Il 26 giugno 2025, in una riunione riservata tenuta negli uffici di Condé Nast a One World Trade Center, Anna Wintour ha comunicato alla redazione di Vogue America l’intenzione di lasciare il ruolo di direttrice responsabile che ricopriva ininterrottamente dal luglio 1988, ponendo formalmente termine a una leadership durata trentasette anni e riconosciuta come la più influente nella storia del giornalismo di moda contemporaneo.
La manager settantacinquenne, già nominata Dame Commander of the Order of the British Empire, non si ritirerà però dalla scena: continuerà infatti a esercitare le funzioni di Global Chief Content Officer di Condé Nast e di Global Editorial Director del network internazionale di Vogue, incarichi che le conferiscono la supervisione strategica di testate come Vanity Fair, GQ, Wired, Architectural Digest e di tutte le trentadue edizioni locali del mensile fashion, con la sola eccezione di The New Yorker.
Il passo indietro dall’operatività quotidiana dell’edizione statunitense, divenuta negli ultimi anni sempre più dispendiosa in termini di tempo, nasce dalla necessità di gestire in modo equilibrato le esigenze globali del gruppo, come spiegato dall’amministratore delegato Roger Lynch, secondo il quale la ridefinizione gerarchica consentirà a Wintour di “fare spazio a ogni redazione che richieda la sua attenzione”.
Il nuovo vertice editoriale di Vogue America non avrà più il titolo di editor‑in‑chief bensì quello di Head of Editorial Content, figura che riporterà direttamente alla stessa Wintour e integrerà la governance centralizzata introdotta nel 2020, quando la casa editrice ha unificato le linee editoriali internazionali. Sebbene il nome del successore non sia stato ufficializzato, negli ambienti della moda si sono già affacciate ipotesi che spaziano da Chioma Nnadi, già alla guida di British Vogue, a figure esterne con un forte profilo digitale.
La parabola di Anna Wintour iniziò con la storica copertina di novembre 1988, scattata da Peter Lindbergh, in cui la modella Michaela Bercu indossava un maglione di Christian Lacroix abbinato a jeans Guess da cinquanta dollari: un mix di “high and low” che ruppe le convenzioni della fotografia di moda dell’epoca e preannunciò l’estetica più democratica degli anni Novanta. Nei decenni successivi Wintour introdusse in copertina le celebrità di Hollywood, ridefinendo le metriche dell’audience e trasformando la rivista nella principale piattaforma narrativa dell’industria dell’abbigliamento e dello spettacolo.
Sotto la sua direzione Vogue ha attraversato crisi economiche, rivoluzioni tecnologiche e la transizione dal cartaceo al digitale, mantenendo la redditività grazie a un modello integrato fondato su eventi globali, licensing e piattaforme social, con l’introduzione di formati video on demand e podcast dedicati.
Un capitolo a parte lo occupa il Met Gala: dal 1995 Wintour ne è chair permanente e continuerà a curarne selezione degli ospiti, progetto curatoriale e raccolta fondi per il Costume Institute del Metropolitan Museum, ruolo che resta dunque inalterato dopo l’annuncio.
Oltre all’attività di supervisione, la manager londinese potrà ora concentrarsi su iniziative strategiche di espansione nei mercati emergenti, sul coordinamento delle piattaforme editoriali verticali e sull’incubazione di nuovi progetti multimediali che puntano a integrare intelligenza artificiale generativa, e‑commerce e streaming live degli show, segmenti ai quali Condé Nast guarda per compensare il declino della pubblicità tradizionale.
Da più parti l’uscita di scena operative viene interpretata come un passaggio d’eredità: Wintour non assume, almeno per ora, ruoli esterni alla casa editrice, ma lascia intravedere la possibilità di dedicare parte del tempo alla mentorship di giovani redattori, alla promozione di politiche di sostenibilità nella filiera tessile e alla valorizzazione di talenti emergenti tramite borse di studio e partnership con scuole di design.
Se l’identità del prossimo responsabile editoriale di Vogue America rimane una questione aperta, l’influenza di Wintour continuerà a pesare sulle scelte estetiche, commerciali e culturali della testata, grazie a un sistema di governance che le garantisce l’ultima parola sulle copertine più strategiche, sugli shooting di alto budget e sui progetti speciali legati alle fashion week.
Il ritiro dall’ufficio del direttore segna dunque la conclusione di un ciclo che ha ridefinito il ruolo della stampa di moda, trasformando il mensile in una piattaforma globale capace di generare immaginari e conversazioni culturali ben oltre le passerelle, ma rappresenta al tempo stesso l’inizio di una fase in cui la “regina di Condé Nast” potrà esercitare il proprio potere da una posizione più strategica, mentre la prossima generazione di giornalisti si prepara a raccoglierne l’eredità.