Caccia libera (quasi) ovunque, nuova bozza di legge scatena le polemiche: di cosa si tratta

La bozza del nuovo disegno di legge sulla caccia promosso dal ministro Lollobrigida prevede modifiche radicali: dalla possibilità di cacciare in aree demaniali all’eliminazione del parere scientifico dell’Ispra, suscitando forte opposizione da ambientalisti e scienziati.

Una radicale riforma della normativa sulla caccia in Italia si profila all’orizzonte, con un disegno di legge che sta già scatenando violente polemiche nel mondo ambientalista e scientifico. La bozza del provvedimento, promossa dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, punta a modificare profondamente la legge quadro 157 del 1992 che regola l’attività venatoria nel nostro paese. Il testo, composto da 18 articoli, prevede una serie di cambiamenti sostanziali che, secondo le associazioni ambientaliste, rappresenterebbero un drastico passo indietro nella tutela della fauna selvatica e degli ecosistemi naturali.

La bozza trapelata in questi giorni indica chiaramente l’intenzione del governo di allargare significativamente le maglie dell’attività venatoria in Italia. Stando alle indiscrezioni, il ministero punta a presentare e approvare il disegno di legge entro l’estate, inserendolo come allegato ambientale alla legge di Bilancio, in tempo per l’inizio della stagione di caccia autunnale. Un’operazione che non richiederebbe alcun nuovo esborso di denaro da parte dello Stato, ma che potrebbe avere conseguenze rilevanti sulla biodiversità del paese.

Tra i punti più controversi del provvedimento figura la riapertura dei cosiddetti “roccoli”, le postazioni di caccia agli uccelli diffuse principalmente nel nord Italia, già vietate dall’Unione Europea e per le quali il nostro paese è attualmente oggetto di una procedura d’infrazione. La bozza prevede inoltre l’eliminazione dei limiti al numero di autorizzazioni regionali per la creazione di nuovi appostamenti fissi, ampliando di fatto le aree destinabili all’attività venatoria.

Particolarmente allarmante è l’articolo 10 del disegno di legge, che permetterebbe di cacciare “nei territori e nelle foreste del demanio statale, regionale e degli enti pubblici in genere”. Un cambiamento sostanziale rispetto alla legge del 1992, che aveva classificato zone dunali, foreste e praterie come aree protette e destinate agli escursionisti. In linea teorica, anche le spiagge, essendo zone demaniali, potrebbero diventare potenzialmente utilizzabili dai cacciatori per l’appostamento, con evidenti rischi per la sicurezza pubblica.

Lo stesso articolo introduce un’altra novità preoccupante: le gare di caccia con addestramento dei cani non verrebbero considerate “esercizio venatorio” e potrebbero quindi svolgersi anche durante il periodo di caccia chiusa o nelle ore notturne. Una disposizione che sembra contraddire lo spirito stesso della regolamentazione venatoria e della tutela della fauna selvatica.

Un altro punto critico della bozza riguarda il passaggio di responsabilità dagli organi scientifici a quelli politici. Il disegno di legge elimina infatti il parere vincolante dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), sostituendolo con la valutazione del Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale, un organo di nomina politica controllato direttamente dal ministero dell’Agricoltura. Un cambiamento che potrebbe compromettere l’indipendenza e l’oggettività delle valutazioni scientifiche in materia di gestione della fauna selvatica.

La bozza prevede inoltre l’estensione dell’attività venatoria alla primavera, periodo cruciale per la riproduzione di numerose specie animali. Questa modifica si porrebbe in aperto contrasto con la direttiva europea sugli uccelli, aumentando ulteriormente il rischio di sanzioni da parte dell’Unione Europea nei confronti dell’Italia.

Secondo quanto emerge dal testo, le Regioni avranno dodici mesi di tempo per verificare di non aver destinato a protezione più del 30% del territorio agrosilvopastorale, con l’obbligo di rientrare nei limiti in caso contrario. In caso di inadempienza, il ministero dell’Agricoltura potrà esercitare il potere sostitutivo, intervenendo direttamente sulla gestione del territorio regionale.

Le reazioni a queste anticipazioni non si sono fatte attendere. Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, ha definito il testo “inaccettabile”, affermando che “se venisse approvato cancellerebbe gli ultimi 60 anni di politiche, impegni e azioni dell’Italia a tutela e conservazione degli animali selvatici, calpestando, al tempo stesso, l’art. 9 inserito nel 2022 nei principi della Costituzione, che obbliga lo Stato, attraverso le sue leggi, a garantire la tutela degli animali”. Legambiente ha inoltre rivolto un appello diretto alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, chiedendole di “impedire questo scempio legislativo”.

Anche altre associazioni ambientaliste e animaliste, tra cui WWF, Enpa, Lac, Lav, Lipu-BirdLife Italia, Lndc, Oipa, Federazione nazionale Pro Natura, hanno espresso forte preoccupazione per il contenuto della bozza, definendola una “sconsiderata provocazione” proveniente dai “parlamentari-cacciatori”. In particolare, viene criticato l’ampliamento della stagione di caccia in periodi rigorosamente vietati dalla direttiva europea sugli uccelli, soprattutto considerando che l’Italia è già sotto inchiesta per problematiche analoghe.

Un elemento di particolare allarme per le associazioni ambientaliste è il sostegno che il disegno di legge sembrerebbe ricevere dalla lobby degli armieri. Non è un caso, fanno notare, che l’annuncio del provvedimento sia stato fatto dal ministro Lollobrigida proprio durante una fiera della caccia e delle armi in Umbria. Sul web sono inoltre facilmente reperibili numerose prese di posizione della lobby degli armieri che, sin dalle ultime elezioni, ha chiesto esplicitamente questo tipo di misure.

La proposta di riforma si inserisce in un contesto già teso per quanto riguarda la regolamentazione della caccia in Italia. Lo scorso anno, un disegno di legge presentato dal leghista Francesco Bruzzone era stato bloccato proprio per volontà del ministro Lollobrigida, in quella che è stata interpretata come una “prova di forza” per attribuire a Fratelli d’Italia, piuttosto che alla Lega, il merito di una riforma attesa dal mondo venatorio.

L’Italia è attualmente oggetto di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione Europea nel febbraio 2024 per il mancato allineamento della normativa nazionale sulla caccia alle direttive comunitarie. Le modifiche proposte nella bozza rischierebbero di aggravare ulteriormente questa situazione, aumentando le probabilità di sanzioni economiche e compromettendo la tutela della biodiversità nel paese. Il tentativo di allentare le restrizioni sulla caccia si scontra inoltre con i crescenti dati sulla pressione venatoria: secondo un recente report dell’Ispra, nella stagione 2022/2023 sono stati abbattuti milioni di uccelli, con il tordo bottaccio e il colombaccio tra le specie più colpite.

La bozza di legge sulla caccia si configura quindi come un terreno di scontro tra diverse visioni della gestione del territorio e della fauna selvatica, con significative implicazioni ecologiche, economiche e politiche. Mentre il governo punta a presentare la riforma come un aggiornamento necessario di una normativa risalente agli anni ’90, le associazioni ambientaliste e il mondo scientifico vedono invece in questo tentativo un pericoloso arretramento nella protezione degli ecosistemi naturali.