Iginio Massari, uno dei maestri pasticceri più autorevoli del panorama internazionale, ha focalizzato l’attenzione sulla vera causa dei rincari alimentari che attanagliano i consumatori e mettono in difficoltà il settore della ristorazione e della produzione alimentare globale. Intervenendo nella trasmissione televisiva Dritto e Rovescio, il celebre artigiano bresciano ha enunciato un messaggio netto e incontrovertibile: «Gli aumenti dei prezzi del cibo non sono dati né dalla guerra né dal petrolio, ma dal cambiamento climatico: noi abbiamo ferito la Terra e ora la Terra si sta vendicando». Una dichiarazione che non rappresenta semplicemente la prospettiva di un professionista del settore, ma che si allinea con quanto emerso dagli studi scientifici più recenti e dalle ricerche condotte dalle principali istituzioni internazionali.
La riflessione di Massari acquista particolare significato nel contesto economico attuale. Mentre il dibattito pubblico continua a concentrarsi sui conflitti geopolitici e sui fattori energetici quali responsabili dell’inflazione alimentare, il maestro pasticciere punta l’indice verso una causa più profonda e strutturale, capace di spiegare la persistenza dei prezzi elevati nonostante gli scenari di relativa stabilità nei mercati globali delle materie prime. La questione, infatti, non riguarda solo la volatilità dei prezzi a breve termine, bensì l’erosione progressiva della capacità produttiva dei sistemi agricoli mondiali, minata dalle condizioni climatiche estreme e dal deterioramento ambientale.
I dati scientifici confermano l’analisi avanzata dal celebre artigiano. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Research Letters in luglio di quest’anno, i ricercatori hanno monitorato sedici eventi meteorologici estremi collegandoli specificamente a rincari alimentari in determinate aree geografiche. I risultati rappresentano un quadro a tinte fosche per la sicurezza alimentare mondiale. L’ondata di caldo e le condizioni del suolo secco nell’estate del 2022 hanno determinato un aumento dell’ottanta per cento dei prezzi delle verdure in California e Arizona. La siccità prolungata tra il 2022 e il 2023 ha spinto verso l’alto del cinquanta per cento i prezzi dell’olio d’oliva in Spagna e Italia. L’ondata di caldo del 2024 in Costa d’Avorio e Ghana, nazioni che producono circa il sessanta per cento del cacao mondiale, ha fatto aumentare il prezzo del cacao di oltre trecento per cento. La siccità brasiliana del 2023 ha provato un aumento del cinquantacinque per cento dei prezzi dei chicchi di caffè Arabica, mentre l’ondata di caldo asiatica ha raddoppiato i prezzi del caffè Robusta. Le alluvioni primaverili australiane del 2022 hanno addirittura triplicato il prezzo della lattuga.
In ambito europeo, la situazione non risulta migliore. Secondo i dati forniti da Wwf Italia in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione, le temperature record e la siccità prolungata hanno alimentato un’emergenza incendi senza precedenti con più di un milione di ettari bruciati in tutta l’Unione europea. Contemporaneamente, alluvioni hanno colpito l’Europa centrale e il nord italiano. Il cambiamento climatico sta compromettendo tangibilmente la produttività dei campi: quattro fenomeni specifici – siccità, gelate, grandinate e piogge estreme – sono responsabili oggi di circa l’ottanta per cento delle perdite agricole nell’Unione europea. Negli ultimi anni, il continente ha sperimentato stagioni sempre più difficili, con il periodo 2022-2023 che ha rappresentato due delle peggiori annate agricole degli ultimi decenni, segnate da ondate di calore e siccità record. Le gelate primaverili del 2025, ad esempio, hanno devastato i frutteti italiani, sommandosi a grandinate sempre più frequenti e distruttive, oltre che a piogge torrenziali capaci di cancellare interi raccolti in poche ore.
In termini di impatto sull’inflazione complessiva, i numeri risultano allarmanti. Maximillian Kotz, ricercatore presso il Centro di Supercalcolo di Barcellona e autore dello studio sul tema, ha spiegato che «temperature anormalmente elevate determinano aumenti dei prezzi del cibo e dell’inflazione complessiva». Il rapporto condotto dai ricercatori del Climate Impact Lab, consorzio di ricerca dell’Università di Chicago, proietta scenari inquietanti: ogni grado aggiuntivo di riscaldamento globale ridurrà la capacità mondiale di produrre cibo di centoventi chilocalorie a persona al giorno, equivalente al quattro virgola quattro per cento dell’attuale consumo giornaliero globale.
