Il dato è impietoso: martedì 26 agosto Watson, nuovo titolo di punta lanciato da Canale 5, si è fermato al 10,6% di share. Per una rete che per decenni ha fatto della prima serata la propria bandiera, si tratta di un risultato che va ben oltre il singolo flop. È il segnale di una crisi più ampia, che riguarda la capacità di Mediaset di presidiare il prime time con contenuti forti, riconoscibili e capaci di competere davvero con l’offerta della concorrenza.
Mentre Canale 5 inciampava, Rai 1 con la sua fiction di repertorio ha superato i 20% punti di share, confermando una volta di più la solidità di un’offerta che, pur senza clamori, garantisce continuità e fidelizzazione. In parallelo, lo streaming continua a erodere spettatori, soprattutto nelle fasce più giovani, spostando l’attenzione verso prodotti internazionali e piattaforme on demand. In questo scenario, il 10,6% di Watson non appare come un incidente isolato ma come l’ennesima difficoltà di una rete che non riesce più a intercettare il pubblico trasversale che un tempo era la sua forza.
Negli anni ’90 e nei primi 2000 Canale 5 era il laboratorio di format vincenti, dal varietà alle grandi fiction. I programmi di punta non solo registravano ascolti milionari, ma contribuivano a definire il linguaggio televisivo di un’epoca. Oggi, invece, la rete sembra aver perso la capacità di imporre nuovi modelli e di dettare l’agenda culturale del prime time. I progetti che si discostano dall’intrattenimento puro faticano a emergere, e quando vanno in onda incontrano una disaffezione immediata.
La sopravvivenza della rete in prima serata si regge infatti quasi esclusivamente su programmi come Temptation Island. Un reality costruito su dinamiche prevedibili, litigi programmati e storie di amori in crisi che, però, garantisce ascolti superiori alla media. È un successo che certifica il paradosso: il pubblico premia il cosiddetto trash, mentre diserta i tentativi di proporre qualcosa di diverso. Ma questa formula, per quanto efficace sul breve periodo, rischia di trasformarsi in una trappola editoriale, perché condanna il canale a vivere di rendita senza rinnovare il proprio linguaggio.
Il caso Watson mette in evidenza una questione di fondo: qual è oggi l’identità di Canale 5? È il canale dei grandi show popolari, delle fiction ambiziose e delle serate evento che un tempo catalizzavano l’intero Paese, oppure è ormai confinato a essere il contenitore di reality e talk a basso costo? La sensazione è che manchi una linea chiara. Mediaset sembra oscillare tra l’illusione di poter tornare ai fasti del passato e la necessità di inseguire ciò che “funziona” sul piano commerciale, anche se impoverisce l’offerta editoriale.
Se la tendenza dovesse consolidarsi, il pericolo per Canale 5 è di scivolare lentamente verso l’irrilevanza culturale, diventando un canale capace di generare ascolti solo in occasione di reality o eventi eccezionali, ma incapace di costruire un palinsesto stabile e competitivo. Per un broadcaster generalista che ha fatto la storia della televisione commerciale in Italia, sarebbe una resa senza appello.
La lezione del flop di Watson dovrebbe spingere Mediaset a un ripensamento serio. Non basta affidarsi alla logica del reality a basso costo: serve tornare a investire su idee originali, su autori capaci di parlare al pubblico contemporaneo e su produzioni che abbiano il coraggio di rischiare. Negli anni ’90 Mediaset non aveva paura di innovare, oggi sembra vivere di prudenza e calcoli, perdendo così la capacità di sorprendere.
In un panorama in cui la televisione generalista deve confrontarsi con lo streaming e con un pubblico frammentato, il solo modo per sopravvivere è tornare a essere riconoscibili e autorevoli. Il 10,6% di Watson non è solo un numero: è un campanello d’allarme che Canale 5 non può permettersi di ignorare.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!