L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha imposto una battuta d’arresto significativa alle strategie di espansione di Meta nel settore dell’intelligenza artificiale, ordinando al colosso di Menlo Park la sospensione immediata delle nuove condizioni contrattuali che avrebbero di fatto estromesso qualsiasi concorrente di Meta AI dalla piattaforma WhatsApp. Il provvedimento cautelare, adottato in una fase cruciale dell’istruttoria avviata formalmente nel luglio 2025 e successivamente ampliata nel mese di novembre, rappresenta un intervento deciso volto a preservare le dinamiche concorrenziali in un mercato, quello dei chatbot basati su intelligenza artificiale generativa, che si trova in una fase di sviluppo tanto rapida quanto delicata. L’Autorità ha ritenuto che la condotta della società guidata da Mark Zuckerberg configuri un presunto abuso di posizione dominante, orchestrato attraverso l’utilizzo strumentale della propria egemonia nel settore della messaggistica istantanea per alterare gli equilibri nel nascente segmento dei servizi di assistenza virtuale intelligente.
Il cuore della contestazione risiede nelle modifiche unilaterali apportate ai termini di servizio di WhatsApp Business, entrate in vigore lo scorso 15 ottobre 2025, le quali introducevano un divieto esplicito per le aziende terze di utilizzare l’infrastruttura della popolare applicazione di messaggistica per veicolare tecnologie di intelligenza artificiale diverse da quelle proprietarie di Meta. Secondo la ricostruzione effettuata dagli uffici di Piazza Verdi, tali clausole contrattuali non si limitavano a promuovere il servizio interno Meta AI, ma creavano una barriera tecnica e normativa insormontabile per gli sviluppatori indipendenti e le società concorrenti, impedendo loro di accedere alla vasta base utenti di WhatsApp, che in Italia conta oltre 37 milioni di account attivi. La strategia messa in atto dal gigante tecnologico viene descritta dagli inquirenti come un classico caso di “leveraging”, ovvero lo sfruttamento di una posizione di forza in un mercato primario – quello della messaggistica personale – per acquisire indebitamente vantaggi competitivi in un mercato secondario e contiguo.
La preoccupazione dell’Antitrust si fonda sulla considerazione che, permettendo a Meta di blindare l’ecosistema WhatsApp rendendolo impermeabile alle soluzioni di terze parti, si rischierebbe di generare effetti irreversibili sulla struttura stessa del mercato dell’intelligenza artificiale in Italia. Se le condizioni contestate fossero rimaste in vigore per tutta la durata dell’istruttoria principale, il cui termine è fissato per il 31 dicembre 2026, Meta avrebbe avuto tutto il tempo necessario per consolidare una posizione di monopolio di fatto, abituando l’utenza all’uso esclusivo del proprio assistente virtuale e rendendo vano qualsiasi successivo tentativo di ingresso da parte di operatori alternativi. L’effetto “lock-in” derivante dall’integrazione profonda di Meta AI nell’interfaccia utente, combinato con l’esclusione amministrativa dei rivali, avrebbe potuto soffocare l’innovazione e ridurre drasticamente le opzioni di scelta per i consumatori e le imprese che utilizzano WhatsApp come canale privilegiato di comunicazione con la propria clientela.
La difesa della multinazionale, affidata a una nota diffusa poche ore dopo la notifica del provvedimento, si articola su motivazioni di natura prettamente tecnica e infrastrutturale. I portavoce di Meta hanno definito la decisione dell’Autorità “fondamentalmente viziata”, sostenendo che l’apertura indiscriminata della piattaforma a chatbot di terze parti comporterebbe un sovraccarico insostenibile per i server e i sistemi di gestione dei messaggi, i quali non sarebbero stati progettati per supportare l’integrazione di molteplici motori di intelligenza artificiale esterni. Secondo la tesi difensiva, le restrizioni imposte non avrebbero finalità anticoncorrenziali, bensì lo scopo di garantire la stabilità del servizio, la sicurezza dei dati degli utenti e un’esperienza d’uso fluida e priva di interruzioni tecniche. La società ha inoltre annunciato l’intenzione di presentare ricorso nelle sedi opportune, preannunciando una battaglia legale che si preannuncia complessa e destinata a creare un importante precedente giurisprudenziale nel rapporto tra grandi piattaforme digitali e regolazione dei mercati.
Il contesto normativo europeo in cui si inserisce questa vicenda è quello delineato dal Digital Markets Act (DMA), il regolamento dell’Unione Europea che impone obblighi specifici alle aziende designate come “gatekeeper”, ovvero controllori dell’accesso ai mercati digitali. Sebbene l’azione dell’AGCM si fondi sulla normativa nazionale e sull’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea relativo all’abuso di posizione dominante, è evidente il coordinamento con le istanze comunitarie e la volontà di applicare con rigore i principi di interoperabilità e non discriminazione che costituiscono i pilastri della nuova dottrina economica europea. L’intervento dell’Autorità italiana si distingue per la sua tempestività e per l’utilizzo dello strumento cautelare, una misura eccezionale che testimonia la gravità del pericolo percepito per la salute concorrenziale del settore tecnologico.
Le implicazioni per il futuro del mercato dei chatbot sono rilevanti non solo per gli sviluppatori di software, ma anche per l’intero tessuto imprenditoriale italiano che guarda all’automazione delle conversazioni come a una leva strategica per il customer care e le vendite. L’impossibilità di integrare soluzioni specializzate su WhatsApp avrebbe costretto molte aziende a ripiegare forzatamente sulla soluzione standardizzata offerta da Meta, rinunciando magari a chatbot verticali più performanti o meglio adattati alle specificità del proprio settore merceologico. Con la sospensione delle clausole esclusive, l’Antitrust ha di fatto riaperto la partita, garantendo – almeno fino alla conclusione dell’istruttoria – che la competizione si giochi sulla qualità degli algoritmi e sull’efficacia delle risposte fornite agli utenti, piuttosto che sulla proprietà dell’infrastruttura di trasmissione dei messaggi.
Un precedente significativo viene così stabilito nel panorama giuridico internazionale, poiché l’Italia si pone all’avanguardia nel contrastare le pratiche di “self-preferencing” applicate ai nuovi paradigmi dell’intelligenza artificiale generativa. Mentre negli Stati Uniti il dibattito sulla regolamentazione delle Big Tech prosegue tra spinte normative e resistenze industriali, l’approccio europeo, e italiano nello specifico, conferma una linea di tolleranza zero verso qualsiasi tentativo di trasferire posizioni di rendita dal vecchio web ai nuovi ecosistemi basati sull’AI. La decisione dell’AGCM obbliga ora Meta a rivedere, almeno temporaneamente, la propria architettura commerciale e tecnica, permettendo l’interconnessione con sistemi esterni e dimostrando nei fatti se le limitazioni tecniche invocate fossero reali necessità ingegneristiche o pretesti per erigere muri difensivi intorno al proprio business.
La vicenda rimane aperta e gli sviluppi dei prossimi mesi saranno determinanti per capire se WhatsApp potrà evolvere in una piattaforma neutrale, aperta a una pluralità di intelligenze artificiali concorrenti, o se tornerà a essere un giardino recintato dominato esclusivamente dagli algoritmi di Meta. Nel frattempo, le imprese italiane attive nel settore dell’AI possono tirare un sospiro di sollievo, vedendo preservata la possibilità di proporre le proprie innovazioni su uno dei canali di comunicazione più diffusi e pervasivi del mondo occidentale, senza dover sottostare al veto preventivo del proprietario della rete. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
