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Il mistero di Yonaguni, l’Atlantide del Giappone tra mito e scienza

La Struttura Yonaguni divide gli scienziati tra chi la considera un monumento artificiale di 5.000 anni e chi la interpreta come formazione geologica naturale creata da erosione e attività sismica.
Immagine generata a scopo dimostrativo

Al largo delle coste meridionali dell’isola di Yonaguni, la più remota del Giappone, giace uno dei misteri archeologici più affascinanti del mondo moderno: una massiccia formazione rocciosa sommersa che da quattro decenni divide la comunità scientifica internazionale. Scoperta nel 1986 dal sommozzatore locale Kihachiro Aratake durante un’immersione per osservare gli squali martello, la struttura ha immediatamente catturato l’attenzione mondiale per le sue caratteristiche apparentemente architettoniche: terrazze geometriche, angoli retti perfetti e quello che sembrano essere gradini scolpiti nella roccia.

La Struttura Yonaguni, soprannominata “Atlantide giapponese” per la sua collocazione sui fondali oceanici, si estende per circa 150 metri in lunghezza e 40 in larghezza, raggiungendo un’altezza di 27 metri con la sommità situata a soli 5 metri sotto la superficie. La formazione è composta da arenarie e argilliti del Gruppo Yaeyama, risalenti a circa 20 milioni di anni fa, che costituiscono gran parte della geologia locale delle isole Ryukyu.

Credit © Wikipedia

Il professor Masaaki Kimura dell’Università delle Ryukyu ha dedicato oltre due decenni allo studio di questo enigma sottomarino, effettuando più di 100 immersioni sul sito e raccogliendo evidenze che, secondo la sua interpretazione, supportano inequivocabilmente l’origine artificiale della struttura. Kimura sostiene che le formazioni rappresentino i resti di un’antica città costruita durante l’era glaciale, quando il livello del mare era significativamente più basso dell’attuale e l’area di Yonaguni faceva parte di un ponte continentale che collegava il Giappone all’Asia attraverso Taiwan e le isole Ryukyu.

Secondo le ricerche di Kimura, il sito rappresenterebbe una città di 5.000 anni che sarebbe sprofondata circa 2.000 anni fa a causa di attività sismica. Il geologo marino afferma di aver identificato almeno 15 strutture artificiali nella zona, includendo quello che interpreta come un castello, una rete di strade, acquedotti e persino un sistema di drenaggio costituito da pietre rotonde strategicamente posizionate. La datazione proposta si basa sull’analisi delle stalattiti trovate nelle grotte sottomarine circostanti, che secondo Kimura si sarebbero formate quando l’area era ancora emersa.

Particolarmente intriganti sono le incisioni che Kimura sostiene di aver identificato sulla superficie rocciosa, che presenterebbero similitudini con quelle trovate su una tavoletta di pietra rinvenuta anni fa vicino a Okinawa. Questa tavoletta riporta simboli appartenenti a un linguaggio ancora indecifrato, ma include un disegno che, secondo l’interpretazione di Kimura, ricorda la struttura del tempio sommerso di Yonaguni.

Diversamente orientato è il geologo Teruaki Oshii, che suggerisce una cronologia ancora più antica per l’eventuale costruzione umana, ipotizzando che le strutture potrebbero essere state realizzate prima della fine dell’era glaciale, il che sposterebbe la datazione a oltre 10.000 anni fa e renderebbe Yonaguni contemporaneo o addirittura precedente a siti come Göbekli Tepe in Turchia.

Tuttavia, la comunità scientifica internazionale ha accolto queste teorie con scetticismo sostanziale. Il geologo Robert Schoch della Boston University, che ha condotto immersioni approfondite sul sito, rappresenta la corrente di pensiero predominante che attribuisce la formazione di Yonaguni a processi geologici naturali. Schoch osserva che le arenarie che compongono la struttura contengono numerosi piani di stratificazione paralleli ben definiti lungo i quali gli strati si separano facilmente, mentre la roccia è attraversata da molteplici serie di fratture parallele orientate verticalmente.

