I dati relativi alle dichiarazioni dei redditi del settore taxi italiano per l’anno 2023 presentano un quadro che merita un’analisi approfondita. Secondo le elaborazioni del Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia, pubblicate dal Sole 24 Ore, i tassisti italiani hanno dichiarato in media 17.904 euro lordi annui, equivalenti a circa 1.492 euro mensili. Si tratta di cifre che, pur mostrando un lieve incremento di 208 euro al mese rispetto al 2022, restano sostanzialmente allineate ai valori storici del settore, oscillando tra i 15.000 e i 18.000 euro annui negli ultimi anni.
L’analisi territoriale rivela significative disparità geografiche. Firenze registra i redditi dichiarati più elevati con 24.160 euro annui, seguita da Milano con 22.551 euro. Al contrario, le città del Mezzogiorno presentano dichiarazioni decisamente più contenute: Roma si attesta sui 15.730 euro annui, Napoli su 12.791 euro, mentre Palermo chiude la classifica con soli 10.700 euro dichiarati. Questi valori, tradotti in termini mensili, oscillano tra i 2.013 euro lordi di Firenze e gli 894 euro di Palermo.
Un elemento che emerge chiaramente dall’analisi dei dati è la notevole sproporzione tra i redditi dichiarati e i costi operativi sostenuti dai professionisti del settore. Le licenze taxi rappresentano infatti un investimento considerevole: a Roma costano 73.000 euro, a Milano si aggirano sui 96.000 euro, mentre a Bologna raggiungono i 150.000 euro. A questi costi si aggiungono le spese per l’acquisto dei veicoli, che per modelli ibridi o elettrici variano tra i 35.000 e i 65.000 euro, oltre alle spese correnti per carburante, manutenzione, assicurazione e tasse.
Questa apparente incongruenza tra investimenti richiesti e redditi dichiarati ha sollevato interrogativi nel mondo economico e fiscale. Alcuni osservatori del settore hanno fatto notare come tali cifre risultino difficilmente compatibili con la sostenibilità economica dell’attività. Un tassista che dichiari 15.000 euro annui dovrebbe infatti far fronte a rate di finanziamento per la licenza, costi del veicolo e spese operative che, secondo le stime di mercato, potrebbero facilmente superare tale importo.
La questione assume particolare rilevanza se considerata nel contesto del boom turistico post-pandemico. Nonostante l’aumento della domanda di trasporto pubblico non di linea e le lunghe file di clienti in attesa presso le stazioni taxi delle principali città italiane, i redditi dichiarati sono rimasti sostanzialmente stabili. Questo fenomeno ha attirato l’attenzione di analisti economici che sottolineano come un settore in forte espansione dovrebbe teoricamente registrare incrementi più significativi nei redditi dichiarati.
Un caso emblematico è rappresentato dalla testimonianza di Roberto Mantovani, il tassista bolognese noto come “Red Sox”, che ha pubblicamente dichiarato di guadagnare circa 600 euro al giorno, per un totale di oltre 18.000 euro mensili. Queste cifre contrastano nettamente con i dati medi delle dichiarazioni fiscali del settore, evidenziando una possibile discrepanza tra realtà operativa e quanto emerge dalle statistiche ufficiali.
Il governo italiano ha mostrato crescente attenzione verso questa problematica, introducendo diverse misure normative. Dal 2022 è stato reso obbligatorio l’utilizzo del POS per i pagamenti elettronici nei taxi, una disposizione finalizzata a incrementare la tracciabilità delle transazioni. Tuttavia, l’efficacia di tale misura dipende strettamente dall’effettivo utilizzo del dispositivo e dai controlli successivi.
La recente Legge di Bilancio ha introdotto ulteriori strumenti di controllo. A partire dal 2026 sarà obbligatorio il collegamento tecnico tra i terminali POS e i registratori di cassa telematici, con l’obiettivo di rendere più evidenti eventuali incongruenze tra scontrini emessi e incassi registrati dai pagamenti elettronici. Le sanzioni per chi non si adegua variano da 100 a 1.000 euro, con possibile sospensione della licenza.
