La scuola primaria Cesare Battisti di Mestre si trova al centro di un acceso dibattito nazionale dopo che le nuove iscrizioni per l’anno scolastico 2025-2026 hanno evidenziato una composizione demografica che sfida i modelli tradizionali di integrazione scolastica. Su 61 alunni iscritti nelle tre classi prime, soltanto due bambini provengono da famiglie italiane da più generazioni, mentre una decina circa possiede la cittadinanza italiana, comprendendo però bambini di seconda generazione nati nel nostro Paese.
L’istituto comprensivo Gaio Giulio Cesare, di cui la Battisti fa parte, opera da decenni nel quartiere multietnico di Mestre situato nelle immediate vicinanze della stazione ferroviaria, rappresentando storicamente un modello di eccellenza nell’accoglienza e integrazione di studenti con background migratorio. La scuola ha sempre respinto l’appellativo di “scuola ghetto” rivendicando invece il proprio ruolo di crocevia culturale in un’area della città caratterizzata da una significativa presenza di famiglie immigrate.
Il fenomeno che sta interessando la scuola mestrina non rappresenta un caso isolato nel panorama educativo nazionale. I dati del Dossier Statistico Immigrazione 2025 di IDOS rivelano come negli ultimi undici anni gli studenti italiani siano diminuiti del 12,5% mentre quelli con cittadinanza straniera siano aumentati del 16%. Nell’anno scolastico 2023-2024, gli alunni stranieri nelle scuole italiane risultano essere 931.323, pari all’11,6% del totale, una percentuale superiore rispetto all’incidenza complessiva degli immigrati sulla popolazione italiana che si attesta all’8,9%.
La situazione della Battisti appare particolarmente complessa se analizzata nel contesto delle politiche di distribuzione territoriale degli studenti. La concentrazione di alunni stranieri in questo plesso scolastico riflette dinamiche urbane più ampie, dove le famiglie italiane tendono a iscrivere i propri figli in istituti con percentuali più basse di studenti con background migratorio, sfruttando la libertà di scelta scolastica che consente di superare il criterio della prossimità territoriale.
Carlo Pagan, presidente del consiglio d’istituto della Battisti, ha espresso preoccupazione per quella che definisce una “concentrazione sostanzialmente monoculturale degli alunni che non sono italofoni”, sostenendo che tale situazione meriti “una attenta riflessione su scala cittadina”. Secondo Pagan, questo contesto rischia di essere controproducente e di ostacolare l’integrazione dei bambini nel Paese in cui vivono, compromettendo paradossalmente l’obiettivo primario per cui la scuola si è sempre distinta.
La questione ha assunto rilevanza politica nazionale quando il vicesegretario leghista Roberto Vannacci è intervenuto con dichiarazioni particolarmente dure. Il generale ha sostenuto che “agli italiani non resta che la via delle scuole private se vogliono offrire ai propri figli un’educazione decente”, denunciando quella che considera una “doppia tassazione” per le famiglie italiane costrette a pagare con le tasse i servizi pubblici per gli stranieri e successivamente sostenere i costi dell’istruzione privata per i propri figli.
Le affermazioni di Vannacci si inseriscono in un dibattito più ampio che tocca le politiche migratorie e di welfare del Paese. Il deputato leghista ha sintetizzato la sua posizione attraverso un post sui social media affermando che “finiremo per diventare noi stranieri in patria”, collegando la questione scolastica a tematiche più ampie relative all’identità nazionale e alla sostenibilità del sistema di accoglienza.
Il caso della Battisti solleva interrogativi sulla efficacia delle normative esistenti in materia di integrazione scolastica. La circolare ministeriale del 2010 stabilisce infatti che il numero degli alunni stranieri non dovrebbe superare il 30% del totale degli iscritti in ciascuna classe, quale risultato di una equilibrata distribuzione tra istituti dello stesso territorio. Tuttavia, tale limite può essere superato qualora gli studenti stranieri presentino adeguate competenze linguistiche, come spesso accade per i bambini nati in Italia.
La distribuzione geografica degli alunni stranieri sul territorio nazionale evidenzia significative disparità regionali. I dati del Ministero dell’Istruzione confermano una maggiore concentrazione nelle regioni settentrionali con il 65,2% del totale, seguite dalle regioni del Centro con il 23,3% e dal Mezzogiorno con l’11,5%. L’Emilia-Romagna rappresenta la regione con la più alta incidenza di alunni stranieri sul totale della popolazione scolastica raggiungendo il 18,4%, mentre la Lombardia ospita oltre un quarto del totale degli alunni con cittadinanza non italiana presenti in Italia.
