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Prevenire il Tumore alla prostata, il ruolo dell’attività eiaculatoria: lo studio scientifio

Studi recenti, tra cui una vasta ricerca di Harvard e un’analisi del 2023, indicano che l’eiaculazione frequente può ridurre il rischio di cancro alla prostata.

Il carcinoma prostatico rappresenta una delle sfide oncologiche più complesse e diffuse per la popolazione maschile globale, posizionandosi come una delle principali cause di diagnosi tumorale negli uomini. Per decenni, la comunità scientifica si è concentrata sull’identificazione di fattori di rischio modificabili, spaziando dalle abitudini alimentari all’attività fisica, fino all’esposizione a determinati agenti ambientali. Tuttavia, negli ultimi anni, l’attenzione dei ricercatori si è focalizzata su un aspetto della fisiologia maschile spesso circondato da tabù o imbarazzo: la frequenza eiaculatoria. Un corpus crescente di studi epidemiologici e revisioni sistematiche, tra cui quelle recentemente apparse su prestigiose riviste come Clinical Genitourinary Cancer, suggerisce che l’eiaculazione non sia solo una funzione riproduttiva o edonica, ma possa svolgere un ruolo attivo nella protezione della ghiandola prostatica.

Le evidenze emerse delineano uno scenario in cui una regolare attività sessuale, intesa in termini strettamente fisiologici di espulsione del liquido seminale, potrebbe contribuire a ridurre l’accumulo di sostanze potenzialmente nocive all’interno dei dotti prostatici. Questa prospettiva, che trasforma una normale funzione biologica in una potenziale strategia di prevenzione primaria, sta ridefinendo il modo in cui urologi e oncologi discutono di salute maschile, pur mantenendo la necessaria cautela interpretativa che la medicina basata sulle evidenze impone.

Le basi scientifiche: la revisione su Clinical Genitourinary Cancer

Una pietra miliare recente nel dibattito è costituita dalla revisione sistematica pubblicata sulla rivista specializzata Clinical Genitourinary Cancer. Gli autori di questa analisi hanno esaminato la letteratura esistente per verificare la solidità dell’ipotesi secondo cui l’eiaculazione avrebbe un effetto protettivo. I risultati, pur con le dovute distinzioni metodologiche tra i vari lavori presi in esame, convergono verso una direzione chiara: l’attività eiaculatoria sembra esercitare un effetto benefico sulla salute prostatica generale. Non si tratta di una conferma definitiva di un rapporto causa-effetto lineare, ma di una forte associazione statistica che non può essere ignorata.

La revisione evidenzia come i meccanismi biologici sottostanti, sebbene non ancora completamente elucidati, possano risiedere nella capacità dell’eiaculazione di favorire il turnover dei fluidi prostatici. La prostata, essendo una ghiandola esocrina, produce un secreto che, se non espulso regolarmente, tende a ristagnare. Questo fenomeno di stasi potrebbe favorire la concentrazione di tossine, radicali liberi e sostanze cancerogene intra-luminali che, agendo per lunghi periodi sull’epitelio ghiandolare, potrebbero innescare quei processi infiammatori cronici o mutazionali alla base della carcinogenesi. L’eiaculazione frequente agirebbe quindi come un meccanismo di “lavaggio” (wash-out), riducendo il tempo di esposizione del tessuto prostatico a questi agenti potenzialmente dannosi.

I grandi numeri: lo studio di Harvard del 2017

Quando si parla di frequenza eiaculatoria e rischio oncologico, il punto di riferimento imprescindibile rimane il monumentale studio condotto dai ricercatori della Harvard T.H. Chan School of Public Health, i cui risultati più significativi sono stati consolidati e diffusi intorno al 2017. Questa indagine prospettica di coorte ha coinvolto un campione eccezionalmente vasto, composto da oltre 30.000 uomini, monitorati per un arco temporale pluridecennale nell’ambito dell’Health Professionals Follow-up Study.

I dati emersi da questa ricerca sono stati per certi versi sorprendenti per la loro chiarezza statistica. I ricercatori hanno osservato che gli uomini che riportavano una frequenza eiaculatoria elevata, quantificata in almeno 21 volte al mese, presentavano una riduzione del rischio di sviluppare il cancro alla prostata che poteva raggiungere il 33% rispetto ai loro coetanei che eiaculavano con una frequenza bassa, definita tra le quattro e le sette volte al mese. Un aspetto cruciale di questo studio è che l’effetto protettivo è stato riscontrato trasversalmente in diverse fasce d’età, ma con una particolare rilevanza per le abitudini mantenute sia nella terza decade di vita (tra i 20 e i 29 anni) sia nella mezza età. Questo suggerisce che l’effetto non sia limitato a un breve periodo, ma che uno stile di vita sessualmente attivo mantenuto nel tempo possa conferire una protezione cumulativa.

