Il sindaco vieta gli odori “molesti”, basta puzza di spezie e cipolle: multe fino a 500 euro

Il sindaco di Palma Campania, Aniello Donnarumma, ha firmato un’ordinanza che vieta le molestie olfattive, con multe fino a 500 euro. Provvedimento controverso che sembra mirare alla comunità bengalese particolarmente numerosa nella cittadina vesuviana.
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Il sindaco di Palma Campania, Aniello Donnarumma, ha firmato nei giorni scorsi un provvedimento destinato a far discutere ma che risponde a una crescente preoccupazione dei cittadini: l’ordinanza numero 105 del 5 maggio 2025 che vieta le “molestie olfattive” su tutto il territorio comunale. Un intervento deciso che mira a ripristinare la qualità dell’aria e la vivibilità urbana in una cittadina vesuviana di 16mila abitanti ormai nota alle cronache come “Bangla Campania” per la massiccia presenza di immigrati dal Bangladesh, stimati in circa 2.000 unità regolarmente registrate all’anagrafe comunale, ma che secondo alcuni potrebbero essere molti di più.

Il provvedimento, che resterà in vigore fino al 1° gennaio 2026, prevede sanzioni da 25 fino a 500 euro per coloro che producono “emissioni odorigene moleste”, con particolare riferimento alla preparazione, cottura o conservazione di cibi che generano esalazioni ritenute intollerabili. Una misura che si è resa necessaria, secondo quanto dichiarato dal primo cittadino, a seguito di “numerose segnalazioni pervenute” da parte dei residenti, molti dei quali lamentano veri e propri disturbi fisici: problemi gastrici, mal di testa, insonnia, tensione e persino stati d’ansia causati dall’esposizione continua a odori intensi considerati insostenibili.

“Si tratta di un provvedimento necessario e urgente adottato a seguito delle numerose segnalazioni pervenute e volto a tutelare salute pubblica e vivibilità urbana prima che il fenomeno diventi una vera e propria emergenza”, ha scritto Donnarumma sui suoi canali social, aggiungendo una considerazione significativa: “Perché siamo convinti che una Città che rinuncia a difendere la qualità dell’aria rinuncia a difendere la dignità dei suoi cittadini”. Parole che riflettono la ferma volontà di intervenire su un problema ritenuto non più procrastinabile.

L’ordinanza si inserisce in un contesto sociale particolarmente delicato. Negli ultimi anni, infatti, la comunità bengalese di Palma Campania ha conosciuto una rapida espansione, con l’apertura di numerosi ristoranti, gastronomie e negozi di alimentari che hanno certamente arricchito l’offerta commerciale del territorio, ma hanno anche introdotto abitudini culinarie profondamente diverse da quelle tradizionali. L’uso massiccio di spezie e aromi tipici della cucina bengalese, caratterizzata da sapori intensi e profumi persistenti, ha finito per modificare sensibilmente la percezione olfattiva di interi quartieri, soprattutto nel centro storico.

Il documento firmato dal sindaco, che nel 2018 venne eletto nelle file di Fratelli d’Italia per poi essere riconfermato nel 2023 con liste civiche, parla espressamente di “emergenza socio-ambientale di inquinamento odorigeno” e sottolinea come il problema riguardi soprattutto i quartieri centrali dove “alloggiano cittadini con abitudini di preparazione e cottura dei cibi continuative e durature nel corso dell’intera giornata ivi comprese le prime ore del mattino”. Un riferimento implicito ma chiaro alle abitudini alimentari della comunità bengalese, i cui componenti lavorano prevalentemente come operai nelle industrie di abbigliamento della zona.

Non è la prima volta che l’amministrazione comunale di Palma Campania adotta misure che sembrano indirizzate specificamente alla regolamentazione della presenza straniera. Già nel 2021, infatti, lo stesso Donnarumma aveva imposto test di lingua italiana per i commercianti stranieri, mentre in precedenza, sotto la guida del sindaco Vincenzo Carbone, era stato emanato un regolamento che multava chi veniva sorpreso a sputare per terra, pratica attribuita prevalentemente ai cittadini bengalesi. Provvedimenti che hanno sempre suscitato polemiche da parte di chi vi ha visto intenti discriminatori, ma che l’amministrazione ha sempre difeso in nome del decoro urbano e della convivenza civile.

