Il sostegno economico destinato alle madri lavoratrici italiane si prepara a subire una sostanziale trasformazione con l’approvazione della manovra economica per il 2026. Il testo bollinato dalla Ragioneria dello Stato e trasmesso al Parlamento il 22 ottobre prevede un incremento significativo del bonus per le lavoratrici con almeno due figli e un reddito inferiore a 40mila euro annui, che passerà dagli attuali 480 euro a 720 euro all’anno, corrispondenti a 60 euro mensili rispetto ai 40 attuali.
La misura rappresenta uno dei pilastri del pacchetto famiglia contenuto nella Legge di Bilancio 2026, che complessivamente destina 3,5 miliardi di euro nel triennio 2026-2028 alle politiche di sostegno alla famiglia e alla natalità, con un incremento di 1,6 miliardi di euro rispetto agli stanziamenti precedenti. Il governo guidato da Giorgia Meloni ha confermato la priorità assegnata a questo settore fin dall’insediamento dell’esecutivo, intensificando gli interventi a sostegno della maternità e dell’occupazione femminile in un contesto nazionale caratterizzato da una persistente crisi demografica.
L’attuale configurazione del bonus, introdotto con la Legge di Bilancio 2025 dopo una complessa evoluzione normativa, prevede l’erogazione di un contributo mensile di 40 euro per ogni mese di attività lavorativa effettivamente svolta, corrisposto in un’unica soluzione a dicembre da parte dell’INPS. Con le modifiche previste per il 2026, l’importo mensile salirà a 60 euro, determinando un incremento annuale complessivo di 240 euro che porta il totale a 720 euro per chi lavora tutti i dodici mesi dell’anno.
La platea delle beneficiarie comprende le lavoratrici dipendenti, sia con contratto a tempo determinato che indeterminato, le libere professioniste e le lavoratrici autonome iscritte a gestioni previdenziali obbligatorie, comprese le casse di previdenza professionali e la gestione separata INPS. Restano categoricamente escluse le lavoratrici domestiche, una limitazione che ha suscitato critiche da parte delle organizzazioni sindacali, in particolare della CGIL, che ha denunciato l’esclusione di una categoria particolarmente esposta a condizioni di fragilità economica e lavorativa.
Per accedere al beneficio è necessario rispettare precisi requisiti. In primo luogo, occorre avere almeno due figli a carico, condizione che ha alimentato il dibattito sulla reale efficacia della misura nel contrastare il calo demografico, dal momento che chi ha un solo figlio risulta escluso dal sostegno. Il limite di reddito annuo è fissato a 40mila euro, calcolato sulla base del reddito da lavoro imponibile ai fini previdenziali. Il contributo viene riconosciuto fino al compimento del decimo anno di età del figlio più piccolo per le madri con due figli, mentre per chi ha tre o più figli il beneficio si estende fino al compimento del diciottesimo anno del figlio minore.
Esiste tuttavia una significativa differenziazione nella disciplina per le madri con tre o più figli. Le lavoratrici con contratto a tempo indeterminato e almeno tre figli continuano a beneficiare dell’esonero contributivo totale introdotto dalla Legge di Bilancio 2024, che può arrivare fino a 3mila euro annui. Questa misura, che si applica per il triennio 2024-2026, comporta l’azzeramento della quota di contributi previdenziali a carico della lavoratrice per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, con un beneficio economico nettamente superiore rispetto al bonus mensile di 60 euro. Le lavoratrici che accedono a questa forma di decontribuzione non possono cumulare anche il bonus mensile, dovendo optare per la soluzione più vantaggiosa in base alla propria situazione retributiva.
Le lavoratrici autonome devono rispettare un ulteriore vincolo per accedere al bonus: sono escluse coloro che hanno aderito al regime forfettario, una scelta che restringe significativamente la platea delle potenziali beneficiarie tra le professioniste e le imprenditrici individuali. Il regime forfettario, che prevede semplificazioni fiscali e contabili con un’unica imposta sostitutiva, risulta infatti particolarmente diffuso tra i lavoratori autonomi con redditi contenuti, proprio quella fascia che potrebbe maggiormente beneficiare di un sostegno economico alla maternità.
Il contributo presenta caratteristiche fiscali e previdenziali favorevoli, configurandosi come una vera e propria integrazione al reddito. L’importo non concorre alla formazione del reddito complessivo, risultando quindi esente da imposizione fiscale e contributiva, e non viene computato ai fini del calcolo dell’ISEE, l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente utilizzato per l’accesso a numerose prestazioni sociali agevolate. Questa neutralità rispetto all’ISEE rappresenta un vantaggio significativo per le famiglie che già fruiscono o intendono accedere ad altre misure di sostegno, come l’Assegno Unico Universale o il bonus asilo nido.
