Al Nord Italia si lavora in media 255 giorni all’anno, mentre al Sud la media scende a 228 giorni. Questa differenza di 27 giorni lavorativi, pari a più di un mese di attività produttiva, non è dovuta a una maggiore pigrizia dei lavoratori meridionali, ma a fattori strutturali del mercato del lavoro. Lo evidenzia l’ultima analisi dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre, che ha elaborato i dati relativi alle giornate lavorative nel settore privato per l’anno 2023, delineando un quadro che conferma il persistente divario economico tra le due aree del Paese.
L’associazione artigiani e piccole imprese di Mestre sottolinea che questa disparità non può essere interpretata facendo ricorso a stereotipi o luoghi comuni che dipingono i settentrionali come “stacanovisti” e i meridionali come “scansafatiche”. La spiegazione risiede piuttosto in due fattori interconnessi che caratterizzano l’economia del Mezzogiorno e che influenzano significativamente le statistiche ufficiali sul lavoro.
Il primo elemento identificato dagli analisti della CGIA è la diffusa presenza dell’economia sommersa nelle regioni meridionali, un fenomeno che ha dimensioni molto più rilevanti rispetto al resto del Paese. Questa realtà impedisce di conteggiare nelle statistiche ufficiali le ore effettivamente lavorate in modo irregolare, creando una distorsione nei dati che porta a sottostimare l’attività lavorativa reale nel Sud Italia. Il lavoro sommerso, per sua natura invisibile alle rilevazioni ufficiali, contribuisce quindi ad abbassare artificialmente il conteggio delle giornate lavorate.
Il secondo fattore è legato alla struttura stessa del mercato del lavoro meridionale, caratterizzato da elevati livelli di precarietà, dalla diffusa presenza di contratti part-time involontari, soprattutto nel settore dei servizi, e da una forte incidenza di lavori stagionali nell’agricoltura e nel settore turistico-ricettivo. Questi elementi, combinati insieme, contribuiscono a ridurre significativamente la media delle giornate lavorate rilevate dalle statistiche ufficiali, ampliando il divario con le regioni del Nord, dove prevalgono contratti più stabili e continuativi.
La ricerca della CGIA ha anche stilato una classifica delle province italiane in base al numero medio di giornate lavorate durante il 2023. I risultati mostrano una netta prevalenza delle province settentrionali nelle prime posizioni. Al vertice si colloca Lecco, dove gli operai e gli impiegati hanno registrato una media di 264,9 giorni di lavoro nel corso dell’anno. Seguono, con valori molto simili, i dipendenti privati di Biella (264,3 giorni), Vicenza (263,5), Lodi (263,3), Padova (263,1), Monza-Brianza (263), Treviso (262,7) e Bergamo (262,6), tutte aree caratterizzate da un tessuto produttivo solido e diversificato.
All’estremo opposto della classifica si trovano prevalentemente province meridionali. I lavoratori che hanno trascorso meno giorni in ufficio o in fabbrica durante il 2023 sono stati quelli di Foggia (213,5 giorni), Trapani (213,3), Rimini (212,5, unica provincia del Nord in questa parte della classifica), Nuoro (205,2) e, all’ultimo posto, Vibo Valentia, con appena 193,3 giorni lavorati in media. La media nazionale si attesta a 246,1 giorni, un valore che riflette la profonda disomogeneità territoriale del mercato del lavoro italiano.
L’analisi della CGIA evidenzia anche una correlazione diretta tra giorni lavorati, produttività e livelli retributivi. Nelle aree geografiche dove le ore lavorate sono più elevate, infatti, anche la produttività risulta maggiore e, di conseguenza, gli stipendi e i salari sono più consistenti. I dati mostrano che al Nord la retribuzione media giornaliera nel 2023 era di 104 euro lordi, mentre al Sud si fermava a 77 euro, con un differenziale del 35% a favore dei lavoratori settentrionali. Parallelamente, la produttività nelle regioni del Nord risulta superiore del 34% rispetto a quella registrata nelle regioni meridionali.
Questo divario retributivo non fa che accentuare le disuguaglianze economiche e sociali tra le diverse aree del Paese, alimentando un circolo vizioso che rende sempre più difficile il recupero del Mezzogiorno. La prima provincia del Sud a comparire nella classifica delle giornate lavorate si trova soltanto al 55° posto ed è Bari, mentre nella graduatoria delle retribuzioni medie bisogna scendere fino al 66° posto per trovare la prima provincia meridionale, Potenza. La retribuzione media giornaliera al Sud si ferma a 76 euro, contro gli oltre 100 del Nordovest italiano, con la Puglia al terzultimo posto, seguita solo da Sicilia e Calabria.
I dati del 2023 confermano un trend già osservato negli anni precedenti. Già nel 2021, infatti, uno studio della stessa CGIA aveva rilevato che i lavoratori dipendenti del settore privato del Nord lavoravano in media quasi due mesi in più all’anno rispetto ai colleghi del Meridione. Le province con il maggior numero di giornate di lavoro erano già allora Lecco, Vicenza e Treviso, mentre nelle ultime posizioni figuravano Nuoro, Messina e, ancora, Vibo Valentia.
Lo studio dell’associazione artigiani di Mestre non si limita a fotografare una situazione di disparità, ma suggerisce implicitamente l’urgenza di politiche mirate per ridurre il divario tra Nord e Sud. Un contrasto efficace al lavoro irregolare e interventi strutturali per aumentare la stabilità occupazionale nel Mezzogiorno potrebbero rappresentare passi significativi verso una maggiore omogeneità del mercato del lavoro italiano, con benefici per l’intero sistema economico nazionale. Senza un’azione decisa in questa direzione, il divario Nord-Sud rischia di continuare ad aumentare, danneggiando la coesione e la competitività dell’intero Paese.