L’analisi delle nazionalità di provenienza degli studenti stranieri rivela come quasi la metà degli iscritti appartenga a cinque principali cittadinanze: romena, albanese, marocchina, cinese ed egiziana. Particolarmente significativo risulta il dato relativo agli alunni nati in Italia, che rappresentano quasi due terzi del totale degli studenti stranieri, passando dal 51,7% di undici anni fa al 65,2% attuale.
La situazione della Battisti riflette anche il fenomeno del cosiddetto “white flight“, termine che descrive la tendenza delle famiglie autoctone ad abbandonare le scuole con elevata presenza di studenti stranieri. Questo processo contribuisce paradossalmente ad alimentare la segregazione scolastica su base etnica, creando un circolo vizioso che allontana sempre più le famiglie italiane da determinati istituti e concentra progressivamente gli studenti con background migratorio in specifiche scuole.
Dal punto di vista pedagogico e didattico, la scuola Battisti ha sviluppato nel corso degli anni approcci innovativi per gestire la multiculturalità. L’istituto ha attivato corsi di lingua bengalese basandosi sul principio che “studiare la prima lingua aiuta nell’apprendimento dell’italiano”, come aveva commentato Paolo Balboni, docente di Lingue a Ca’ Foscari. Questa scelta aveva suscitato polemiche, nonostante le lezioni fossero gestite da un’associazione esterna e mirassero a facilitare l’acquisizione della lingua italiana attraverso il rafforzamento delle competenze linguistiche native.
L’amministrazione comunale di Venezia, attraverso le parole dell’assessora alle Politiche educative Laura Besio, ha difeso l’operato istituzionale rivendicando l’impegno costante per “un’integrazione sana che passa dalla conoscenza della lingua, delle leggi e della nostra storia”. Besio ha elencato le iniziative messe in campo dall’amministrazione, tra cui corsi di italiano per stranieri, doposcuola, mediazione linguistico-culturale e laboratori contro la dispersione scolastica, sostenendo che “l’inclusione non si costruisce con uscite mediatiche ma con lavoro quotidiano, silenzioso e concreto”.
Il quadro normativo nazionale in materia di integrazione scolastica degli alunni stranieri è stato recentemente rafforzato dalla legge 29 luglio 2024 numero 106, che stabilisce dall’anno scolastico 2025-2026 la possibilità per il Ministero dell’Istruzione di assegnare docenti destinati all’insegnamento dell’italiano per stranieri nelle classi con almeno il 20% di studenti che si iscrivono per la prima volta al sistema nazionale di istruzione e che non possiedono competenze di base della lingua italiana.
La questione della continuità didattica rappresenta un altro elemento critico evidenziato dalla vicenda della Battisti. La formazione delle classi non avviene sulla base della nazionalità degli alunni ma secondo criteri di equilibrio tra maschi e femmine, livello di competenze e distribuzione dei nuovi arrivi in Italia. Tuttavia, la concentrazione di studenti con limitate competenze linguistiche in italiano rischia di compromettere l’efficacia dei processi di apprendimento e integrazione per tutti gli alunni coinvolti.
Le conseguenze a lungo termine di questa situazione potrebbero estendersi ben oltre l’ambito scolastico immediato. Gli studenti stranieri evidenziano tassi più elevati di ritardo scolastico, con il 26,4% contro il 7,9% dei coetanei italiani, e questa disparità si accentua nelle scuole secondarie di secondo grado dove le percentuali diventano rispettivamente 48,0% e 16,0%. Dopo la scuola media, soltanto il 32,9% degli studenti stranieri sceglie un percorso liceale, mentre la maggioranza si orienta verso istituti tecnici o professionali.
La vicenda della scuola Battisti si inserisce in un contesto europeo più ampio dove la gestione dell’integrazione scolastica degli alunni migranti rappresenta una sfida comune a molti Paesi. L’Unione Europea ha sviluppato diverse iniziative politiche per affrontare queste problematiche, tra cui il Piano di azione della Commissione europea sull’integrazione dei cittadini dei paesi terzi del 2016 e la Raccomandazione del Consiglio del 2018 sulla promozione di valori comuni e di un’istruzione inclusiva.
Il dibattito sull’equilibrio demografico nelle scuole italiane continua a dividere esperti e opinione pubblica tra chi sostiene la necessità di misure redistributive più incisive e chi considera prioritario l’investimento nelle risorse e nelle competenze professionali per gestire efficacemente la diversità culturale. La ricerca di soluzioni efficaci richiederà probabilmente un approccio multidimensionale che tenga conto delle specificità territoriali, delle risorse disponibili e degli obiettivi pedagogici di lungo periodo, evitando tanto la ghettizzazione quanto l’assimilazione forzata in favore di un’autentica integrazione interculturale.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!