La procedura per ottenere il bonus richiede la presentazione di una domanda telematica all’INPS, utilizzando le credenziali SPID, CIE o CNS per l’accesso al portale dell’Istituto. Nel 2025, l’erogazione è prevista in un’unica soluzione nel mese di dicembre, concentrando in un solo pagamento l’intero importo spettante per i mesi di attività lavorativa svolta durante l’anno. Non è ancora chiaro se questa modalità di pagamento verrà confermata anche per il 2026 o se subirà modifiche nell’ambito dell’iter parlamentare di approvazione della manovra.
L’evoluzione normativa del bonus mamme ha attraversato diverse fasi dall’introduzione originaria. La Legge di Bilancio 2024 aveva previsto un esonero contributivo totale per le madri con contratto a tempo indeterminato, riservato alle lavoratrici con tre o più figli per il triennio 2024-2026, e sperimentalmente esteso per il solo 2024 anche alle madri con due figli fino al decimo anno del figlio più piccolo. La Legge di Bilancio 2025 aveva poi previsto un parziale esonero contributivo per le madri con due o più figli, condizionato al limite di reddito di 40mila euro, ma il decreto ministeriale attuativo, che avrebbe dovuto essere emanato entro il 31 gennaio 2025, non ha mai visto la luce.
Il ritardo nell’adozione del decreto ha determinato una situazione di incertezza che è stata risolta con il decreto legge 95 del 2025, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 30 giugno, che ha trasformato la natura della misura, sostituendo l’esonero contributivo con un contributo monetario diretto di 40 euro mensili per il solo anno 2025. Questa soluzione transitoria ha permesso di sbloccare l’erogazione del beneficio, anche se con un vantaggio economico ridotto rispetto all’originaria decontribuzione prevista. Una lavoratrice con retribuzione lorda di 1.800 euro mensili, che nel 2024 aveva beneficiato della decontribuzione piena con un vantaggio annuo di circa 1.980 euro, ha visto nel 2025 il beneficio ridursi a 1.224 euro complessivi considerando il nuovo bonus e le detrazioni IRPEF sostitutive.
La manovra 2026 conferma la struttura del contributo diretto, aumentandone l’importo ma rimandando ancora una volta l’introduzione del sistema di esonero contributivo parziale originariamente previsto. Questa scelta ha suscitato critiche da parte di sindacati e associazioni familiari, che sottolineano come la misura resti frammentaria, temporanea e non sufficientemente incisiva per sostenere realmente la natalità e l’occupazione femminile. Il Forum delle Associazioni Familiari ha evidenziato le numerose contraddizioni della misura, denunciando l’assenza di universalità, l’esclusione delle libere professioniste in regime forfettario e delle lavoratrici precarie, la provvisorietà dell’intervento e gli effetti fiscali che ne riducono ulteriormente l’efficacia.
La CGIL, per voce della segretaria confederale Daniela Barbaresi, ha denunciato ripetutamente il ritardo nell’emanazione dei decreti attuativi e le criticità strutturali del provvedimento, a partire dalla scelta dello strumento della decontribuzione che rischia di indebolire il sistema previdenziale, fino all’esclusione delle lavoratrici domestiche e al requisito del numero minimo di figli superiore a uno. Il sindacato ha inoltre criticato l’impostazione della misura come tarata esclusivamente sulle madri, senza coinvolgere la componente paterna, perpetuando una visione arcaica e patriarcale della genitorialità che non agevola una vera condivisione delle responsabilità familiari.
Il percorso parlamentare della Legge di Bilancio 2026 è appena iniziato. Il testo, dopo la bollinatura della Ragioneria dello Stato avvenuta il 22 ottobre, è stato trasmesso al Senato dove prenderà avvio l’iter di esame. Dall’ultima settimana di ottobre dovrebbero iniziare le audizioni davanti alle Commissioni Bilancio, seguite dalla presentazione degli emendamenti e dal voto in prima lettura a Palazzo Madama. Novembre sarà un mese cruciale per comprendere se l’iter procederà speditamente o se i tempi si allungheranno fino a ridosso delle festività natalizie, come accaduto lo scorso anno quando il via libera definitivo alla manovra arrivò il 28 dicembre. Il termine ultimo per l’approvazione ed evitare l’esercizio provvisorio è fissato al 31 dicembre, con l’entrata in vigore della Legge di Bilancio 2026 prevista per il 1° gennaio.