Secondo questa interpretazione geologica, le caratteristiche apparentemente architettoniche di Yonaguni sarebbero il risultato dell’azione combinata di terremoti, erosione marina e correnti oceaniche. Yonaguni si trova in una regione altamente sismica, e tali eventi tendono a fratturare le rocce in maniera regolare, creando le formazioni rettangolari osservate. Schoch sottolinea inoltre che formazioni simili esistono sulla costa nordorientale dell’isola di Yonaguni, dove sono chiaramente visibili e inequivocabilmente naturali.

Il geologo tedesco Wolf Wichmann, che ha studiato le formazioni durante spedizioni nel 1999 e 2001, ha concluso anch’egli che le strutture potrebbero essersi formate attraverso processi naturali. Questa posizione è supportata da studi più recenti del 2019 condotti da Takayuki Ogata e altri ricercatori, che hanno utilizzato modelli digitali di elevazione e indagini geologiche sul campo per analizzare la topografia dell’isola di Yonaguni.

La ricerca di Ogata ha evidenziato che, nonostante il Monumento di Yonaguni possa apparire come una costruzione artificiale, si tratta di una formazione naturale creata dai processi di weathering ed erosione che agiscono sui piani di stratificazione e sulle fratture lineari nell’arenaria. Lo studio ha inoltre notato che caratteristiche simili possono essere osservate in altri siti geologici lungo la costa meridionale dell’isola di Yonaguni.

Un elemento cruciale nel dibattito è la completa assenza di manufatti archeologici inequivocabilmente umani sul sito. Nonostante decenni di esplorazioni sistematiche, non sono mai stati rinvenuti strumenti, ceramiche, resti organici o altri elementi che possano fornire evidenza diretta di presenza umana antica. Questa mancanza di reperti archeologici rappresenta uno dei maggiori punti deboli nella teoria dell’origine artificiale.

La controversia si inserisce in un contesto più ampio di ricerche sui siti sommersi nel Pacifico occidentale. Durante l’ultimo massimo glaciale, circa 20.000 anni fa, il livello del mare era effettivamente più basso di 100-120 metri rispetto all’attuale, rendendo teoricamente possibile l’esistenza di insediamenti umani in aree oggi sommerse. Tuttavia, la presenza di antiche civiltà capaci di costruire monumenti così complessi in quest’area e in quest’epoca rimane altamente speculativa.

Le autorità giapponesi hanno mantenuto una posizione cauta riguardo alle affermazioni di Kimura. Né l’Agenzia per gli Affari Culturali del Giappone né il governo della Prefettura di Okinawa riconoscono le formazioni al largo di Yonaguni come importanti proprietà culturali, e nessuna delle due istituzioni governative ha condotto ricerche o lavori di conservazione sul sito, lasciando tali sforzi a professori e altri individui interessati.

Nonostante il dibattito scientifico irrisolto, il Monumento di Yonaguni è diventato una destinazione di immersione popolare, conosciuta localmente come “Ruins Point” e rappresenta una preziosa risorsa turistica per l’isola di Yonaguni. Le immersioni sul sito rimangono tecnicamente impegnative a causa delle forti correnti oceaniche che caratterizzano l’area, rendendo accessibile il sito solo a subacquei esperti accompagnati da guide specializzate.

Il mistero di Yonaguni continua ad alimentare discussioni accademiche e speculazioni popolari, rappresentando un perfetto esempio di come la scienza proceda attraverso il confronto di interpretazioni diverse basate sulle stesse evidenze. Mentre la maggioranza della comunità scientifica propende per un’origine naturale della formazione, la possibilità che interventi umani antichi abbiano modificato strutture naturali preesistenti non può essere completamente esclusa, mantenendo vivo il fascino di quello che alcuni continuano a considerare l’Atlantide del Pacifico. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!