Il delitto di Garlasco torna prepotentemente al centro del dibattito mediatico dopo che Quarta Repubblica, il programma condotto da Nicola Porro su Rete 4, ha trasmesso nella puntata del 15 dicembre 2025 un’intercettazione telefonica finora inedita che vede protagonista Alberto Stasi, condannato in via definitiva a sedici anni di carcere per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi. La giovane donna venne trovata senza vita il 13 agosto 2007 nella villetta di famiglia a Garlasco, in provincia di Pavia, in un caso che da quasi due decenni continua a dividere opinione pubblica, esperti e commentatori.
L’audio proposto dalla trasmissione documenta una conversazione privata tra Stasi e il suo primo legale, il professor Angelo Giarda, avvocato di fama e professore emerito di diritto processuale penale all’Università Cattolica di Milano, scomparso nel 2021 a causa del Covid. L’intercettazione risale al 15 novembre 2007, dunque pochi mesi dopo il ritrovamento del corpo della vittima, e si concentra su uno degli aspetti più controversi e dibattuti dell’intera vicenda giudiziaria: il tempo trascorso tra la scoperta del corpo di Chiara Poggi e la chiamata ai soccorsi effettuata da Stasi.
Nel colloquio con l’avvocato Giarda, Stasi commenta quanto visto in un programma televisivo che analizzava proprio la sequenza temporale di quella drammatica mattina. Il legale gli chiede conferma sulla ricostruzione emersa in televisione: “Sono giusti i riferimenti dei minuti?”. La risposta di Stasi è netta e precisa: “Sì, sono sei minuti, sul mio telefono sei minuti”. L’avvocato incalza ulteriormente, cercando di ottenere ulteriori chiarimenti: “Da quando fai l’ultimo squillo a quando chiami la Croce Rossa passano solo sei minuti?”. Anche in questo caso la replica non cambia: “Sì, sei minuti”.
Questi sei minuti hanno rappresentato nel corso degli anni uno dei nodi centrali dell’indagine, un intervallo temporale che è stato analizzato, scomposto e interpretato in molteplici modi. Per l’accusa, infatti, quel lasso di tempo sarebbe risultato incompatibile con la versione fornita da Stasi, mentre per la difesa rappresentava invece la dimostrazione di una reazione immediata e istintiva da parte del giovane che aveva appena scoperto il corpo della fidanzata.
Nell’intercettazione Stasi fornisce la sua spiegazione, sostenendo di non essersi attardato nella villetta: “Io sarò rimasto lì davanti a casa di Chiara davvero pochi secondi, venti o trenta. Ho fatto tutto velocemente: appena ho visto, sono scappato via e ho chiamato quando ero in macchina”. Secondo la sua ricostruzione, quindi, non ci sarebbe stato alcun indugio, nessuna esitazione prolungata, ma soltanto una reazione dettata dallo shock e dalla confusione del momento.
Il giovane prosegue poi spiegando le circostanze in cui si trovava: “Ero completamente nel panico ma non ho niente di inventato, come al solito dico la verità”. Stasi aggiunge di non ricordarsi nemmeno il numero civico della casa al momento della chiamata ai soccorsi, un particolare che a suo dire confermerebbe lo stato di profonda agitazione in cui versava. Queste affermazioni si inseriscono nel quadro di una difesa che ha sempre sostenuto l’estraneità di Stasi ai fatti, nonostante la condanna definitiva pronunciata dalla Corte di Cassazione il 12 dicembre 2015.
L’intercettazione trasmessa da Quarta Repubblica si aggiunge ad altre conversazioni già diffuse nelle scorse settimane dalla stessa trasmissione. In particolare, erano state rese pubbliche telefonate registrate il 23 agosto 2007, nelle quali Stasi parlava con il padre Nicola. In quei dialoghi, carichi di ansia e tensione, il giovane si diceva consapevole di essere finito “nel posto sbagliato al momento sbagliato”, ma ribadiva con forza la propria innocenza. Il timore principale espresso da Stasi era quello di non avere un alibi solido e di apparire, agli occhi degli inquirenti, come l’unico possibile responsabile dell’omicidio.
