Fa troppo rumore con i tacchi, condannata a risarcire la vicina con una cifra capogiro

Una donna di Sesto Fiorentino dovrà risarcire con 10mila euro la vicina per i danni psicologici causati dal rumore dei tacchi sul pavimento in gres. Il Tribunale ha riconosciuto lo stato di ansia cronica provocato dal disturbo acustico.
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Un caso di ordinaria convivenza condominiale si è trasformato in una battaglia legale con conseguenze economiche rilevanti a Sesto Fiorentino. Una donna è stata condannata dal Tribunale di Firenze a risarcire la vicina di casa con 10mila euro per i danni psicologici causati dal rumore dei suoi tacchi sul pavimento e dalla caduta di oggetti. I giudici hanno riconosciuto che questi disturbi ripetuti hanno generato nella parte lesa uno “stato di ansia cronica”, considerato un danno biologico meritevole di risarcimento. Una vicenda che evidenzia come la convivenza in condominio possa diventare fonte di gravi disagi quando vengono superati i limiti della tollerabilità acustica.

I fatti risalgono al 2018, quando la donna del piano superiore aveva ristrutturato il proprio appartamento, sostituendo la pavimentazione preesistente con un rivestimento in gres porcellanato, materiale notoriamente rigido e con scarse proprietà di isolamento acustico. Da quel momento, la residente del piano inferiore ha iniziato a percepire in maniera costante e disturbante i passi della vicina, specialmente quando indossava tacchi, oltre al rumore provocato dalla caduta di oggetti sul pavimento. Questi suoni, che si verificavano anche nelle ore notturne, avevano progressivamente compromesso la qualità della vita della donna, fino a provocarle un disturbo d’ansia certificato medicalmente.

Dopo mesi di sopportazione e tentativi falliti di risolvere la questione in via amichevole, la vittima ha deciso di adire le vie legali. Nel 2021, il tribunale aveva già emesso un primo provvedimento che imponeva alla proprietaria dell’appartamento superiore di adottare misure concrete per attenuare l’impatto acustico, in particolare l’uso di tappeti a pelo lungo o moquette nelle zone più critiche dell’abitazione: camera da letto, ingresso, bagno e cucina. Nonostante la vicina avesse posizionato ben 17 tappeti all’interno dell’appartamento, le verifiche tecniche disposte dal giudice hanno evidenziato che questi accorgimenti erano insufficienti.

Durante il procedimento, è emerso che nella stanza da bagno era stato collocato un tappeto di canniccio/legno che, anziché attutire i rumori, paradossalmente li amplificava. Inoltre, cucina e ingresso risultavano privi di qualsiasi rivestimento fonoassorbente, mentre i tappeti presenti nelle altre stanze non coprivano adeguatamente le superfici dalle quali si propagavano maggiormente i rumori. La difesa della donna incriminata aveva tentato di sostenere che i problemi acustici fossero riconducibili alle caratteristiche strutturali dell’edificio, ma questa argomentazione non è stata accolta dal tribunale, che ha ribadito la responsabilità individuale nell’adozione di comportamenti compatibili con la convivenza condominiale.

L’elemento determinante per la decisione del tribunale è stata la perizia medico-legale che ha accertato nelle condizioni di salute della denunciante “sintomi riferibili ad una cronicizzazione del già diagnosticato disturbo dell’adattamento con aspetti emotivi misti ad elementi ansioso-depressivi”. Il perito ha collegato direttamente questa condizione patologica allo stress prolungato causato dalle immissioni sonore provenienti dall’appartamento superiore, riconoscendo un nesso causale tra i rumori molesti e il deterioramento della salute psicofisica della donna.

La sentenza pronunciata dal giudice Liliana Anselmo del Tribunale di Firenze ha accolto parzialmente le richieste della parte lesa, stabilendo un risarcimento di 10mila euro a fronte dei 26mila inizialmente richiesti. Oltre all’indennizzo economico, la decisione ha obbligato la convenuta a sistemare adeguatamente tappeti in tutte le zone dell’appartamento indicate dai periti, per prevenire ulteriori disturbi. La pronuncia si inserisce nel solco dell’articolo 844 del Codice Civile, che sancisce il diritto di ogni individuo a non essere sottoposto a immissioni sonore che superino la soglia della normale tollerabilità.

Il concetto giuridico di normale tollerabilità rappresenta un elemento cardine in questo tipo di controversie. Vivere in condominio comporta necessariamente l’accettazione di un certo livello di rumori quotidiani, considerati fisiologici e inevitabili. Tuttavia, quando questi suoni superano una determinata soglia, sia in termini di intensità che di frequenza e persistenza, diventando fonte di disturbo oggettivo e compromettendo la qualità della vita, si configura una violazione dei diritti altrui. Nel caso in esame, non è stata tanto l’intensità dei singoli rumori a determinare il superamento della soglia di tollerabilità, quanto la loro reiterazione e persistenza nel tempo, inclusa la loro presenza nelle ore notturne destinate al riposo.

In tribunale, la valutazione dell’entità del disturbo viene generalmente affidata a perizie tecniche con misurazioni fonometriche. Gli strumenti rilevano i decibel prodotti e li confrontano con i limiti previsti dalla normativa, che in ambienti abitativi si aggira mediamente intorno ai 35-40 decibel nelle ore diurne, con soglie ancora più basse per le ore notturne. Questi parametri oggettivi vengono poi integrati con la valutazione delle conseguenze concrete sul benessere degli individui esposti, come avvenuto in questo caso con l’accertamento del disturbo d’ansia.

Questo caso di Sesto Fiorentino evidenzia l’importanza di adottare comportamenti rispettosi e attenti alle esigenze di quiete altrui quando si vive in contesti condominiali. La convivenza in edifici multipiano richiede necessariamente un equilibrio tra libertà individuale e rispetto della collettività. Semplici accorgimenti, come evitare di camminare con calzature rumorose nelle ore serali e notturne, utilizzare tappeti o altri rivestimenti fonoassorbenti, e porre attenzione agli impatti sul pavimento, possono prevenire conflitti dal potenziale esito costoso, sia in termini economici che relazionali. La sentenza, pur riferendosi a un caso specifico, costituisce un precedente significativo che potrebbe influenzare future controversie analoghe.

La giudice Anselmo, nella motivazione della sentenza, ha sottolineato che “le immissioni hanno fortemente inciso sul benessere psico-fisico e, quindi, sulla salute del vicino di casa“, ribadendo il principio secondo cui il diritto alla salute, tutelato anche nella sua dimensione psichica, prevale sulle libertà individuali quando queste ultime vengono esercitate in modo da recare pregiudizio ad altri. Una lezione di civiltà e convivenza urbana che ricorda come anche gesti apparentemente innocui, come il semplice camminare in casa propria, possano avere ripercussioni significative sulla vita altrui quando non vengono adottate le necessarie cautele.