Il caso di Garlasco, una delle vicende giudiziarie più controverse e mediatiche della storia italiana recente, si arricchisce di un nuovo, inquietante capitolo. Nel corso dell’incidente probatorio tenutosi presso il Tribunale di Pavia, è emerso un documento inedito, un verbale manoscritto risalente all’11 settembre 2014, che fino ad oggi non era mai comparso negli atti ufficiali depositati. Un foglio di lavoro che potrebbe riscrivere, almeno in parte, la narrazione scientifica che ha accompagnato le fasi processuali precedenti, in particolare quelle relative all’analisi delle tracce di DNA rinvenute sotto le unghie di Chiara Poggi.
Il documento, redatto dal professor Francesco De Stefano — il perito incaricato durante il processo d’Appello bis — contiene un’annotazione che stride rumorosamente con le conclusioni ufficiali rassegnate all’epoca. Nel manoscritto, infatti, si legge testualmente che “due tracce mostrano un profilo Y comparabile”, mentre una terza evidenzia un profilo diverso. Una affermazione che suggerisce come, già undici anni fa, il materiale genetico non fosse affatto “degradato e non comparabile” come invece fu sostenuto nella relazione finale, la quale lasciò aperta la porta al dubbio, non escludendo né confermando la presenza di Alberto Stasi.
La rivelazione della genetista Albani: “Stasi poteva essere escluso già allora”
A portare alla luce questa discrepanza è stata la genetista Denise Albani, attuale perita nominata dal giudice per le indagini preliminari nell’ambito della nuova inchiesta che vede indagato Andrea Sempio. Durante la sua deposizione in aula, di fronte a un silenzioso Alberto Stasi — presente a sorpresa all’udienza — la dottoressa Albani non ha usato mezzi termini. Analizzando quel verbale “ritrovato”, consegnatole dallo stesso De Stefano, l’esperta ha chiarito che “già nel 2014 era possibile escludere Alberto Stasi da quei campioni”.
La portata di questa affermazione è rilevante. Se all’epoca si fosse stabilito con certezza scientifica che il DNA sotto le unghie della vittima non apparteneva all’imputato, il quadro indiziario avrebbe potuto subire scossoni significativi, benché la condanna definitiva di Stasi non si sia basata esclusivamente sulla prova genetica (che anzi, nel processo definitivo, rimase un elemento neutro). Tuttavia, la difesa dell’ex studente bocconiano, rappresentata dagli avvocati Giada Bocellari e Antonio De Rensis, ha immediatamente colto la gravità della situazione. “Si tratta di un elemento grave”, hanno commentato i legali, sottolineando come la scienza avesse a disposizione dati che, se interpretati o divulgati diversamente, avrebbero potuto eliminare quel velo di ambiguità che ha sempre aleggiato sui reperti ungueali.
Il mistero degli atti spariti
Come è possibile che un documento di tale importanza tecnica sia rimasto fuori dai fascicoli processuali per oltre un decennio? È questa la domanda che risuona ora nei corridoi del tribunale e tra gli addetti ai lavori. Il verbale dell’11 settembre 2014 documentava operazioni peritali a cui parteciparono tutte le parti. Eppure, quel foglio non fu mai allegato alla perizia De Stefano. Il genetista Pasquale Linarello, consulente di parte, ha commentato con amarezza: “Alzo le mani, le carte parlano. Su quel verbale c’è scritto che il DNA è comparabile. Andava cristallizzato nel 2014”. La mancata inclusione di questo atto ha di fatto privato la difesa — e la corte stessa — di un elemento di valutazione che oggi appare cruciale per la ricostruzione della verità storica e processuale.
Ma il “giallo” delle carte non finisce qui. Durante l’udienza è emersa un’altra anomalia documentale: una presunta consulenza tecnica a firma di Marzio Capra, genetista della famiglia Poggi, che verrebbe citata nelle relazioni difensive di Andrea Sempio ma che non risulta fisicamente presente tra il materiale depositato dal giudice. Un cortocircuito burocratico o una dimenticanza che ha sollevato non poche perplessità in aula, tanto da spingere i presenti a chiedersi: “Come è possibile?”.
Il nuovo scenario: Sempio e la “prova” scientifica
Mentre si discute del passato, il presente dell’inchiesta guarda in una direzione precisa: Andrea Sempio. La Procura di Pavia ritiene di aver trovato il bandolo della matassa proprio grazie alle nuove analisi genetiche, che avrebbero confermato la presenza dell’aplotipo Y riconducibile al trentasettenne sulle unghie di Chiara. Un dato che i magistrati considerano ormai “cristallizzato” e sufficiente per ipotizzare una richiesta di rinvio a giudizio nella prossima primavera.
Tuttavia, la partita è tutt’altro che chiusa. Se l’accusa vede in quella traccia la firma dell’assassino, la difesa di Sempio, affidata agli avvocati Liborio Cataliotti e Angela Taccia, ribalta la prospettiva. Per loro, quel risultato non costituisce “né una prova, né un indizio” di colpevolezza, bensì l’esito di una contaminazione secondaria. La tesi difensiva è che il DNA di Sempio possa essere finito sulle mani di Chiara attraverso il contatto con oggetti di uso comune, forse un telecomando o una bicicletta, toccati dall’indagato (che frequentava il fratello della vittima) e successivamente dalla ragazza. I consulenti della difesa, Marina Baldi e Armando Palmegiani, sono già al lavoro per dimostrare scientificamente la plausibilità di questo trasferimento indiretto, cercando di smontare il valore probatorio di quello che l’accusa vorrebbe presentare come la “prova regina”.
Stasi in aula: una presenza silenziosa
A rendere il clima dell’udienza ancora più teso è stata la presenza fisica di Alberto Stasi. L’uomo, condannato a 16 anni di reclusione e attualmente detenuto nel carcere di Bollate, ha assistito al dibattito seduto accanto ai suoi legali. Una partecipazione che ha provocato la reazione stizzita degli avvocati della famiglia Poggi, Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna, i quali hanno chiesto — invano — al GIP Daniela Garlaschelli di allontanare il condannato dall’aula. L’istanza è stata rigettata: Stasi, in quanto parte interessata all’espletamento della prova (che potrebbe teoricamente aprire la strada a una revisione del suo processo), aveva pieno diritto di esserci. “Sono sereno”, avrebbe confidato ai suoi difensori, pur mantenendo il rigoroso silenzio imposto dalla circostanza.
Conclusioni aperte
La giornata si è conclusa con la restituzione degli atti alla Procura. Ora spetterà al procuratore Fabio Napoleone e ai Carabinieri di Milano tirare le somme di questa complessa indagine bis. Da un lato, c’è la convinzione degli inquirenti di aver individuato il vero responsabile o un complice; dall’altro, c’è una difesa agguerrita pronta a dare battaglia sul terreno scivoloso della genetica forense e delle probabilità statistiche. E sullo sfondo, rimane l’ombra di quel foglio manoscritto del 2014, un pezzo di carta che riemerge dal passato per ricordarci che, nel delitto di Garlasco, la verità sembra essere un concetto in perenne movimento, suscettibile di essere riscritta ogni volta che la scienza compie un passo avanti o che un cassetto dimenticato viene riaperto. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
