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Bignami: “Mattarella smentisca il piano contro Meloni”. Il Colle: “Ridicolo”

Scontro istituzionale tra Quirinale e Fratelli d’Italia dopo l’articolo de La Verità su presunti piani del Colle contro Meloni. Bignami chiede smentita, il Quirinale replica definendo le accuse “ridicole”.

Uno scontro istituzionale di rara intensità ha caratterizzato la giornata del 18 novembre 2025, quando il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Galeazzo Bignami ha chiesto formalmente alla Presidenza della Repubblica di smentire le ricostruzioni pubblicate dal quotidiano La Verità, secondo cui un consigliere del Quirinale starebbe orchestrando iniziative dirette a impedire la vittoria elettorale di Giorgia Meloni e del centrodestra alle elezioni del 2027. La risposta del Colle si è materializzata con una nota dai toni insolitamente duri, esprimendo “stupore” per le parole di Bignami e bollando le ricostruzioni giornalistiche come un “ennesimo attacco alla Presidenza della Repubblica costruito sconfinando nel ridicolo”.

>> La Verità: “Un consigliere di Mattarella vuole far cadere Meloni”

La controversia trae origine da un articolo firmato dal direttore Maurizio Belpietro con il titolo eloquente “Il piano del Quirinale per fermare la Meloni”. Nel pezzo si sostiene che ambienti del Quirinale, in particolare il consigliere per gli Affari del Consiglio Supremo di Difesa Francesco Saverio Garofani, ex parlamentare del Partito Democratico per tre legislature, starebbero progettando una “grande lista civica nazionale” sul modello della coalizione Ulivo che portò alla vittoria Romano Prodi nel 1996, con il dichiarato intento di sbarrare la strada al centrodestra. La fonte citata da Belpietro attribuisce a Garofani un virgolettato di notevole impatto: “Un anno e mezzo di tempo forse non basta per trovare qualcuno che batta il centrodestra: ci vorrebbe un provvidenziale scossone”.

Nell’interpretazione fornita dall’articolo, questo ipotetico scossone potrebbe concretizzarsi attraverso molteplici strumenti: un eventuale esito negativo al referendum sulla giustizia previsto per la primavera del 2026, interventi della Corte dei Conti volti a ostacolare l’azione dell’esecutivo, oppure una crisi finanziaria con l’impennata dello spread sul modello di quella che nel novembre 2011 travolse il governo Berlusconi determinando l’insediamento del governo tecnico presieduto da Mario Monti. Il riferimento storico non è casuale: allora Giorgio Napolitano aveva sondato la disponibilità di Monti già nel giugno 2011, quando lo spread era ancora sotto i livelli di guardia e il governo in carica non era stato formalmente sfiduciato dal Parlamento.

Di fronte alle ricostruzioni pubblicate, Bignami ha immediatamente richiesto alla Presidenza della Repubblica di fornire una smentita formale e immediata. Secondo il capogruppo di Fratelli d’Italia, l’articolo riferisce in maniera circostanziata di conversazioni in cui si auspicherebbe la formazione di coalizioni alternative con il dichiarato intento di impedire una vittoria del centrodestra alle prossime elezioni politiche, progetti che si spingerebbero addirittura ad auspicare un provvidenziale scossone contro l’attuale governo. La richiesta si conclude con una formula che appare quasi un aut aut: “Confidiamo che queste ricostruzioni siano smentite senza indugio in ossequio al rispetto che si deve per l’importante ruolo ricoperto dovendone diversamente dedurne la fondatezza”.

La risposta del Quirinale si è materializzata a stretto giro di posta, con una nota ufficiale dai toni insolitamente severi per gli standard istituzionali della Presidenza della Repubblica. Il testo, diffuso dagli uffici stampa del Colle, esprime “stupore per la dichiarazione del capogruppo alla Camera del partito di maggioranza relativa che sembra dar credito a un ennesimo attacco alla Presidenza della Repubblica costruito sconfinando nel ridicolo”. La scelta lessicale non lascia margini di interpretazione: il Quirinale non solo respinge le ricostruzioni giornalistiche definendole ridicole, ma manifesta sorpresa per il fatto che un esponente del principale partito di governo abbia ritenuto di dare credito a simili narrazioni, chiedendo formalmente una smentita invece di prendere immediatamente le distanze.

