In Italia il 26 dicembre è festivo perché, sul piano religioso, la data è dedicata alla memoria di Santo Stefano, considerato dal Nuovo Testamento il primo martire del cristianesimo, mentre sul piano civile lo Stato lo ha reso giorno non lavorativo nel secondo dopoguerra per estendere la pausa natalizia e garantire due giornate consecutive di riposo dopo il Natale.
La ricorrenza cade immediatamente dopo il 25 dicembre e, nella tradizione liturgica occidentale, questa collocazione non è casuale: la Chiesa antica ha posto accanto al Natale la memoria di figure che, in diversi modi, sono legate alla testimonianza delle origini cristiane, creando una sequenza di celebrazioni che unisce la nascita di Gesù alla prima proclamazione della fede e alle sue conseguenze storiche.
Per comprendere perché il 26 dicembre si chiami comunemente «Santo Stefano» e perché sia segnato in rosso sul calendario, occorre quindi leggere insieme due livelli distinti ma convergenti: quello religioso, che riguarda l’identità del santo e la logica del calendario cristiano, e quello istituzionale, che riguarda l’adozione della data come festività civile valida su tutto il territorio nazionale.
Chi era Santo Stefano: la tradizione cristiana identifica Stefano come il protomartire, cioè il primo testimone che, dopo la morte e la resurrezione di Cristo, avrebbe pagato con la vita l’annuncio del Vangelo, un punto che spiega la rilevanza simbolica della sua memoria in un periodo dell’anno già carico di significati teologici e rituali.
Nelle ricostruzioni divulgative più diffuse, basate sul racconto degli Atti degli Apostoli, Stefano viene descritto come un membro di primo piano della comunità cristiana delle origini e la sua morte è tradizionalmente ricondotta a una condanna per blasfemia e alla lapidazione, collocata in un arco temporale molto vicino agli inizi della predicazione cristiana.
Il calendario liturgico che colloca la sua memoria il 26 dicembre è stato interpretato, in ambito cattolico, attraverso l’idea dei cosiddetti «comites Christi», espressione con cui si indicano coloro che, per prossimità alla vicenda di Gesù e per la testimonianza resa, vengono ricordati subito dopo la celebrazione della sua nascita, in una progressione che include anche figure come Giovanni Evangelista e i Santi Innocenti.
Questo accostamento tra Natale e memoria del martirio è uno dei motivi per cui, nella percezione popolare, Santo Stefano appare come una sorta di naturale prosecuzione del 25 dicembre, quasi un secondo tempo della festività natalizia, in cui la dimensione familiare delle celebrazioni convive con una cornice religiosa che richiama le origini della Chiesa e le prime forme di persecuzione.
Dal rito alla legge: se la Chiesa celebra da secoli la memoria di Santo Stefano, il fatto che in Italia il 26 dicembre sia diventato un giorno festivo per tutti, anche al di là della partecipazione alle pratiche religiose, è legato a una decisione dello Stato che interviene in modo chiaro nel secondo dopoguerra.
Diverse fonti giornalistiche e divulgative convergono nel ricordare che la trasformazione del 26 dicembre in festività civile risale al 1947 e rispondeva a una logica di organizzazione del calendario delle ferie e dei tempi sociali, con l’obiettivo di prolungare la sospensione delle attività lavorative dopo Natale e di avvicinare la struttura delle pause festive a quella già prevista in altre ricorrenze, come avviene per il Lunedì dell’Angelo dopo la Pasqua.
La ricostruzione più ricorrente sottolinea infatti che prima di quella decisione il 26 dicembre non era automaticamente non lavorativo, e che la scelta istituzionale, pur poggiando su una data già significativa per la tradizione cattolica, è stata letta soprattutto come una misura di carattere pratico, capace di garantire continuità al periodo natalizio e di offrire una giornata di riposo aggiuntiva in un passaggio dell’anno in cui molte attività rallentano fisiologicamente.
In questo modo la festa religiosa e la festività civile si sono sovrapposte, producendo l’assetto attuale: per chi pratica, la giornata mantiene un significato liturgico specifico, mentre per l’insieme della popolazione rappresenta una tappa del calendario delle festività nazionali, con ricadute su orari, servizi e organizzazione della vita pubblica.
Perché proprio il 26 dicembre: la collocazione immediatamente successiva al Natale è dunque il punto di incontro tra il disegno liturgico e l’utilità sociale, perché consente di affiancare alla solennità del 25 dicembre una memoria che, nel cristianesimo, richiama l’idea di testimonianza e di sacrificio come conseguenza storica della predicazione.
Sul piano simbolico, l’accostamento suggerisce che la nascita di Cristo, celebrata come evento fondativo, viene immediatamente seguita dal richiamo a chi avrebbe pagato il prezzo più alto per affermare quella stessa fede, un nesso che le letture ecclesiali presentano come parte integrante della comprensione del tempo natalizio e non come un semplice dettaglio di calendario.
Sul piano civile, la scelta di rendere festivo quel giorno ha finito per consolidare una scansione che oggi appare naturale, ma che è il risultato di una decisione storicamente determinata, inserita in un contesto di ricostruzione del Paese in cui l’organizzazione delle festività era anche un tema di gestione sociale e lavorativa.
Tra tradizione e calendario: a distanza di decenni, Santo Stefano continua a funzionare come un dispositivo di continuità del periodo natalizio, perché mantiene viva l’atmosfera delle feste e, allo stesso tempo, consente di distribuire nel tempo spostamenti, visite familiari e chiusure delle attività, un aspetto che molte ricostruzioni contemporanee collegano esplicitamente alle ragioni per cui la festività fu introdotta come giorno non lavorativo.
Nel racconto pubblico, questa giornata viene spesso interpretata come prosecuzione del Natale anche perché il suo significato religioso, pur preciso, è meno legato a rituali domestici codificati rispetto al 25 dicembre, e finisce quindi per ospitare pratiche sociali molto varie, che si innestano su una data il cui statuto è insieme tradizionale e giuridico.
In definitiva, la ragione per cui Santo Stefano si festeggia in Italia sta nella sovrapposizione tra una memoria liturgica antica, centrata sulla figura del protomartire e collocata strategicamente subito dopo Natale, e una scelta dello Stato che dal 1947 ha reso quella data una festività civile con l’obiettivo di prolungare la pausa natalizia, fissando in modo stabile un secondo giorno di riposo consecutivo nel cuore delle feste di fine anno. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
