I segreti del Conclave, i Cardinali più votati e la reazione di Papa Leone XIV all’elezione

Dodici cardinali hanno rivelato al New York Times i retroscena dell’elezione di Papa Leone XIV: dalla spaccatura iniziale tra Parolin, Erdo e Prevost fino all’ampio consenso finale con oltre 100 voti per il primo pontefice statunitense.

Nella tradizione secolare della Chiesa Cattolica, il Conclave rappresenta uno dei momenti di massima segretezza, con ogni partecipante che pronuncia un solenne giuramento di riservatezza. Eppure, a meno di dieci giorni dall’elezione di Papa Leone XIV, ben dodici cardinali hanno rivelato al New York Times dettagli sorprendentemente precisi su quanto avvenuto nella Cappella Sistina durante le votazioni che hanno portato all’elezione del primo pontefice statunitense della storia.

Nonostante il divieto assoluto di parlare e il giuramento formulato all’ingresso nella Cappella Sistina, dai cardinali che hanno eletto Papa l’americano Robert Francis Prevost sono emerse numerose indiscrezioni sull’andamento del conclave. Il cardinale bosniaco Vinko Puljič, in un’intervista rilasciata all’agenzia di stampa cattolica della Conferenza episcopale della Bosnia ed Erzegovina, ha rivelato che il primo scrutinio è stato «dispersivo», ma che sin dalla seconda votazione era apparso chiaro che il favorito fosse il porporato nordamericano.

«Il nostro primo voto è stato molto dispersivo», ha confermato Puljič, «Poi la rosa si è ristretta e si è rivolta al cardinale Prevost perché si è visto che aveva la capacità di essere un leader. In particolare, i cardinali nominati da papa Francesco gli hanno dato un forte sostegno». I 108 elettori creati da Bergoglio avrebbero quindi avuto un peso determinante nella scelta del successore.

Secondo quanto riportato dal New York Times e ripreso da diversi media italiani, i principali contendenti emersi nella prima serata di Conclave sono stati tre: il cardinale italiano Pietro Parolin, l’americano Robert Francis Prevost e l’ungherese Peter Erdo. Il cardinale David delle Filippine ha fornito un quadro vivido della prima sessione: “Non avevamo cenato e non c’erano pause, nemmeno per il bagno. Ma si decise di procedere alla votazione“. Una prima indicazione che, per il cardinale Juan José Omella, fu “una sorta di sondaggio preliminare“.

Il cardiale Lazarus You Heung-sik della Corea del Sud ha confermato che “diversi candidati ottennero voti significativi” in questa fase iniziale. Quando i cardinali sono tornati a Casa Santa Marta dopo la prima votazione, secondo il cardinale inglese Nichols, hanno discusso della situazione durante la cena. È emerso che gli italiani erano divisi, una frammentazione che avrebbe penalizzato la candidatura del cardinale Parolin, considerato il favorito alla vigilia.

Quanto al cardinale Peter Erdo, 72 anni, sostenuto da una coalizione di conservatori che includeva alcuni sostenitori africani, non appariva in grado di ottenere il consenso necessario in un collegio cardinalizio in larga parte nominato da Papa Francesco. Secondo alcune ricostruzioni, dopo la terza votazione, Parolin avrebbe avuto 49 voti e Prevost 38, numeri che indicavano un Conclave spaccato, con i cardinali elettori in difficoltà nel convergere su un nome.

La figura di Robert Francis Prevost ha iniziato ad emergere con forza già durante le riunioni preparatorie al Conclave. Il 3 maggio, cinque giorni prima dell’inizio delle votazioni, i cardinali hanno estratto a sorte gli incarichi e Prevost è stato scelto per collaborare nella gestione delle riunioni quotidiane. Un’occasione che, secondo molti osservatori, ha permesso agli elettori di conoscerlo meglio e apprezzarne il metodo. Il cardinale Joseph W. Tobin di Newark ha raccontato di avergli detto: «Bob, potrebbero proporlo a te».

