In una dichiarazione che segna un’inflexione significativa nella strategia difensiva dell’Alleanza Atlantica, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, presidente del Comitato Militare della NATO dal gennaio 2025, ha rivelato che l’organizzazione sta valutando la possibilità di adottare un approccio più aggressivo e proattivo nella risposta agli attacchi informatici, ai sabotaggi e alle violazioni dello spazio aereo condotte dalla Russia. L’intervista esclusiva concessa al Financial Times ha acceso i riflettori su una delle questioni più delicate e strategiche per la sicurezza europea contemporanea.
Secondo il capo del Comitato Militare della NATO, l’Alleanza si trova di fronte a una scelta cruciale: continuare a operare esclusivamente in modalità reattiva, rispondendo cioè ai colpi inferti da Mosca, oppure sviluppare capacità di intervento anticipatorio. “Stiamo studiando tutto – ha dichiarato Dragone – sul fronte informatico siamo in un certo senso reattivi. Essere più aggressivi o proattivi invece che reattivi è qualcosa a cui stiamo pensando”. Le parole dell’ammiraglio sintetizzano il dibattito che sta attraversando gli stati maggiori dell’Alleanza Atlantica, alimentato dalla crescente pressione esercitata dai diplomatici e dai rappresentanti militari dei paesi dell’Europa orientale, storicamente più esposti alla minaccia russa.
La questione centrale ruota attorno al concetto di “attacco preventivo”, un termine che nella tradizione giuridica internazionale rimane controverso e circondato da ambiguità interpretative. Dragone ha precisato che tale operazione potrebbe essere legittimata come “azione difensiva” nel contesto della tutela delle infrastrutture critiche e della sicurezza collettiva dei paesi membri. Tuttavia, ha aggiunto con franco realismo: “È più lontano dal nostro normale modo di pensare e di comportarci”. L’ammiraglio ha riconosciuto che una simile svolta rappresenterebbe un allontanamento significativo dalla dottrina tradizionale dell’Alleanza, fondata principalmente sulla risposta a minacce concrete e già manifestate.
Sotto il profilo della praticabilità operativa, Dragone non ha nascosto le complessità normative che ostacolano una rapida implementazione di tale strategia. “Essere più aggressivi rispetto all’aggressività della nostra controparte potrebbe essere un’opzione – ha sottolineato – ma le questioni sono il quadro giuridico, il quadro giurisdizionale, chi lo farà”. Queste domande rispecchiano il nodo cruciale che la NATO si trova costretta ad affrontare: la definizione dell’autorità decisionale preposta a intraprendere azioni di questo genere e l’interpretazione del diritto internazionale in materia di uso della forza in chiave preventiva.
L’asymmetria normativa tra la NATO e i suoi avversari costituisce un elemento centrale della riflessione strategica dell’Alleanza. Dragone ha esplicitamente affermato che “la NATO e i suoi membri hanno molti più limiti della nostra controparte per motivi etici, legali e giurisdizionali”. Questa asimmetria, secondo il capo del Comitato Militare, non significa che la NATO si trovi in una posizione perdente, ma certamente più complessa e vincolata rispetto a quella di avversari che operano senza gli stessi freni normativi. La Russia, infatti, ha dimostrato negli ultimi anni di non esitare nel condurre operazioni di guerra ibrida su larga scala, sfruttando canali di comunicazione illeciti, infrastrutture parallele e proxy non dichiarati per raggiungere i propri obiettivi.
Il quadro della minaccia ibrida russa si è intensificato considerevolmente nel periodo successivo all’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022. Dall’inizio del conflitto, la Russia ha orchestrato decine di operazioni di sabotaggio contro le infrastrutture critiche europee, dalla danneggiazione di cavi sottomarini che collegano i paesi baltici alla Germania e alla Finlandia, ai tentativi di interferenza nelle elezioni, dai blackout programmati alle campagne di disinformazione diffuse tramite piattaforme digitali. Secondo i dati forniti dal centro studi <strong<SIS, il numero complessivo di attacchi russi in Europa è quasi triplicato tra il 2023 e il 2024, passando da diciotto a settanta operazioni registrate.
In risposta a questa escalation asimmetrica, la NATO ha lanciato nel gennaio 2025 la missione “Baltic Sentry”, un’operazione militare coordinata dal Comandante Supremo Alleato in Europa, il generale Christopher Cavoli. L’iniziativa coinvolge fregate, aerei da pattugliamento marittimo e una piccola flotta di droni navali, con l’obiettivo di proteggere le infrastrutture sottomarine critiche nel Mar Baltico, in particolare i cavi di telecomunicazione e i gasdotti sottomarine. L’operazione rappresenta un cambio di paradigma nella risposta della NATO: anziché limitarsi a monitorare e segnalare i sabotaggi, l’Alleanza ha optato per una presenza militare visibile e deterrente, con esplicite istruzioni ai comandanti navali di considerare le potenziali minacce alle infrastrutture come motivo di intervento diretto, inclusi possibili abbordaggi, sequestri e arresti di navi sospette.