Un aspetto controverso dell’ordinanza riguarda la modalità di accertamento delle violazioni. Il testo prevede infatti che la Polizia Municipale possa intervenire “anche senza l’utilizzo di strumenti tecnici”, basandosi quindi sulla percezione soggettiva degli agenti o sulle segnalazioni dei cittadini. Una discrezionalità che ha alimentato le critiche di chi teme applicazioni arbitrarie del provvedimento. Sul punto è intervenuto l’assessore all’immigrazione, Giuseppe Ferrante, che ha precisato: “Non escludiamo di dotare la polizia municipale di misuratori olfattometrici, ma in ogni caso molte sentenze della Cassazione hanno decretato che i pubblici ufficiali possono agire anche in casi di evidenza oggettiva, senza ricorrere necessariamente a strumenti”.

Il riferimento è alla giurisprudenza che si è sviluppata attorno all’articolo 674 del Codice Penale, che configura come reato le “emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare molestie”, e all’articolo 844 del Codice Civile sulle “immissioni” che superano la normale tollerabilità. La Corte di Cassazione, con sentenza del 18 gennaio 2017 n. 2240, ha stabilito che, in mancanza di una normativa specifica sulle soglie degli odori molesti, deve essere utilizzato il criterio della “stretta tollerabilità”, più rigoroso rispetto a quello della “normale tollerabilità” previsto dal codice civile, proprio per assicurare una protezione adeguata all’ambiente e alla salute umana.

La questione delle emissioni odorigene ha assunto rilevanza crescente negli ultimi anni. Se il primo riferimento normativo risale addirittura al 1930 con l’articolo 674 del Codice Penale, solo con il D.lgs. 183/2017 e l’introduzione dell’articolo 272 bis nel Testo Unico Ambientale (D.lgs. 152/2006) l’odore è stato ufficialmente riconosciuto come forma di inquinamento a tutti gli effetti. La legge demanda alle Regioni l’emanazione di normative specifiche, ma esplicita che la problematica deve essere affrontata in fase di autorizzazione delle attività produttive.

Quello di Palma Campania non è un caso isolato. In diverse città italiane, l’intensificarsi della presenza di ristoranti etnici ha portato a conflitti legati proprio alle emissioni odorigene. La sfida per le amministrazioni locali consiste nel trovare un equilibrio tra la tutela della diversità culturale e gastronomica, che rappresenta indubbiamente un arricchimento, e il diritto dei cittadini a non subire molestie olfattive che possano compromettere la qualità della vita quotidiana. La mancanza di parametri oggettivi e universalmente riconosciuti per la misurazione degli odori complica ulteriormente la questione.

Non sono mancate le critiche all’ordinanza palmese, accusata da alcuni di essere uno strumento di discriminazione mascherata da provvedimento sanitario. Varie organizzazioni per i diritti civili starebbero valutando azioni legali contro il provvedimento, considerandolo una sorta di “caccia al bengalese”. Ma molti residenti difendono la decisione del sindaco, sottolineando come la convivenza civile richieda il rispetto di regole condivise e come la libertà di espressione culturale, anche attraverso le tradizioni culinarie, debba sempre coniugarsi con l’attenzione per il benessere collettivo.

Il caso di Palma Campania, al di là delle polemiche contingenti, solleva interrogativi più ampi sulla gestione dell’integrazione in contesti urbani caratterizzati da una crescente multiculturalità. La presenza di comunità straniere numerose e coese all’interno di piccoli centri può generare tensioni che richiedono risposte equilibrate da parte delle istituzioni, capaci di coniugare il rispetto delle diversità con la tutela del benessere di tutti i cittadini. Una sfida complessa che non può essere affrontata solo con strumenti normativi, ma richiede anche percorsi di conoscenza reciproca e dialogo interculturale.