Maurizio Belpietro, direttore del quotidiano La Verità, ha pubblicato una ricostruzione che accende i riflettori su presunte manovre orchestrate dai vertici del Quirinale per bloccare l’esecutivo Meloni. Secondo l’indagine del periodico, firmata da fonti descritte come «più che autorevoli», dietro questo scenario si celerebbe Francesco Saverio Garofani, consigliere del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. L’articolo traccia un parallelo inquietante con episodi storici che hanno visto il capo dello Stato entrare direttamente nell’agone politico, trasformando i palazzi istituzionali in centri di potere paralleli rispetto alle scelte degli elettori.
Il filo rosso della narrazione di Belpietro muove dal 2021, dall’insediamento di Mario Draghi a Palazzo Chigi, momento cruciale nel quale l’Italia ha conosciuto l’anomalia costituzionale di un governo non votato dai cittadini. In quella occasione, il scioglimento del Parlamento avrebbe rappresentato la strada costituzionalmente ortodossa, mentre la nomina dell’ex presidente della Banca Centrale Europea ha inaugurato una prassi esecutiva priva di legittimazione popolare. Oggi, sostiene il direttore di La Verità, questa medesima dinamica si repetirebbe con l’obiettivo di impedire a Giorgia Meloni di completare il mandato e di candidarsi alle elezioni del 2027 quale leader di una coalizione di centrodestra. Il campo di manovra per operazioni di questo genere si aprirebbe nel corso dei prossimi mesi, considerata la distanza temporale sufficiente – secondo le interpretazioni correnti presso il Quirinale – a costruire consensi alternativi.
Lo scenario ipotizzato da Belpietro non rappresenta novità assoluta nella storia della Repubblica. Il giornalista ricorda esempi significativi di quando il capo dello Stato si è assunto il ruolo di ‘regista’ politico. Nel 1994, il presidente Oscar Luigi Scalfaro rifiutò di sciogliere il Parlamento dopo la caduta del primo governo Berlusconi, provocato dall’uscita della Lega Nord dalla maggioranza, e affidò l’incarico a Lamberto Dini, primo ministro della Repubblica a carattere esclusivamente tecnico. Nel 2011, fu invece il turno di Giorgio Napolitano, il quale, durante la crisi dello spread, iniziò a sondare già dal giugno quella possibilità di affidare il governo a Mario Monti, ex commissario europeo, che divenne presidente del Consiglio a novembre, sostituendo il secondo esecutivo guidato da Berlusconi. In entrambi i casi, le scelte procedevano in parallelo rispetto ai dettati della sovranità popolare.
Francesco Saverio Garofani non rappresenta una figura estranea all’universo politico. Nato a Roma nel 1962, laureatosi in Lettere e Filosofia, ha percorso un’intera carriera nella politica e nel giornalismo prima di approdare ai vertici del Quirinale. Negli anni Novanta è stato capo redattore del settimanale La Discussione, organo di stampa della Democrazia Cristiana, per poi dirigere dal 1995 al 2003 il quotidiano Il Popolo, quotidiano che rappresentava la cultura cattolica democratica. Nel 2003 ha partecipato alla fondazione del quotidiano Europa, assumendone la carica di vicedirettore. La sua militanza politica lo vede protagonista prima nella Margherita e successivamente nel Partito Democratico, partito dal quale è stato eletto deputato per tre legislature consecutive a partire dal 2006. Durante i suoi mandati parlamentari, ha ricoperto ruoli significativi all’interno della Commissione Difesa, di cui è stato vicepresidente dal 2008 al 2013 e successivamente presidente dal 2015 fino alla conclusione del suo operato in Parlamento nel 2018. Ha inoltre scritto due opere monografiche su Aldo Moro, figura iconica della cultura politica democristiana.
L’incarico ricoperto attualmente presso il Quirinale – consigliere del Presidente della Repubblica per gli Affari del Consiglio Supremo di Difesa – pone Garofani in una posizione di prossimità diretta con Sergio Mattarella, collocandolo nel novero di quelle figure istituzionali capaci di influenzare le scelte più rilevanti della governance nazionale. La sua nomina è stata accolta con scetticismo da esponenti del centrodestra, in particolare da Fratelli d’Italia, che ha comunicato ufficialmente il suo «stupore per la decisione di nominare una figura così politicizzata e di parte come un ex parlamentare del PD per un ruolo che per la prima volta non viene affidato ad un militare».
Sulla base delle ricostruzioni di Belpietro, il presunto progetto orchestrato da ambienti del Quirinale contempla la composizione di una ‘grande lista civica nazionale’, un’ammucchiata di matrice centrista destinata a replicare il successo elettorale del 1996 conseguito da Romano Prodi e dall’Ulivo. Questo scenario politico presupporrebbe una frattura della coalizione di centrodestra, con conseguente passaggio dei partiti centristi verso l’alleanza di sinistra. Il fine ultimo consisterebbe nell’impedimento della vittoria alle urne del centrodestra e, di conseguenza, nella selezione del prossimo presidente della Repubblica, passaggio costituzionalmente rilevante e strategico che avviene nella legislatura successiva.
L’articolo riporta una dichiarazione attribuita a Garofani, nella quale il consigliere di Mattarella sostiene che «un anno e mezzo di tempo forse non basta per trovare qualcuno che batta il centrodestra: ci vorrebbe un provvidenziale scossone». L’espressione assume tonalità significative nell’economia dell’indagine condotta da La Verità, suggerendo una consapevolezza rispetto all’urgenza di trovare strumenti extra-parlamentari idonei a provocare l’instabilità dell’esecutivo governativo. Secondo il direttore di La Verità, i potenziali strumenti di destabilizzazione potrebbero identificarsi in provvedimenti di natura squisitamente istituzionale: il blocco a livello referendario di una consultazione sulla giustizia, le decisioni della Corte dei Conti in grado di minare l’azione esecutiva, o fenomeni di natura macroeconomica come una crisi finanziaria caratterizzata da rialzi significativi dello spread sul debito pubblico, analogo agli scenari sperimentati durante la fase più acuta della gestione berlusconiana.
Il Quirinale, secondo quanto è possibile verificare dai comunicati ufficiali della Presidenza della Repubblica, conferma che Francesco Saverio Garofani ricopre effettivamente la carica di Consigliere per gli Affari del Consiglio Supremo di Difesa dal quale esercita funzioni di Segretario dell’organismo. Le riunioni del Consiglio Supremo di Difesa, presidiate regolarmente da Mattarella, vedono la partecipazione di Garofani quale figura centrale nell’organizzazione e nella gestione amministrativa di questi appuntamenti istituzionali di primaria importanza.
La ricostruzione di Belpietro tocca dunque il cuore di una questione che permea la storia costituzionale italiana: il bilanciamento tra l’espressione della sovranità popolare manifestata attraverso le consultazioni elettorali e il ruolo autonomo rivestito dai vertici dello Stato. Le esperienze storiche citate nel suo articolo testimoniano come i presidenti della Repubblica abbiano esercitato, in momenti ritenuti critici, poteri di interpretazione estensiva delle loro prerogative costituzionali, introducendo nella prassi governativa figure tecniche capaci di governare senza il consenso parlamentare diretto della base elettorale. Sebbene il dibattito sulla legittimità costituzionale di questi percorsi rimane tuttora aperto, rimane innegabile che le scelte operate dai diversi capi dello Stato hanno inciso profondamente sulla geometria politica nazionale e sulla distribuzione dei poteri all’interno dell’esecutivo. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
