Carlo Conti cambia spartito. Dopo l’energia trascinante di Tutta l’Italia di Gabry Ponte, che nel 2025 aveva dato un’impronta forte e riconoscibile al Festival di Sanremo, il direttore artistico ha deciso di voltare pagina, rinunciando a un jingle divenuto non solo tormentone nazionale, ma anche simbolo di un’edizione riuscita. Il pezzo, ricordiamolo, aveva avuto un’eco ben oltre l’Ariston, tanto da essere scelto per rappresentare San Marino all’Eurovision Song Contest 2025. Una piccola consacrazione per il deejay torinese e una conferma della lungimiranza artistica della scelta di Conti, almeno fino ad allora.
Ma a quanto pare, il successo non basta. Per l’edizione 2026, il Festival si doterà di un nuovo jingle tratto dal brano Emigrato di Welo, artista emergente eliminato proprio durante la finale di Sanremo Giovani. A colpire non è solo il cambio di rotta, ma il modo in cui è avvenuto: durante i saluti finali, in diretta, Conti ha chiesto a Welo di rielaborare il ritornello del suo brano—che in origine includeva versi come “immigrato, disgraziato, sfaticato”—trasformandolo in un più edulcorato “è Sanremo, è Sanremo, è Sanremo clap, clap”.
#Welo con “EMIGRATO” accede alla finale di #SanremoGiovani 🎤#Sanremo2026 #SaràSanremo pic.twitter.com/ErSpUK6B0l
— RaiPlay (@RaiPlay) December 9, 2025
Il gesto, per quanto possa sembrare estemporaneo e genuino, appare invece come il frutto di un preciso orientamento culturale, quello di una televisione sempre più attenta a rincorrere una certa idea di inclusività, anche a costo di sacrificare scelte artisticamente più forti e consolidate. Il jingle di Gabry Ponte aveva il pregio raro di essere immediatamente riconoscibile, ballabile, neutro e popolare: parlava a tutti senza la necessità di mandare messaggi, semplicemente portava musica e festa, come dovrebbe fare Sanremo.
Con Emigrato, invece, il rischio è quello di caricare di sottotesti un momento che dovrebbe rimanere leggero e condiviso. La canzone di Welo nasce da un contesto ben preciso, con un intento dichiaratamente identitario. La sua rielaborazione per l’uso televisivo suona come un’operazione di maquillage culturale: si prende un brano “di denuncia” e lo si trasforma in jingle generalista, cercando di addolcirne la carica provocatoria con qualche battito di mani e un ritornello riadattato. Il risultato? Ancora tutto da vedere, ma l’operazione sa più di necessità di aggiornamento ideologico che non di vera intuizione musicale.
Conti, maestro del compromesso elegante, ha spesso mostrato la capacità di tenere insieme tradizione e innovazione. Ma questa volta, abbandonare Tutta l’Italia non sembra una mossa coraggiosa: piuttosto, pare un cedimento a una certa retorica del presente, in cui ogni scelta deve essere letta e riletta attraverso le lenti del messaggio sociale. Peccato: la musica, a Sanremo, dovrebbe restare protagonista, senza il bisogno di sovrastrutture. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