La vicenda assume ulteriori contorni di complessità con la controreplica di Maurizio Belpietro, che non arretra di un millimetro rispetto a quanto pubblicato. Il direttore de La Verità conferma infatti “parola per parola quanto pubblicato oggi” aggiungendo che “di ridicolo in questa vicenda c’è solo il maldestro tentativo di mettere il silenziatore a dichiarazioni inquietanti rilasciate da un consigliere del presidente della Repubblica”. L’espressione “mettere il silenziatore” evoca un atteggiamento censorio che il giornalista attribuisce agli ambienti del Quirinale, ribaltando l’accusa di infondatezza lanciata dalla Presidenza della Repubblica.

La polemica si inscrive in un solco già tracciato nella storia della Seconda Repubblica, caratterizzata da ripetuti momenti di tensione tra Presidenza della Repubblica e governi di centrodestra. Lo stesso articolo di Belpietro richiama esplicitamente il precedente del 1994, quando l’allora Presidente Oscar Luigi Scalfaro chiese al cardinale Camillo Ruini, durante un pranzo al Quirinale cui partecipavano anche il cardinale Angelo Sodano e monsignor Jean-Louis Tauran, di aiutarlo a far cadere il primo governo Berlusconi. Il porporato ha confermato pubblicamente l’episodio in una intervista al Corriere della Sera nel 2024, rivelando che la richiesta venne respinta: “Effettivamente andò così. La nostra decisione di opporci a quella che ci appariva come una manovra, al di là della indubbia buona fede di Scalfaro, fu unanime”.

Altrettanto controverso rimane il ruolo svolto da Giorgio Napolitano nel 2011, quando l’allora Presidente della Repubblica sondò già nel giugno di quell’anno la disponibilità di Mario Monti a sostituire Berlusconi, in un momento in cui lo spread era ancora sotto i livelli di guardia e il governo in carica non era stato formalmente sfiduciato dal Parlamento. Napolitano avrebbe nominato Monti senatore a vita l’11 novembre 2011, inviando così un messaggio al Parlamento sulla direzione auspicata, mentre il differenziale tra Btp e Bund tedeschi raggiungeva quota cinquecento punti base. Il 12 novembre Berlusconi rassegnò le dimissioni e a Monti venne affidato l’incarico di formare il nuovo esecutivo.

La figura di Francesco Saverio Garofani, al centro delle attenzioni per le presunte dichiarazioni riportate da La Verità, presenta un profilo che alimenta le perplessità del centrodestra. Nato a Roma nel 1962, laureato in Lettere e Filosofia, Garofani è giornalista professionista proveniente dalla Margherita, formazione politica che confluirà nel Partito Democratico. Dal 1995 al 2003 fu direttore del quotidiano Il Popolo, designato da Gerardo Bianco e Sergio Mattarella quando questi ultimi erano ai vertici del Partito Popolare Italiano. Eletto deputato per tre legislature consecutive con l’Ulivo prima e il Partito Democratico poi, ricoprì l’incarico di presidente della Commissione Difesa della Camera dal 2015 al 2018. Nel marzo 2018 Mattarella lo nominò Consigliere per le questioni istituzionali del Presidente della Repubblica, ruolo che mantenne fino al febbraio 2022 quando, in seguito alla rielezione del Capo dello Stato, venne designato Consigliere per gli Affari del Consiglio Supremo di Difesa, assumendo di conseguenza anche il ruolo di segretario dello stesso consiglio.

La scelta di un politico e giornalista anziché di un militare per tale delega aveva già suscitato discussioni all’epoca della nomina, rappresentando un elemento di discontinuità rispetto alla prassi precedente. Il lungo percorso parlamentare di Garofani nel centrosinistra rende particolarmente sensibile la questione sollevata da La Verità, alimentando nelle forze di maggioranza il sospetto che il Quirinale possa ospitare figure non pienamente in linea con l’imparzialità richiesta dal ruolo istituzionale.

Sullo sfondo di questa vicenda si staglia il tema del referendum sulla giustizia, che potrebbe tenersi nella primavera del 2026 e sul quale il centrodestra ha depositato le firme presso la Corte di Cassazione il 5 novembre 2025. La consultazione referendaria, che si preannuncia come un referendum confermativo senza quorum, interrogherà i cittadini sulla riforma costituzionale della giustizia approvata dal Parlamento su proposta del ministro Carlo Nordio, con particolare riferimento alla separazione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante. Secondo i sondaggi politici del novembre 2025, il 56,1 per cento degli italiani si schiera per il sì, con una convergenza compatta dell’elettorato di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. L’eventuale bocciatura del referendum, paventata nell’articolo de La Verità come uno degli strumenti dello scossone auspicato da ambienti del Colle, rappresenterebbe un duro colpo per il governo Meloni su uno dei pilastri della propria azione riformatrice. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!