Nella quarta votazione, le schede si spostarono in modo schiacciante verso il cardinale Prevost“, ha rivelato il cardinale You della Corea del Sud. Un momento di grande tensione per il futuro pontefice, come raccontato dal cardinale Tagle: “Gli ho chiesto: ‘Vuoi una caramella?’ E lui ha risposto: ‘Sì'”. Il cardinale Tobin del New Jersey ha aggiunto di averlo visto, durante una delle votazioni, «con la testa tra le mani», segno della pressione che stava vivendo.

Circola anche l’ipotesi che dietro questo rapido spostamento di voti possa esserci stato un passo indietro dello stesso Parolin. Vista l’impasse, il cardinale italiano avrebbe chiesto ai suoi sostenitori di spostare le preferenze verso il candidato in ascesa. Secondo alcuni osservatori, in questa dinamica non si è trattato di una sconfitta per Parolin, ma di un’operazione sofisticata in cui lo stesso Segretario di Stato ha avuto un ruolo attivo.

Il momento culminante è arrivato con l’ultima votazione pomeridiana del secondo giorno. Quando il cardinale Prevost ha raggiunto 89 voti, superando la soglia dei due terzi necessaria per diventare Papa, la Sistina è «esplosa in un’ovazione in piedi». Il cardinale David ha raccontato un dettaglio toccante: «Rimase seduto! Qualcuno dovette tirarlo su. Eravamo tutti con le lacrime agli occhi». Nel frattempo, i voti per il nuovo pontefice continuavano a crescere, avvicinandosi e probabilmente superando le tre cifre, ben oltre il quorum necessario di 89 elettori.

Il cardinale Désiré Tsarahazana del Madagascar ha confermato: «Ha ottenuto una maggioranza molto, molto ampia di voti». Secondo fonti riferite da alcuni media svizzeri, il numero finale sarebbe stato superiore ai 100 consensi, a dimostrazione di una convergenza straordinaria sul nome di Prevost. Pietro Parolin, in una lettera al Giornale di Vicenza, ha commentato: «Credo di non rivelare nessun segreto se scrivo che un lunghissimo e caloroso applauso è seguito a quell”accetto’ che lo rendeva il 267esimo Papa della Chiesa Cattolica».

L’emozione dell’elezione ha raggiunto anche la famiglia del nuovo pontefice. Roberto Prevost, fratello maggiore di Papa Leone XIV, ha raccontato la sua reazione alla notizia: «Mentre ero a letto, mia moglie ha chiamato e ha detto: ‘Fumo bianco, fumo bianco’. Ho acceso la TV e ho visto il fumo bianco. Quando il cardinale è uscito e ha menzionato ‘Roberto’, ho capito subito. Se non fossi stato a letto, sarei collassato, perché è stato totalmente inaspettato».

Queste rivelazioni sollevano interrogativi sull’effettiva validità del giuramento di segretezza che ogni cardinale pronuncia prima di entrare in Conclave. La costituzione apostolica Universi Dominici Gregis, promulgata da Papa Giovanni Paolo II nel 1996, stabilisce chiaramente che tutti i partecipanti devono mantenere l’assoluto riserbo su quanto avviene durante il processo elettorale. Il giuramento include la promessa solenne di non rivelare, direttamente o indirettamente, informazioni relative alle votazioni e allo scrutinio, con un obbligo di segretezza perpetuo, a meno che non si riceva un’esplicita autorizzazione dal nuovo pontefice.

Nonostante queste severe disposizioni, la tradizione delle «fughe di notizie» post-conclave sembra ormai consolidata nella storia recente della Chiesa. Già dopo l’elezione di Benedetto XVI nel 2005 emersero «diari segreti» attribuiti a cardinali anonimi. L’attuale violazione del segreto appare però più sistematica e diretta, con dichiarazioni rilasciate apertamente a testate giornalistiche internazionali come il New York Times, che ha raccolto testimonianze di ben dodici cardinali.

Al di là delle indiscrezioni, ciò che emerge con chiarezza è la volontà della Chiesa di ricompattarsi rapidamente attorno alla figura del nuovo Pontefice. «Abbiamo dato un segno di unità», hanno dichiarato diversi cardinali all’uscita dall’incontro con Leone XIV. Un’unità che sembra confermata non solo dalle dichiarazioni, ma anche dai numeri dell’elezione, con un consenso finale che avrebbe superato abbondantemente la soglia minima richiesta.