Il caso che ha scosso l’Italia diciotto anni fa torna prepotentemente sotto i riflettori con sviluppi che potrebbero riscrivere la verità giudiziaria sull’omicidio di Chiara Poggi. Durante l’ultima puntata di Quarto Grado, trasmessa venerdì 30 maggio, una testimone chiave ha rotto il silenzio per difendere Andrea Sempio, l’uomo ora formalmente indagato per concorso in omicidio nel delitto di Garlasco. Elisa, amica trentacinquenne di Sempio originaria di Tromello, ha confermato ai microfoni della trasmissione di Rete 4 quanto era emerso dalle indagini della Procura di Pavia riguardo alla controversa “impronta 33”, ma ha ribadito con fermezza la sua fiducia nell’innocenza dell’amico.
“Ho domandato ad Andrea se l’impronta fosse sua quando è uscita questa storia, non ho mai avuto dubbi, per me è innocente, volevo solo capire se il colore fosse dato dal reagente che hanno usato o se fosse sporca di sangue e lui mi ha confermato che è il reagente e gli credo”, ha dichiarato Elisa durante il collegamento televisivo. La donna, che conosce Sempio dal 2010, ha aggiunto dettagli significativi sulla spiegazione fornita dall’indagato: “Mi ha detto che potrebbe essere stato lui a lasciare quella traccia, avendo frequentato quella casa ci può stare. Scendendo insieme a Marco le scale può averla lasciata in qualunque momento, prima dell’omicidio”. Questa testimonianza assume particolare rilevanza nel momento in cui la Procura di Pavia ha ufficialmente attribuito l’impronta palmaria rinvenuta sulla parete delle scale interne della villetta di via Pascoli proprio a Sempio, attraverso una perizia dattiloscopica che ha individuato quindici punti di corrispondenza tra la traccia e il palmo destro dell’indagato.
L’impronta numero 33, così classificata dai tecnici del Reparto Investigazioni Scientifiche dei carabinieri di Parma nel 2007, era stata inizialmente giudicata “totalmente inutile” dagli analisti dell’epoca perché ritenuta non sufficientemente dettagliata per procedere a un’identificazione certa. Tuttavia, i progressi tecnologici nel campo forense hanno permesso ai consulenti tecnici incaricati dal pubblico ministero, il Tenente Colonnello Gianpaolo Giuliano e il dottor Nicola Caprioli, di riesaminare la traccia con metodologie avanzate che hanno portato alla clamorosa attribuzione. La scoperta ha riacceso il dibattito su uno dei casi di cronaca nera più seguiti degli ultimi decenni, che aveva visto la condanna definitiva di Alberto Stasi, ex fidanzato della vittima, a sedici anni di reclusione nel 2015.
Il colore rossastro dell’impronta, visibile nelle fotografie scattate durante i sopralluoghi, ha generato un acceso confronto tra gli esperti forensi riguardo alla presenza o meno di sangue sulla traccia. Il generale Luciano Garofano, ex comandante del Reparto Investigazioni Scientifiche e attuale consulente della difesa di Sempio, ha categoricamente escluso la presenza di materiale ematico: “Non ci fu assolutamente sangue sull’impronta 33, fu fatta una batteria di analisi, prima la ricerca dell’emoglobina e poi dell’emoglobina umana, che dettero risultato negativo poi si tentò di estrarre il dna umano ma era inibito”. Secondo Garofano, il colore caratteristico della traccia è dovuto esclusivamente alla ninidrina, un reagente chimico utilizzato per evidenziare le impronte latenti che, reagendo con gli amminoacidi delle secrezioni eccrine, produce una colorazione rosso porpora nota come “Porpora di Ruhemann”.
La posizione dell’impronta sulla parete destra delle scale che conducono al seminterrato, dove fu rinvenuto il corpo di Chiara Poggi, ha alimentato diverse teorie investigative sulla dinamica dell’omicidio. La Procura di Pavia ha elaborato una nuova ipotesi secondo cui Sempio avrebbe lasciato quella traccia appoggiandosi alla parete dalla parte alta della scala e sporgendosi, senza necessariamente scendere i gradini. Questa ricostruzione si basa sulla constatazione che l’assassino, secondo gli atti processuali, non avrebbe percorso l’intera scala ma avrebbe lanciato il corpo della vittima dalla cima, facendolo scivolare fino al nono gradino. L’elemento più significativo di questa teoria è che la mano destra di chi ha lasciato l’impronta doveva essere completamente pulita dal sangue nel momento del contatto con la parete, un aspetto che contrasta con la dinamica violenta dell’omicidio caratterizzato da ferite alla fronte e al cranio della vittima.