Qual è la frequenza consigliata?

Il panorama della ricerca non si è fermato ai risultati di Harvard. Studi più recenti hanno cercato di affinare la comprensione di questa associazione, indagando se esistano soglie minime di efficacia accessibili anche a chi non mantiene ritmi così elevati. In questo contesto si inserisce un interessante studio del 2023, condotto su un campione mirato di 456 uomini di età compresa tra i 40 e gli 80 anni. Sebbene di dimensioni più contenute rispetto alle grandi coorti prospettiche americane, questa ricerca ha fornito indicazioni preziose per la popolazione maschile generale.

I risultati di questa indagine più recente sono apparsi incoraggianti anche per frequenze più moderate. I dati indicherebbero infatti una riduzione del rischio di neoplasia prostatica già in presenza di un’attività eiaculatoria regolare che si attesta intorno alle quattro volte al mese. Questo dato è particolarmente significativo perché suggerisce che non sia necessario raggiungere le 21 eiaculazioni mensili per ottenere alcun beneficio; piuttosto, esisterebbe una curva dose-risposta in cui anche un’attività moderata offre vantaggi rispetto alla totale astinenza o a frequenze molto basse. Tale evidenza riduce l’ansia da prestazione che potrebbe derivare dal confronto con i dati di Harvard e promuove un messaggio di salute pubblica più inclusivo e realistico.

L’ipotesi del ristagno prostatico e i meccanismi biologici

Per comprendere appieno perché l’eiaculazione possa fungere da scudo contro il cancro, è necessario addentrarsi nella biologia della ghiandola prostatica. La teoria più accreditata, nota come “ipotesi del ristagno prostatico”, postula che il fluido seminale contenga diverse sostanze chimiche, tra cui potassio, zinco, acido citrico e enzimi proteolitici, che possono concentrarsi fino a livelli molto elevati. Alcuni di questi composti, se lasciati accumulare per lunghi periodi all’interno degli acini ghiandolari, potrebbero cristallizzare o subire ossidazione, trasformandosi in agenti pro-infiammatori.

L’infiammazione cronica è un noto precursore di molte forme tumorali. Inoltre, i dotti prostatici possono essere sede di micro-calcificazioni note come corpora amylacea, la cui presenza è spesso associata a processi infiammatori. L’atto eiaculatorio, provocando la contrazione della muscolatura liscia della prostata e l’espulsione violenta del fluido, impedirebbe fisicamente la formazione di questi depositi e rimuoverebbe le sostanze cancerogene prima che possano danneggiare il DNA delle cellule epiteliali. Alcuni ricercatori ipotizzano anche che l’eiaculazione influenzi i livelli di tensione psicologica, riducendo lo stress sistemico che, a sua volta, è un fattore in grado di deprimere il sistema immunitario e favorire la progressione delle malattie.

Controversie e considerazioni cliniche

Nonostante l’ottimismo generato da questi dati, la comunità scientifica invita alla prudenza e all’analisi del contesto. Non tutti gli studi sono unanimi e alcune ricerche passate avevano persino suggerito che un’attività sessuale molto intensa in giovane età (20-30 anni) potesse correlarsi a un rischio leggermente aumentato, forse a causa di una maggiore esposizione agli ormoni androgeni o a infezioni sessualmente trasmissibili, che rappresentano un fattore di rischio indipendente per l’infiammazione prostatica. È fondamentale distinguere, ove possibile, tra eiaculazione derivante da rapporti sessuali e masturbazione: mentre la prima può comportare rischi infettivi se non protetta, la seconda è esente da tali variabili confondenti e sembra confermare l’effetto protettivo puramente meccanico.

In conclusione, sebbene non esista ancora una “prescrizione” medica universale sul numero di eiaculazioni mensili, il consenso scientifico attuale tende a considerare l’attività eiaculatoria regolare come parte integrante di uno stile di vita sano per la prostata. Le evidenze dello studio di Harvard e le conferme del 2023 offrono una prospettiva rassicurante: mantenere attiva la funzione prostatica non è solo una questione di benessere sessuale, ma potrebbe rappresentare una valida strategia complementare di prevenzione oncologica, da affiancare sempre ai controlli urologici periodici e a uno stile di vita equilibrato. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!