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Delitto di Garlasco, l’avvocato Lovati solleva dubbi su Stasi: “Alle 12 tutti già sapevano dell’omicidio di Chiara”

La versione cronologica proposta dall’avvocato Massimo Lovati riapre il dibattito sull’orario del delitto di Chiara Poggi e sulla responsabilità di Alberto Stasi.
Credit © Mediaset Infinity

Le dichiarazioni rilasciate da Massimo Lovati, difensore di Andrea Sempio, nel corso di due trasmissioni televisive a pochi giorni di distanza, hanno riportato al centro dell’attenzione mediatica il processo per l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007 a Garlasco. L’avvocato ha affermato che, verso le undici e trenta del mattino di quel lunedì, a Vigevano «già tutti sapevano che a Garlasco era stata uccisa una ragazza», circostanza che, se confermata, contraddirebbe la cronologia accertata in sede giudiziaria, secondo la quale il cadavere sarebbe stato scoperto soltanto un’ora e mezza più tardi.

Il ricordo di Lovati fa leva sulla coincidenza con il suo compleanno e sulla consuetudine di scendere dal proprio studio, affacciato sulla fiera agostana di Vigevano, per visitare le bancarelle. In quelle bancarelle, a suo dire, circolava già la notizia della morte di una giovane a Garlasco. Una voce che, sempre secondo il penalista, suffraga l’ipotesi che Alberto Stasi, all’epoca fidanzato della vittima e oggi unico condannato in via definitiva a sedici anni, non sia stato il primo a imbattersi nel corpo senza vita di Chiara ma abbia soltanto ripetuto una versione «suggerita», priva di riscontri fisici come la presenza di tracce ematiche sulle scarpe.

La ricostruzione processuale fissata dalla sentenza d’Appello-bis, confermata nel 2015 dalla Cassazione, colloca l’ora della morte fra le 9.12, momento in cui l’allarme domestico viene disinserito da Chiara, e le 9.35, quando Stasi riaccende il computer di casa propria. Proprio su questo intervallo temporale si è basata la condanna dell’ex studente bocconiano e la successiva concessione del regime di semilibertà, mantenuto dopo il rigetto del ricorso della Procura generale di Milano lo scorso primo luglio.

Il racconto di Lovati pone allora due domande fondamentali: da dove sarebbe trapelata, con oltre due ore d’anticipo, la notizia dell’omicidio? E in che modo si concilia con la telefonata al 118 effettuata da Stasi alle 13.50, nella quale il giovane chiede un’ambulanza «perché forse è stata uccisa una persona» senza essere certo che la fidanzata sia ancora viva? Gli operatori sanitari entreranno nella villetta di via Pascoli solo alle 14.11, trovandosi davanti a una scena già alterata dalla presenza di numerosi soccorritori.

L’uscita televisiva dell’avvocato ha trovato sponda nell’immediata reazione di Antonio De Rensis, storico difensore di Stasi, che ha definito «importantissime» le dichiarazioni del collega, pur evitando di assumere posizioni definitive. Altri ospiti di studio le hanno però bollate come «poco credibili», complici i diciotto anni trascorsi e l’assenza di riscontri documentali.

Sul fronte investigativo, parallelamente alle memorie di Lovati, la Procura di Pavia ha concentrato l’incidente probatorio su tre reperti: la para-adesiva di un’impronta non attribuita, un tappetino da bagno e un tampone autoptico, tutti contenenti tracce di DNA maschile che non appartengono né a Stasi né a Sempio. Il Riesame delle impronte digitali ha intanto rimesso in discussione l’attribuzione della cosiddetta «traccia 33», ritenendo insufficiente il numero di minuzie utili per collegarla in modo certo a Sempio.

Proprio la figura di Andrea Sempio continua a rappresentare il fulcro della nuova indagine pavese. Gli inquirenti, alla ricerca di eventuali concorrenti dell’omicida, ipotizzano che Chiara possa essere stata colpita più tardi rispetto alla finestra temporale accreditata in Cassazione, forse intorno alle undici, fascia in cui l’amico di Marco Poggi si trovava certamente nel centro di Garlasco, come confermerebbero i tabulati telefonici. La difesa replica esibendo lo scontrino del parcheggio a Vigevano delle 10.18 e sottolinea che le celle agganciate dai dispositivi non provano la presenza sulla scena del crimine.

Nel quadro delle telecomunicazioni emergono inoltre frequenti scambi di messaggi tra Sempio e due amici, Mattia Capra e Roberto Freddi, avvenuti tra le 9.58 e le 12.18, tutti registrati su celle garlaschesi. Per i carabinieri, tali contatti, uniti alla traccia genetica rilevata sotto le unghie della vittima – ancora in attesa di definitiva conferma –, lascerebbero spazio al sospetto di un suo coinvolgimento. Per la difesa, al contrario, le stesse conversazioni dimostrano un comportamento routinario incompatibile con la partecipazione a un omicidio violento e organizzato.

L’elemento realmente dirompente, più che il dato genetico, riguarda tuttavia la sovrapposizione, o la coesistenza, di due possibili finestre orarie: quella breve – fra le 9.12 e le 9.35 – su cui si è basata la condanna di Stasi, e quella più ampia – fra le 10.30 e le 12 – suggerita dai primi accertamenti medico-legali e oggi riesumata dal nuovo filone d’indagine. Se quest’ultima venisse suffragata, la testimonianza di Lovati acquisterebbe un peso diverso, giacché dimostrerebbe la diffusione quasi immediata della notizia in un paese a dodici chilometri di distanza, ben prima dell’allarme ufficiale.

Per completezza, va ricordato che lo stesso Lovati, pur sostenendo l’innocenza del proprio assistito, ha negato di voler difendere Sempio «in televisione», rimarcando di parlare soltanto «da testimone» del proprio ricordo. Tale prudenza non impedisce però alle sue parole di alimentare un dubbio che ritorna ciclicamente: l’ipotesi di un depistaggio in grado di indirizzare l’attenzione degli investigatori fin dall’inizio su Stasi, mentre altri protagonisti, o co-protagonisti, si sarebbero defilati.

Resta sullo sfondo la posizione processuale dell’ex bocconiano, attualmente impiegato fuori dal carcere per oltre dodici ore al giorno e atteso dal fine pena nel 2030. Nonostante il regime attenuato, le pronunce della sorveglianza hanno sottolineato la «sofferenza» manifestata dall’imputato nei confronti della famiglia Poggi e la correttezza della condotta detentiva, elementi che non implicano alcuna revisione del giudicato ma aprono la via, in prospettiva, a benefici ulteriori.

Nel prossimo autunno, l’esito delle nuove perizie genetiche e dattiloscopiche, unitamente all’esame incrociato dei tabulati e degli spostamenti, dirà se il ricordo di un mattino di fiera possa tradursi in un elemento processuale o se rimarrà un tassello aneddotico. L’impressione condivisa dagli osservatori giudiziari è che il caso Poggi continui a sfidare la logica binaria colpevole–innocente, imponendo riletture periodiche di atti già noti e costringendo a confrontarsi con la fragilità della memoria, individuale e collettiva, quando il tempo trascorso diventa esso stesso parte della prova. In quel vuoto di certezze, l’enigma delle 11.30 si aggiunge a un mosaico che, dopo diciotto anni, mostra ancora bordi sfumati, contraddizioni tecniche e una dolorosa domanda di verità che nessuna sentenza finora è riuscita a placare. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!

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