La figura di Alberto Stasi è stata al centro di intense analisi comportamentali sin dal momento del ritrovamento del corpo. La criminologa Roberta Bruzzone, ospite di programmi televisivi dedicati al caso, ha analizzato in dettaglio la telefonata che Stasi fece al 118 il 13 agosto 2007, subito dopo aver scoperto il corpo della fidanzata. Secondo la Bruzzone, il comportamento di Stasi durante quella chiamata di emergenza presenterebbe caratteristiche tipiche di chi non è realmente concentrato sul soccorso, ma piuttosto sull’elaborare una narrazione che lo distanzi dall’evento.
In particolare, la criminologa ha sottolineato come Stasi, nella telefonata con l’operatrice del 118, non abbia mai pronunciato il nome di Chiara, riferendosi a lei semplicemente come “una persona”. Frasi come “forse è viva” o “forse l’hanno uccisa” risulterebbero, secondo l’esperta, estremamente incongrue per un giovane uomo che aveva appena trovato la propria fidanzata morente. Normalmente, secondo gli studi citati dalla Bruzzone, ci si sarebbe attesi un’espressione del tipo “la mia fidanzata è a terra, aiutatemi, c’è sangue dappertutto”, con un evidente senso di urgenza e disperazione.
Un altro elemento evidenziato dalla criminologa riguarda le indicazioni fornite da Stasi durante la chiamata. Il giovane aveva descritto Chiara come “sdraiata per terra in casa”, mentre in realtà il corpo si trovava sulle scale del seminterrato. Questo tipo di imprecisione, unito all’assenza di un tono di voce che manifestasse shock o disperazione, ha contribuito ad alimentare i sospetti degli inquirenti fin dalle prime ore successive al delitto. Stasi, inoltre, dopo aver effettuato la chiamata al 118, si era recato direttamente alla caserma dei carabinieri, senza attendere l’arrivo dell’ambulanza sul posto, un comportamento giudicato atipico per chi aveva appena scoperto la fidanzata in quelle condizioni.
Il caso di Garlasco ha attraversato un iter giudiziario estremamente lungo e complesso. Alberto Stasi venne arrestato il 24 settembre 2007, una settimana dopo essere stato accusato di omicidio volontario come unico indagato. Tuttavia, nella stessa settimana, il giudice per le indagini preliminari ne dispose la scarcerazione per mancanza di prove sufficienti. Negli anni successivi si celebrarono ben cinque processi, con perizie, testimonianze e consulenze che si sono susseguite senza sosta. La condanna definitiva a sedici anni di carcere arrivò con la sentenza della Cassazione del 12 dicembre 2015, confermata poi in un successivo ricorso nel giugno 2017.
Le prove su cui si è basata la condanna riguardano principalmente elementi indiziari. Tra questi, la convinzione che Chiara Poggi fosse stata uccisa da una persona conosciuta, che era arrivata sul luogo del delitto in bicicletta. Alcuni vicini di casa avevano riferito di aver visto una bicicletta nei pressi della villetta la mattina dell’omicidio. Altri elementi considerati dall’accusa includono l’eccessiva pulizia delle scarpe di Stasi, come se fossero state lavate o cambiate dopo aver camminato sul pavimento macchiato di sangue, l’assenza di tracce ematiche sui suoi vestiti nonostante avesse dichiarato di essersi avvicinato al corpo, e la presenza del DNA di Chiara sui pedali della bicicletta di Stasi. Un’impronta di Stasi fu inoltre trovata sul dispenser del portasapone nel bagno della villetta, interpretata come segno di un lavaggio effettuato dopo il delitto.
Nonostante la condanna definitiva, il caso di Garlasco ha conosciuto una svolta nel marzo 2025, quando la procura di Pavia ha riaperto le indagini dopo che una nuova perizia genetico-forense ha evidenziato la presenza di DNA riconducibile ad Andrea Sempio, amico del fratello della vittima, Marco Poggi, sulle unghie di Chiara. Sempio, che all’epoca dei fatti aveva diciannove anni, è stato indagato per concorso in omicidio. La perizia, condotta dalla genetista Denise Albani nell’ambito di un incidente probatorio, ha concluso che il DNA trovato su tre unghie della vittima risulta compatibile tra il forte e il molto forte con la linea paterna della famiglia Sempio.