Particolarmente significativo risulta l’impatto del Concordato Preventivo Biennale (CPB) per il periodo 2025-2026. Questo strumento, che coinvolge anche i tassisti tra i soggetti tenuti all’applicazione degli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA), permetterà all’Agenzia delle Entrate di proporre redditi concordati basati su algoritmi che tengono conto della struttura dei costi e delle caratteristiche operative del settore. Il sistema è progettato per individuare automaticamente anomalie rispetto ai parametri di riferimento del settore.
L’introduzione di questi meccanismi di controllo rappresenta un’evoluzione significativa nell’approccio fiscale verso il settore. Il CPB metterà sotto stretta sorveglianza i redditi non dichiarati, garantendo una maggiore trasparenza nel settore taxi. L’algoritmo utilizzato per calcolare i redditi proposti terrà conto non solo dei ricavi dichiarati, ma anche della struttura dei costi operativi, permettendo di identificare situazioni in cui i redditi dichiarati risultino incongruenti con le spese sostenute.
La questione assume dimensioni ancora più rilevanti se confrontata con altri settori economici. Secondo i dati del Ministero dell’Economia, diverse categorie professionali presentano anomalie simili nelle dichiarazioni dei redditi. I ristoratori, ad esempio, dichiarano in media 15.100 euro annui, mentre bar e pasticcerie risultano operare con meno di mille euro al mese secondo le dichiarazioni fiscali. Questo quadro generale suggerisce la presenza di fenomeni strutturali che vanno oltre il singolo settore taxi.
L’analisi dei dati evidenzia inoltre come la preferenza per i pagamenti in contanti continui a caratterizzare significativamente il settore. Diverse inchieste giornalistiche hanno documentato come alcuni operatori ammettano apertamente di dichiarare solo una frazione dei reali incassi. Una ricerca de “Le Iene” del 2023 ha registrato testimonianze di tassisti che dichiaravano di guadagnare 9.000 euro mensili pur presentando dichiarazioni fiscali di soli 1.500 euro.
Il tema della tracciabilità dei pagamenti rappresenta quindi un nodo cruciale per la trasparenza del settore. La Manovra 2025 ha introdotto il principio secondo cui le spese sostenute da imprese e professionisti per servizi taxi potranno essere dedotte fiscalmente solo se pagate con metodi tracciabili. Questa misura, soprannominata “norma Red Sox” in omaggio al tassista bolognese che ha denunciato le pratiche evasive dei colleghi, mira a incentivare l’utilizzo di pagamenti elettronici da entrambe le parti della transazione.
L’impatto economico di queste dinamiche sul sistema fiscale italiano risulta significativo. Il governo stima un recupero di 1,2 miliardi di euro in tre anni dall’insieme delle misure anti-evasione introdotte, di cui una parte derivante dai controlli rafforzati sul settore taxi e affini. La relazione tecnica alla Legge di Bilancio quantifica in 50 milioni di euro gli incassi aggiuntivi attesi per il 2026 dal collegamento POS-registratori di cassa, cifra che dovrebbe salire a 65 milioni a regime.
La situazione del settore taxi italiano presenta quindi caratteristiche che meritano un’osservazione attenta da parte delle istituzioni fiscali e degli operatori economici. I dati sulle dichiarazioni dei redditi, se analizzati in rapporto ai costi operativi e agli investimenti richiesti, sollevano questioni sulla piena rappresentatività delle cifre ufficiali. L’introduzione di strumenti di controllo più sofisticati, dal POS obbligatorio al Concordato Preventivo Biennale, rappresenta un tentativo sistematico di allineare la realtà dichiarata con quella effettiva del settore.
L’evoluzione normativa in corso, con l’implementazione di controlli incrociati tra diversi sistemi di rilevazione, dovrebbe fornire nei prossimi anni un quadro più preciso della reale dimensione economica del settore taxi italiano. Solo attraverso una maggiore trasparenza sarà possibile valutare correttamente le politiche pubbliche necessarie per un settore strategico per la mobilità urbana, garantendo al contempo equità fiscale e sostenibilità economica per tutti gli operatori del comparto.