Le parole pronunciate da Donald Trump nello Studio Ovale hanno segnato quello che potrebbe rappresentare il punto di non ritorno nei rapporti con Elon Musk. “Non so se avremo più una grande relazione”, ha dichiarato il presidente americano durante un incontro con il cancelliere tedesco, rispondendo alle domande sui duri attacchi del patron di Tesla alla sua proposta di legge su tasse e spesa pubblica. Una frattura che si è approfondita dopo che Musk ha abbandonato il ruolo di capo del Department of Government Efficiency, definendo la tanto celebrata “Big Beautiful Bill” di Trump un “abominio disgustoso”.
La crisi tra i due personaggi più influenti della politica americana contemporanea ha radici profonde che vanno oltre la recente controversia sulla legge di spesa. Trump si è mostrato particolarmente sorpreso e deluso dalle critiche dell’imprenditore sudafricano, arrivando a minimizzare il contributo di Musk alla sua vittoria elettorale con l’affermazione che avrebbe conquistato la Pennsylvania anche senza il suo supporto. Una dichiarazione che suona come una chiara sconfessione di quello che fino a pochi mesi fa era considerato il “first buddy” della nuova amministrazione, dopo aver investito almeno 250 milioni di dollari nella campagna elettorale di Trump.
Il presidente ha attribuito la rabbia di Musk alla decisione di eliminare il “mandato per le auto elettriche”, ossia gli incentivi governativi per l’acquisto di veicoli elettrici, una misura che colpisce direttamente gli interessi commerciali di Tesla. Secondo fonti riportate da Bloomberg, Musk avrebbe tentato fino all’ultimo di convincere i parlamentari repubblicani a mantenere gli sgravi fiscali per gli acquisti di veicoli elettrici, facendo appello al presidente della Camera dei Rappresentanti Mike Johnson, ma senza successo. La legge prevede infatti la conclusione del programma di incentivi per le auto elettriche, rappresentando un duro colpo per l’industria di cui Musk è il principale protagonista.
Le tensioni si sono ulteriormente acuite quando Trump ha ricordato di aver rifiutato la nomina dell’uomo di Musk alla NASA, riferendosi probabilmente al mancato endorsement per Jared Isaacman, stretto alleato del patron di Tesla. Questa decisione ha rappresentato un ulteriore segnale delle crescenti divergenze tra le due personalità, che fino a poco tempo fa sembravano unite da una perfetta sintonia politica e imprenditoriale. La bocciatura della nomina ha infatti preceduto di pochi giorni l’annuncio dell’uscita di Musk dal DOGE, avvenuta dopo 130 giorni di mandato come “dipendente governativo speciale”.
Il nodo centrale della controversia rimane tuttavia la “Big Beautiful Bill”, la mastodontica legge di spesa che secondo le proiezioni governative aggiungerebbe fino a 2.400 miliardi di dollari al deficit federale americano nei prossimi dieci anni. Musk ha definito il provvedimento un “enorme, scandaloso disegno di legge infarcito di pork”, utilizzando il termine tecnico che indica le spese velleitarie legate agli interessi delle lobby. La reazione scomposta dell’imprenditore su X ha delineato una frattura apparentemente insanabile tra le aspirazioni di una sostanziale privatizzazione dello stato caldeggiata dagli anarco-capitalisti della Silicon Valley e il regalo promesso da Trump ai propri sponsor della corte cleptocratica di Mar-a-Lago.
Durante i suoi 130 giorni alla guida del DOGE, Musk aveva promesso di tagliare 2.000 miliardi di dollari dalla spesa federale, un terzo dell’intero bilancio nazionale, per poi ridimensionare drasticamente i suoi obiettivi. I vantati risparmi si sono infatti ridotti a una frazione di quelli promessi: non trilioni ma miliardi, con stime che oscillano tra i 160 miliardi inizialmente dichiarati e i soli 32,5 miliardi effettivamente documentati. Questa discrepanza tra promesse e risultati ha contribuito a deteriorare ulteriormente i rapporti con Trump, che aveva puntato molto sull’efficacia dell’approccio manageriale di Musk per modernizzare l’apparato statale.
Le divergenze tra i due non si limitano tuttavia alla sola questione della spesa pubblica. Già nei mesi precedenti si erano registrate tensioni significative sui dazi promossi dalla Casa Bianca contro l’Unione Europea, con Musk che aveva espresso pubblicamente il suo dissenso durante un collegamento con Firenze, auspicando una zona di libero scambio tra Stati Uniti ed Europa. L’imprenditore aveva inoltre attaccato duramente Peter Navarro, consigliere economico di Trump e storico sostenitore di una linea drasticamente protezionista, definendolo un “cretino” e coniando per lui il sarcastico soprannome di “Peter Retardo”.
Secondi i funzionari della Casa Bianca, Trump sta perdendo la pazienza con Musk dopo i duri attacchi alla sua proposta legislativa. Un alto funzionario dell’amministrazione ha descritto al Wall Street Journal un presidente “confuso” dalle aspre critiche del patron di Tesla, che fino a ieri aveva lavorato a stretto contatto con lui e si era sempre mostrato generoso nelle lodi verso il presidente. La rottura appare tanto più significativa se si considera che Musk aveva dichiarato a febbraio: “Più conosco il presidente Trump, più mi piace. Francamente, lo amo”.
Le implicazioni di questa frattura vanno ben oltre la dimensione personale, coinvolgendo questioni strategiche di portata nazionale e internazionale. Le aziende di Musk, Tesla e SpaceX, hanno infatti beneficiato significativamente dei contratti governativi e delle politiche favorevoli dell’amministrazione Trump, mentre la sua influenza politica gli aveva garantito un accesso privilegiato ai centri decisionali di Washington. La fine di questa collaborazione potrebbe quindi avere conseguenze rilevanti tanto per gli interessi imprenditoriali di Musk quanto per le strategie di innovazione tecnologica dell’amministrazione americana.
Nonostante le dichiarazioni pubbliche di Trump, alcuni osservatori ritengono che la rottura possa non essere definitiva, considerando la natura volatile dei rapporti politici a Washington e la necessità reciproca di mantenere canali di comunicazione aperti. Tuttavia, le parole del presidente nello Studio Ovale sembrano segnare un punto di svolta irreversibile in quello che era stato definito uno dei sodalizi più influenti della politica americana contemporanea, aprendo scenari inediti per gli equilibri di potere tra tecnologia e istituzioni negli Stati Uniti.