Durante l’iter parlamentare, il testo potrà subire modifiche e integrazioni, anche se tradizionalmente il provvedimento arriva blindato in seconda lettura, affidando all’ultimo ramo del Parlamento il compito di confermare con margini limitati le norme già approvate. I partiti di opposizione tenteranno di negoziare modifiche sulle misure contenute nel testo, ma le risorse limitate e i vincoli di bilancio restringono significativamente gli spazi di manovra.
Il contesto demografico che fa da sfondo a queste misure rimane profondamente preoccupante. Le previsioni aggiornate al 2023 indicano una popolazione residente in forte decrescita, destinata a passare dai circa 59 milioni al 1° gennaio 2023 a 58,6 milioni nel 2030, a 54,8 milioni nel 2050, per arrivare a 46,1 milioni nel 2080. Si prevede che tra vent’anni ci sarà circa un milione di famiglie in più, ma saranno più frammentate, con meno coppie con figli e più coppie senza. Entro il 2043, meno di una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, mentre più di una su cinque non ne avrà affatto.
In questo scenario, gli esperti di politiche sociali sottolineano come le misure finora adottate, pur rappresentando alcuni miglioramenti concreti per determinate categorie di nuclei familiari, difficilmente avranno un impatto significativo sul basso numero di nascite che caratterizza il Paese da decenni. Il sostegno economico diretto, per quanto utile, non appare sufficiente se non accompagnato da interventi strutturali sui servizi per l’infanzia, sulla conciliazione vita-lavoro, sull’equa distribuzione del carico di cura tra i generi e sulla stabilità occupazionale, fattori che pesano in modo determinante sulle scelte procreative delle coppie.
La ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità Eugenia Roccella ha più volte sottolineato l’attenzione del governo per le famiglie e la natalità, evidenziando come la Legge di Bilancio 2026 confermi l’impegno concreto dell’esecutivo attraverso un pacchetto organico e strutturale di misure. Oltre al potenziamento del bonus mamme, la manovra prevede la conferma ed estensione del congedo parentale facoltativo con indennità all’80 per cento della retribuzione per tre mesi, la revisione dell’ISEE con l’innalzamento della franchigia sulla prima casa, fondi dedicati per il sostegno ai caregiver familiari e incentivi per i datori di lavoro che assumono donne senza occupazione regolare da almeno sei mesi, con particolare attenzione alle madri con tre o più figli.
Il governo ha inoltre introdotto con la Legge di Bilancio 2025 il bonus nascite da mille euro per i nati nell’anno, riservato alle famiglie con ISEE inferiore a 40mila euro calcolato al netto dell’Assegno Unico Universale, e il rafforzamento del bonus asilo nido attraverso l’eliminazione del requisito del secondo figlio sotto i dieci anni e l’esclusione delle somme dell’Assegno Unico dalla soglia ISEE di accesso. Queste misure si sommano all’Assegno Unico Universale, la principale misura di sostegno economico alle famiglie con figli introdotta nel 2022, che ha unificato e sostituito numerosi benefici preesistenti.
L’efficacia complessiva di questo complesso di interventi verrà valutata nei prossimi anni attraverso il monitoraggio degli indicatori demografici e occupazionali. L’aumento del bonus mamme da 480 a 720 euro rappresenta certamente un segnale positivo per le lavoratrici direttamente interessate, offrendo un supporto economico più consistente che può contribuire ad alleggerire le spese quotidiane legate alla gestione familiare. Tuttavia, la frammentazione delle misure, le numerose esclusioni, i limiti di reddito e la temporaneità degli interventi continuano a suscitare perplessità sulla capacità di questi strumenti di incidere in modo significativo sulle dinamiche demografiche e sull’occupazione femminile, che in Italia resta tra le più basse d’Europa.
Per le lavoratrici interessate al bonus, sarà fondamentale seguire l’evoluzione della normativa durante l’iter parlamentare e attendere le istruzioni operative che l’INPS fornirà dopo l’approvazione definitiva della Legge di Bilancio. La domanda dovrà essere presentata telematicamente attraverso il portale dell’Istituto, utilizzando le credenziali digitali, e sarà importante verificare attentamente il possesso di tutti i requisiti richiesti, con particolare attenzione al limite di reddito, al numero e all’età dei figli, e alla tipologia contrattuale, elementi che determinano l’accesso al beneficio e l’eventuale opzione per forme alternative di sostegno come l’esonero contributivo per le lavoratrici a tempo indeterminato con tre o più figli. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!