Dopo decenni in cui si pensava relegata ai libri di storia della medicina, la lebbra – o morbo di Hansen – torna a riaffacciarsi nel cuore dell’Europa. A pochi giorni di distanza l’uno dall’altro, Romania e Croazia hanno confermato cinque casi: quattro a Cluj-Napoca, in Transilvania, e uno a Spalato. La notizia ha suscitato non poche preoccupazioni, non solo per la natura della malattia, ma anche per la dinamica epidemiologica: tutti i soggetti coinvolti sono immigrati asiatici impiegati nei rispettivi Paesi come lavoratori a basso reddito.
Il caso rumeno ha colpito un centro massaggi della città di Cluj-Napoca, dove quattro donne asiatiche – tre delle quali ancora in fase di valutazione clinica – sono risultate positive o sospette portatrici della malattia. Il salone è stato chiuso in via precauzionale, e l’intera struttura è stata sottoposta a sanificazione. Le autorità rumene, pur tentando di rassicurare la popolazione, non possono ignorare la portata simbolica del fenomeno: l’ultimo caso ufficiale in Romania risaliva al 1981. Da allora, il morbo di Hansen era considerato praticamente eradicato. Ora, a distanza di 44 anni, la malattia si ripresenta, e lo fa attraverso un canale ben preciso: quello dell’immigrazione non controllata, spesso legata a circuiti di lavoro poco trasparenti e a condizioni igienico-sanitarie discutibili.
Anche la Croazia, che non registrava casi dal 1993, si trova ora ad affrontare una nuova infezione. Il paziente è un uomo nepalese residente nel Paese balcanico da due anni, che si è presentato alle autorità sanitarie con sintomi compatibili. La diagnosi è stata confermata e, come in Romania, è stata immediatamente avviata una profilassi per i contatti stretti, tutti fortunatamente risultati negativi. Le autorità croate si sono affrettate a dichiarare che “la situazione è sotto controllo”, ma la domanda che serpeggia tra cittadini e addetti ai lavori è una sola: come è possibile che una malattia antica, quasi scomparsa dal continente europeo, torni a manifestarsi nel 2025?
Il nodo della questione, al di là della rassicurante – ma non sempre sufficiente – risposta delle istituzioni, sembra affondare le radici in un fenomeno più ampio e strutturale. L’arrivo massiccio di lavoratori provenienti da aree del mondo dove alcune patologie infettive sono ancora endemiche comporta inevitabilmente dei rischi sanitari. L’Europa, negli ultimi anni, ha spalancato le porte a milioni di migranti senza predisporre meccanismi di screening sanitari sufficientemente rigorosi. Il risultato è che malattie considerate ormai appartenenti al passato, come tubercolosi, scabbia e ora persino la lebbra, fanno ritorno anche in Paesi dove l’igiene pubblica e i sistemi sanitari avevano raggiunto livelli eccellenti.
Non si tratta di alimentare allarmismi, ma di guardare con lucidità a un’evidenza sempre più difficile da negare: l’ideologia dell’apertura indiscriminata dei confini, accompagnata da una gestione lassista dei flussi migratori, rischia di compromettere conquiste sanitarie faticosamente raggiunte in oltre un secolo di medicina moderna. Oggi la minaccia non è la lebbra in sé, curabile con antibiotici e con bassa contagiosità, ma l’indifferenza di fronte a segnali che dovrebbero invece suonare come campanelli d’allarme per tutta l’Unione Europea. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