Secondo l’ammiraglio Dragone, i risultati della missione Baltic Sentry sin dalle prime settimane di operazione forniscono evidenze incoraggianti riguardanti l’efficacia della deterrenza. “Dall’inizio di Baltic Sentry non è successo nulla – ha osservato – questo significa che questa deterrenza sta funzionando”. L’assenza di nuovi incidenti di danneggiamento ai cavi sottomarini dal lancio della missione supporterebbe l’ipotesi che la semplice presenza militare visibile e il segnale politico di determinazione possono avere effetti dissuasivi tangibili. Tuttavia, la questione rimane aperta: la deterrenza passiva sarà sufficiente per contenere l’escalation delle operazioni ibride russe nei prossimi mesi e anni, oppure la NATO dovrà effettivamente passare a forme di azione più intraprendenti?
La spinta verso una strategia più aggressiva proviene specificamente dai paesi dell’Europa orientale, che storicamente rappresentano il confine diretto tra l’Occidente e la sfera di influenza russa. Diplomatici provenienti da Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e altri stati baltici hanno esortato l’Alleanza Atlantica a superare la puramente approccio reattivo e a sviluppare capacità di contrattacco mirato. Un diplomatico baltico ha sintetizzato questa posizione con particolare crudo realismo: “Se continuiamo a essere reattivi, invitiamo la Russia a continuare a provare, a continuare a danneggiarci. Soprattutto quando la guerra ibrida è asimmetrica: costa loro poco e a noi molto”.
Per quanto concerne le modalità operative, gli attacchi preventivi sarebbero teoricamente più fattibili nel dominio informatico e cibernetico, dove molti paesi NATO dispongono effettivamente di significative capacità offensive. L’amministrazione americana ha già confermato una spesa di un miliardo di dollari in operazioni attive di hacking, con l’obiettivo dichiarato di normalizzare l’uso di operazioni informatiche offensive come leva strategica. Tuttavia, nel caso di sabotaggi fisici infrastrutturali o di intrusioni di droni nello spazio aereo, la questione diventa considerevolmente più complessa, poiché comporterebbe potenzialmente azioni militari convenzionali sul territorio di uno stato sovrano.
L’intervento di Dragone ha subito provocato reazioni differenziate negli ambienti diplomatici europei. Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha affermato che la guerra ibrida rappresenta “un tema fondamentale” per la sicurezza europea, sottolineando come l’Italia stia sviluppando nuove strutture amministrative, inclusa una direzione generale dedicata alla sicurezza cibernetica presso il Ministero degli Esteri, per rafforzare le capacità nazionali di risposta a queste minacce. D’altro canto, la Russia ha respinto le affermazioni della NATO come pretestuose: l’ambasciatore russo a Bruxelles, Denis Gonchar, ha dichiarato che l’Alleanza stia “intimidando la sua popolazione con presunti piani inesistenti del Cremlino” per giustificare una “crescente militarizzazione” e accusando l’Occidente di prepararsi attivamente a una “guerra su larga scala” contro la Federazione Russa.
La posizione di Dragone rappresenta essenzialmente il difficile equilibrio che la NATO deve mantenere: da un lato, la necessità di respondere con forza crescente alle provocazioni russe al fine di deterrere ulteriori escalation; dall’altro, i vincoli etici, legali e costituzionali che caratterizzano le democrazie occidentali e che le impediscono di adottare le medesime tattiche brutali impiegate da Mosca. L’ammiraglio ha insistito sul fatto che il modo di ottenere la deterrenza – “attraverso la ritorsione, attraverso l’attacco preventivo” – rappresenta “qualcosa che dobbiamo analizzare a fondo perché in futuro potrebbe esserci ancora più pressione su questo”.
La dichiarazione di Dragone, lungi dall’essere una decisione già assunta, rappresenta piuttosto un invito al dibattito entro le istituzioni NATO sulle modalità di evoluzione della strategia difensiva dell’Alleanza. Rimane ancora da dirimere quale autorità possa legittimamente prendere decisioni in merito ad azioni preventive, quale sia l’effettiva compatibilità di tali operazioni con il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite, e soprattutto quale sia il rischio di escalation incontrollata derivante da un’adozione di simili strategie. La NATO si trova così di fronte a una biforcazione strategica cruciale: mantenere una postura difensiva tradizionale, pur sapendo che potrebbe risultare insufficiente a contenere l’aggressività russa, oppure intraprendere un percorso di maggiore assertività che potrebbe avere conseguenze geopolitiche imponderabili. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