L’incidente probatorio, fissato per il 18 dicembre 2025, rappresenta un momento cruciale per le nuove indagini. La perizia della dottoressa Albani, consegnata alle parti in causa all’inizio di dicembre, ha confermato le tesi dei consulenti della procura e della difesa di Stasi. Tuttavia, la stessa Albani ha precisato che non è possibile stabilire con rigore scientifico se le tracce genetiche provengano da fonti di DNA depositate sotto o sopra le unghie della vittima, quali siano state le modalità di deposizione del materiale biologico originario, e soprattutto quando sia avvenuta tale deposizione. Questo lascia aperta la possibilità che il DNA di Sempio possa essere finito sulle unghie di Chiara attraverso un contatto accidentale con oggetti toccati da entrambi, piuttosto che durante un’aggressione diretta.
La difesa di Andrea Sempio ha contestato le conclusioni della perizia, sostenendo che l’indagato potrebbe aver toccato un oggetto nella villetta di via Pascoli che successivamente sarebbe stato maneggiato dalla vittima in un altro momento, in assenza quindi di Sempio. L’avvocato Liborio Cataliotti, legale di Sempio, ha definito la perizia “una pistola ad acqua” piuttosto che “una pistola fumante”, sottolineando come i risultati siano ben lontani dal fornire una prova definitiva della colpevolezza del suo assistito. Sempio, dal canto suo, ha dichiarato pubblicamente di sentirsi tranquillo e che l’esame genetico gli avrebbe addirittura tolto un peso, considerando che quel materiale genetico potrebbe essere attribuito a un suo antenato di centinaia di anni fa, data la natura della compatibilità con la linea paterna.
La famiglia di Chiara Poggi, rappresentata dagli avvocati Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna, ha manifestato fin dall’inizio forti perplessità sulla nuova inchiesta. I legali e il genetista Marzio Capra, che segue da tempo i genitori della vittima, hanno contestato l’esito degli esami genetici condotti dalla Albani, sostenendo che la perizia utilizzerebbe un software non validato e sconosciuto alla comunità scientifica. Secondo la famiglia Poggi, la condanna di Alberto Stasi è stata emessa all’esito di un giusto processo, grazie a prove schiaccianti acquisite faticosamente dalla Corte di Assise di Appello di Milano, e la nuova indagine non avrebbe minimamente scalfito le loro convinzioni. I genitori di Chiara si sono detti dispiaciuti per il fatto che nel mirino degli inquirenti sia finito un amico del figlio Marco.
Anche l’ex procuratore di Pavia Mario Venditti, che aveva condotto le prime indagini sul delitto di Garlasco, è tornato a parlare pubblicamente del caso, definendo l’inchiesta su Sempio “un falso ideologico” e ribadendo la propria convinzione sulla colpevolezza di Stasi. Venditti stesso è finito recentemente sotto inchiesta a Brescia per corruzione in atti giudiziari, una circostanza che ha generato ulteriori polemiche e che ha aggiunto un ulteriore elemento di complessità a una vicenda già di per sé intricata. L’ex magistrato ha rivelato di aver concesso personalmente il rilascio degli audio relativi ad Andrea Sempio agli avvocati difensori di Alberto Stasi, un fatto che ha suscitato interrogativi sulla gestione delle prove e sulle modalità con cui determinate informazioni siano state rese disponibili alle diverse parti processuali.