La Banca centrale europea ha confermato questa analisi. Alla fine di ottobre, la presidente Christine Lagarde ha visitato il mercato di Sant’Ambrogio a Firenze discussando specificamente dell’inflazione alimentare, ribadendo che i prezzi del cibo rimangono significativamente più alti dell’inflazione media, attualmente collocata al due per cento. Negli ultimi dieci anni, secondo i dati dell’Istat, l’aumento generale dei prezzi alimentari è stato del ventiduedue per cento, con alcuni prodotti che hanno quasi raddoppiato il loro costo. Tra gli alimenti più colpiti figurano le mele con un incremento del trentatré per cento, i cavoli con il cinquanta per cento, i pomodori con il cinquantacinque per cento, le patate con il sessanta per cento e le pesche con il sessantacinque per cento.
La dichiarazione di Massari sottolinea una responsabilità collettiva e storica. L’affermazione secondo cui «noi abbiamo ferito la Terra e ora la Terra si sta vendicando» non rappresenta una considerazione moralistica, bensì una constatazione oggettiva dei meccanismi ambientali e dei feedback negativi già in atto. Il deterioramento climatico non opera in modo lineare, ma generando un complesso sistema di cause ed effetti che si amplificano reciprocamente. Le siccità riducono la disponibilità idrica per i campi irrigui, le alluvioni erodono i suoli, le temperature estreme compromettono il ciclo vitale delle colture, e in questa spirale il prezzo del cibo continua a salire mentre la capacità produttiva diminuisce.
Secondo il rapporto SOFI 2025 dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, l’inflazione alimentare globale ha superato costantemente l’inflazione complessiva dal 2020, raggiungendo un picco del tredici virgola sei per cento nel gennaio 2023. Le cause identificate sono tre: la risposta politica alla pandemia di COVID-19, la guerra in Ucraina e gli eventi meteorologici estremi. Tuttavia, solo l’ultimo elemento possiede carattere di continuità e persistenza strutturale nel tempo. Mentre i conflitti possono cessare e le economie possono stabilizzarsi post-pandemica, gli eventi meteo-climatici estremi non mostrano segnali di attenuazione, piuttosto continuano ad intensificarsi secondo le previsioni scientifiche consolidate.
Il messaggio di Iginio Massari rappresenta dunque un appello implicito affinché il dibattito pubblico riorienti le proprie priorità. Non si tratta di negare l’importanza dei fattori geopolitici e energetici nel complesso fenomeno inflazionistico, piuttosto di riconoscere che la dimensione climatica costituisce un vettore primario e irreversibile di trasformazione dei sistemi alimentari globali. La comunità scientifica internazionale concorda nel ritenere che l’aumento dei prezzi alimentari rappresenta ormai la seconda causa di morte dovuta agli impatti climatici, subito dopo il caldo estremo medesimo. Questo dato quantifica l’urgenza della questione in termini di impatto umano diretto.
La prospettiva futura risulta ulteriormente complicata dalla constatazione che la vulnerabilità climatica dei sistemi agricoli manifesta una distribuzione geografica diseguale. Il Sud Europa è particolarmente esposto a rischi di scarsità idrica e diminuzione dei rendimenti colturali, mentre altre regioni potrebbero beneficiare temporaneamente di condizioni più favorevoli. Tuttavia, questa disparità non riduce la gravità della sfida globale, anzi la amplifica introducendo elementi di instabilità geopolitica connessi alla sicurezza alimentare. Le proiezioni degli analisti del Climate Impact Lab indicano che entro il 2050 ci sarà una riduzione del dieci per cento della resa agricola in risposta al forte riscaldamento, cifra destinata a salire al venticinque per cento circa entro il 2090 qualora le attuali traiettorie emissive non fossero significativamente corrette.
Le parole del maestro pasticciere Iginio Massari, pronunciate in una trasmissione televisiva, acquisiscono pertanto il valore di una testimonianza che sintetizza decenni di osservazione diretta dei cambiamenti nei cicli produttivi e nella disponibilità delle materie prime. Un uomo che ha dedicato la propria carriera al perfezionamento della lavorazione alimentare non può che registrare con precisione come le fondamentali risorse agricole stiano modificandosi sotto la pressione climatica. La sua affermazione che la vera causa dei rincari risiede nel cambiamento climatico rappresenta un riconoscimento di una realtà che le istituzioni internazionali e la comunità scientifica hanno ormai definitivamente acclarato tramite molteplici studi e dati quantitativi. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
