Con la Manovra 2026, il Governo introduce una misura che definire pericolosa è un eufemismo. Dal 1° gennaio 2029, ogni transazione tra imprese — che si tratti di una cessione di beni o di una prestazione di servizi — sarà colpita da una ritenuta dell’1% a titolo di acconto. Un prelievo obbligatorio operato dal committente al momento del pagamento, che trasforma milioni di imprese in sostituti d’imposta. Un meccanismo che non colpisce l’evasione, ma la normalità. E lo fa nel modo peggiore: introducendo un sospetto sistematico verso chi ogni giorno crea valore.
La logica è quella del “chi non aderisce è colpevole”. Il prelievo, infatti, non si applicherà alle imprese che accettano di sottoscrivere il Concordato Preventivo Biennale o rientrano nel regime di adempimento collaborativo, riservato ai grandi contribuenti. Chi invece sceglie legittimamente di restare fuori da questi strumenti — per prudenza, per diffidenza, o per impossibilità strutturale — verrà penalizzato con una ritenuta automatica su ogni incasso.
Siamo di fronte a un capovolgimento del rapporto tra Stato e contribuente: non è più lo Stato a dover dimostrare l’inadempienza, ma è l’impresa a dover dimostrare la propria affidabilità attraverso l’adesione a forme di “dialogo preventivo” con il Fisco. Un’impostazione che rompe ogni presupposto di equità e presunzione di buona fede, pilastri di qualsiasi sistema fiscale liberale.
Il Governo giustifica la misura parlando di “lotta all’evasione” e di “aumento della tracciabilità”, stimando un potenziale gettito di circa 1,46 miliardi di euro l’anno. Ma se davvero l’obiettivo è quello di combattere l’evasione, allora la direzione da prendere è tutt’altra.
Invece di colpire indistintamente tutto il sistema produttivo, lo Stato dovrebbe premere con decisione sull’acceleratore della fatturazione elettronica, ampliandone ulteriormente l’obbligo e integrando le banche dati con sistemi di controllo in tempo reale, oggi tecnicamente già possibili.
Andrebbe rivista con serietà anche la politica sui pagamenti in contanti. La scelta di alzare le soglie è stata un segnale sbagliato, incoerente con la lotta all’economia sommersa. Occorre invertire la rotta: ridurre di nuovo la soglia legale per i pagamenti cash e al tempo stesso eliminare, una volta per tutte, le commissioni a carico degli esercenti per l’uso del POS. Pagare in digitale deve essere la norma, non un costo.
Infine, se davvero si vuole dare una svolta alla trasparenza fiscale e alla salute finanziaria delle imprese, è necessario introdurre per legge l’obbligo del pagamento entro 30 giorni in tutte le transazioni B2B. Non è più accettabile che nel 2025 aziende sane siano costrette a rincorrere i propri crediti per mesi o anni. La puntualità nei pagamenti, oltre ad essere una questione di civiltà economica, è un presidio reale contro le frodi e l’occultamento di ricavi.
La ritenuta dell’1% è invece una scorciatoia che rischia di fare più danni che benefici. Sottrae liquidità immediata alle imprese, complica la gestione amministrativa, crea disparità e introduce un nuovo fardello burocratico. Per i contribuenti onesti si tradurrà in un’anticipazione di imposta da recuperare a distanza di mesi, mentre per il Fisco sarà solo una partita di giro con un effetto una tantum sul gettito.
Le piccole e medie imprese — che non hanno reparti fiscali strutturati o margini di manovra illimitati — saranno le più colpite. Chi è già in difficoltà si troverà a fare i conti con un’ulteriore sottrazione di liquidità, senza aver commesso alcuna irregolarità. Non è questa la via per costruire un sistema fiscale equo, moderno ed efficiente.
Il Governo faccia un passo indietro. Non è con misure coercitive e con il sospetto generalizzato che si rafforza la lotta all’evasione. Serve fiducia, serve innovazione, serve una politica fiscale che premi davvero i comportamenti virtuosi senza punire chi sceglie di non sottomettersi a un accordo preventivo. L’evasione si combatte con intelligenza, non con automatismi ciechi. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