Il confronto televisivo ha visto protagonista anche Carmelo Abbate, che ha sostenuto una tesi diametralmente opposta a quella della difesa, definendo l’impronta 33 come “l’impronta dell’assassino” proprio in virtù dell’attenzione investigativa che ha ricevuto fin dalle prime indagini. “Ci sta confermando che era una evidenza importante tanto è vero che ci hanno perso tempo e sonno con ninidrina, combur test, poi hanno grattato il muro”, ha dichiarato Abbate rivolgendosi a Garofano durante il dibattito televisivo. La replica del generale è stata altrettanto ferma: “Questa deduzione è veramente pericolosa Carmelo”, sottolineando i rischi di giungere a conclusioni affrettate su elementi che necessitano di ulteriori verifiche scientifiche.
La difesa di Sempio, rappresentata dagli avvocati Massimo Lovati e Angela Taccia, ha minimizzato il valore probatorio dell’impronta, definendola “di nessuna importanza” considerando che l’indagato aveva sempre frequentato tutte le stanze della casa Poggi, eccetto la camera matrimoniale dei genitori. L’avvocata Taccia ha precisato che si tratta di “una consulenza della procura, quindi una consulenza di parte, non una perizia”, anticipando che la difesa procederà con propri accertamenti tecnici. La strategia difensiva si basa sulla circostanza che Sempio, essendo amico intimo di Marco Poggi, fratello della vittima, aveva libero accesso all’abitazione e poteva aver lasciato quella traccia in qualsiasi momento precedente all’omicidio, durante le sue visite abituali alla famiglia.
L’evoluzione del caso ha portato anche al coinvolgimento del genetista Giorgio Portera, che ha confermato l’impossibilità di determinare scientificamente la presenza di sangue basandosi esclusivamente sull’aspetto cromatico dell’impronta: “Il colore non è un parametro scientifico per valutare sangue o meno, è una spia se durante il sopralluogo vedo qualcosa di rosso. Un giudizio sul colore assolutamente non lo accetto”. Portera ha spiegato che le fotografie dell’epoca, realizzate con una risoluzione significativamente inferiore agli standard attuali e sotto specifiche condizioni di illuminazione, non possono fornire indicazioni affidabili sulla composizione della traccia. Il genetista ha suggerito la possibilità di ripetere gli esami con metodologie più avanzate, pur riconoscendo che l’integrità cellulare dopo diciotto anni potrebbe essere compromessa.
La riapertura delle indagini nel marzo 2025 ha comportato anche una rivalutazione complessiva delle sessanta impronte rilevate dal RIS di Parma nell’abitazione di via Pascoli, utilizzando polveri e adesivi per l’identificazione dattiloscopia. Tra queste, particolare attenzione è stata dedicata all’impronta numero 10, rinvenuta vicino alla maniglia interna della porta d’ingresso, che secondo la stessa Procura non risulta attribuibile a Sempio. I magistrati pavesi stanno attualmente cercando negli archivi del RIS i campioni di intonaco raschiati dalla parete nel 2007 per eventuali nuove analisi biologiche, mentre il Reparto Analisi Criminologiche Investigative Scientifiche (RACIS) dei carabinieri sta elaborando un profilo psicologico dell’indagato basato su materiali sequestrati durante le recenti perquisizioni.
La testimonianza di Elisa rappresenta un elemento umano significativo in una vicenda caratterizzata prevalentemente da aspetti tecnico-scientifici e procedurali. La sua dichiarazione di fiducia incondizionata nell’innocenza di Sempio, basata sulla conoscenza personale e sui colloqui diretti con l’indagato, introduce una dimensione testimoniale che potrebbe influenzare l’evoluzione mediatica del caso. Tuttavia, dal punto di vista giudiziario, le indagini della Procura di Pavia procedono secondo i canoni dell’accertamento probatorio, con la necessità di verificare scientificamente ogni elemento emerso attraverso le nuove tecnologie forensi. Il principio di presunzione di innocenza rimane il cardine fondamentale del procedimento, mentre la comunità di Garlasco e l’opinione pubblica nazionale attendono sviluppi che potrebbero finalmente fare luce su uno dei delitti più enigmatici della cronaca nera italiana contemporanea.