Un altro giallo emerso nelle ultime settimane riguarda proprio le intercettazioni ambientali catturate nel 2017 all’interno dell’auto di Andrea Sempio, durante le prime indagini che lo vedevano indagato per la prima volta. Alcune di queste registrazioni, mai trascritte integralmente sui documenti ufficiali, sono state diffuse dalla trasmissione “Chi l’ha visto?” condotta da Federica Sciarelli. In uno di questi audio si sente Sempio pronunciare frasi enigmatiche come “c’è qualcosa che non deve andare in giro ai giornalisti” e “quando pensi che però c’hai in ballo trenta anni di galera”. L’avvocato Antonio De Rensis, che insieme alla collega Giada Bocellari difende Alberto Stasi, ha commentato la diffusione di questi audio sottolineando come l’alibi di Sempio sarebbe stato cancellato inavvertitamente e come queste intercettazioni non siano state trascritte casualmente. Secondo De Rensis, gli inquirenti stanno ora passando al setaccio almeno ottocentosei file audio già depositati nella precedente inchiesta, un materiale multimediale che non sarebbe stato ancora trascritto del tutto e sul quale vanno verificate eventuali discrepanze tra ciò che si sente e ciò che almeno in parte fu riversato nero su bianco.
La puntata di Quarta Repubblica del 15 dicembre 2025, che ha trasmesso l’intercettazione esclusiva tra Stasi e l’avvocato Giarda, ha registrato 546.000 spettatori con uno share del 4,2 per cento, confermandosi come uno degli appuntamenti più seguiti della serata per quanto riguarda l’informazione e l’approfondimento. Il caso di Garlasco continua quindi a catalizzare l’attenzione dei media e del pubblico, alimentando un dibattito che non si limita agli aspetti giudiziari, ma che investe anche temi più ampi legati alla corretta amministrazione della giustizia, alla gestione delle prove, all’affidabilità delle perizie scientifiche e al ruolo dei mezzi di comunicazione nel condizionare la percezione pubblica di vicende complesse e controverse.
Alberto Stasi, attualmente detenuto nel carcere di Bollate, ha ottenuto dal gennaio 2023 il permesso di lavorare all’esterno, un primo passo verso la possibile semilibertà. Il suo fine pena è previsto per il 2028, sempre che non intervengano ulteriori sviluppi giudiziari. Stasi continua a dichiararsi innocente e i suoi legali hanno più volte tentato di ottenere la revisione del processo, rivolgendosi anche alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che tuttavia ha respinto le loro istanze. La difesa di Stasi ha sempre sostenuto che la condanna sia stata emessa in assenza di prove decisive e sulla base di un quadro indiziario che non raggiungerebbe il livello di certezza richiesto per una sentenza di condanna.
Le nuove indagini su Andrea Sempio rappresentano quindi una possibile svolta in una vicenda che sembrava ormai chiusa. Tuttavia, i dubbi sollevati dalla perizia della dottoressa Albani, insieme alle contestazioni mosse sia dalla difesa di Sempio che dalla famiglia Poggi, lasciano presagire che la strada verso una eventuale verità giudiziaria definitiva sia ancora lunga e tortuosa. L’incidente probatorio del 18 dicembre potrebbe fornire elementi ulteriori per chiarire alcuni aspetti cruciali, ma è evidente che le posizioni delle diverse parti in causa rimangono distanti e che il caso di Garlasco continuerà a essere oggetto di accesi dibattiti sia nelle aule di tribunale che nell’opinione pubblica.
La diffusione di intercettazioni inedite come quella trasmessa da Quarta Repubblica contribuisce ad alimentare l’interesse verso una vicenda che ha segnato profondamente la cronaca giudiziaria italiana degli ultimi decenni. Le parole di Alberto Stasi, registrate nel novembre 2007 mentre parlava con il suo avvocato, restituiscono il clima di tensione, paura e confusione vissuto nei giorni immediatamente successivi all’omicidio. Parole che, a distanza di quasi diciotto anni, continuano a essere analizzate e interpretate, alla ricerca di elementi che possano contribuire a ricostruire la verità su quanto accaduto quella mattina del 13 agosto 2007 nella villetta di via Pascoli a Garlasco, dove la vita di Chiara Poggi si è interrotta tragicamente, lasciando dietro di sé un’eredità di dolore, domande irrisolte e un dibattito che sembra destinato a non trovare mai una conclusione condivisa da tutte le parti coinvolte. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
