il valico di Rafah rappresenta l’unico punto di accesso terrestre alla Striscia di Gaza non controllato direttamente da Israele, configurandosi come un nodo strategico fondamentale per qualsiasi iniziativa umanitaria diretta verso il territorio palestinese. La decisione di bloccare sistematicamente gli attivisti internazionali conferma una politica restrittiva che bilancia le pressioni diplomatiche regionali con le esigenze di sicurezza interna.

La situazione dei due studenti torinesi sarà seguita nelle prossime ore anche dalle istituzioni italiane, mentre la vicenda solleva interrogativi più ampi sulle limitazioni alla libertà di espressione e di movimento in contesti di attivismo internazionale. Il caso di Andrea Usala e Vittoria Antonioli Arduini si aggiunge alle centinaia di deportazioni che hanno caratterizzato il fallimento della Global March to Gaza, trasformando quella che doveva essere una manifestazione pacifica di solidarietà internazionale in un episodio emblematico delle tensioni geopolitiche che attraversano il Medio Oriente contemporaneo.