Garlasco, il mistero dell’orecchino insanguinato: “Forse c’è il Dna dell’assassino di Chiara Poggi”

La trasmissione Chi l’ha visto? rivela l’esistenza di orecchini insanguinati mai analizzati e file inquietanti sulla pedofilia nel clero trovati nel computer di Chiara Poggi, aprendo nuove piste investigative sul delitto di Garlasco mentre il caso viene riaperto con Andrea Sempio indagato per concorso in omicidio.

Diciotto anni dopo l’omicidio di Chiara Poggi, il delitto di Garlasco torna al centro dell’attenzione mediatica e investigativa con rivelazioni che potrebbero riscrivere completamente la storia di uno dei casi giudiziari più controversi d’Italia. La trasmissione “Chi l’ha visto?” condotta da Federica Sciarelli ha portato alla luce elementi inediti e inquietanti che gettano nuove ombre su un’indagine già costellata di errori e omissioni investigative, riaccendendo il dibattito su una vicenda che sembrava definitivamente chiusa con la condanna di Alberto Stasi.

Tra i reperti mai sottoposti ad analisi scientifica emerge con particolare rilevanza un orecchino insanguinato, catalogato come “reperto numero 13”, rinvenuto sulla scala interna della villetta di via Giovanni Pascoli dove la ventiseienne fu brutalmente uccisa il 13 agosto 2007. L’oggetto, privo della caratteristica chiusura e visibilmente macchiato di sangue, giaceva accanto al corpo senza vita della giovane studentessa, eppure non è mai stato sottoposto ai necessari prelievi per l’estrazione del materiale genetico. La genetista forense Marina Baldi, interpellata dalla trasmissione televisiva, ha sottolineato come questo elemento rappresenti una lacuna investigativa di proporzioni enormi, considerando che “molto probabilmente si tratta del sangue di Chiara, ma potrebbe esserci anche il Dna di chi l’ha afferrata”.

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La scoperta assume contorni ancora più drammatici se si considera che accanto al primo orecchino ne è stato rinvenuto un secondo, anch’esso imbrattato di tracce ematiche ma caratterizzato dalla presenza della chiusura metallica. Gli investigatori dell’epoca hanno stabilito quale fosse il destro e quale il sinistro, facendo presumere che quello rimasto agganciato al lobo fosse ancora al suo posto al momento del ritrovamento, mentre l’altro potrebbe essere stato violentemente strappato durante una colluttazione con l’aggressore. Questa ricostruzione apre scenari investigativi di fondamentale importanza, poiché l’orecchino strappato potrebbe conservare tracce biologiche dell’assassino, oltre a quelle della vittima, costituendo potenzialmente la prova definitiva per identificare il colpevole del delitto.

La lista dei reperti ignorati dalle indagini originali si estende ben oltre i due orecchini, rivelando un quadro di superficialità investigativa che rasenta l’incredibile. Tra gli oggetti mai analizzati figurano un cucchiaino definito “ricco di Dna” che avrebbe potuto rivelare con chi la ragazza aveva fatto colazione quella mattina fatale, diversi braccialetti macchiati di sangue, un orologio imbrattato, frammenti del tappetino del bagno, confezioni di prodotti alimentari come tè, yogurt, cereali e biscotti, oltre a numerosi “para-adesivi” contenenti impronte digitali. La genetista Baldi ha enfatizzato come questi reperti “oggi potrebbero avere un’importanza fondamentale” per la risoluzione del caso, ammesso che siano ancora disponibili per le analisi dopo quasi due decenni.

Parallelamente alle rivelazioni sui reperti fisici, l’indagine giornalistica ha fatto emergere dettagli inquietanti sui contenuti del computer e della chiavetta USB di Chiara Poggi, elementi che potrebbero fornire indizi cruciali sul movente dell’omicidio. Tra i file salvati dalla vittima spicca un documento denominato “abusati550.doc“, creato nel giugno 2007, appena due mesi prima della morte, contenente una raccolta di articoli di giornale sulla pedofilia perpetrata da membri del clero. Questo materiale, mostrato per la prima volta dal TgLa7, alimenta speculazioni su un possibile movente alternativo legato alla scoperta di informazioni compromettenti su presunti abusi sessuali.

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L’interesse di Chiara per questi temi sensibili emerge anche da altri file salvati sulla sua chiavetta USB, tra cui documenti intitolati “Aiuto, ho visto un lupo cattivo” che affronta il tema degli abusi da una prospettiva italiana, “Coca Cattiva” che analizza i legami tra cocaina e violenza, e soprattutto “Omicidi senza colpevoli”, un report sui casi irrisolti e sui reperti dimenticati nei depositi giudiziari. Particolarmente significativo appare il file “denunce.com”, che fa riferimento a un sito web dove era possibile scaricare moduli precompilati per presentare denunce presso i tribunali, suggerendo che la giovane stesse valutando di intraprendere azioni legali.

Questi elementi si intrecciano con una teoria mai dimostrata ma oggi riemersa con forza, secondo cui Chiara potrebbe essere stata una testimone scomoda di scandali legati al Santuario della Madonna della Bozzola, situato nelle vicinanze di Garlasco. L’avvocato Massimo Lovati, legale di Andrea Sempio attualmente indagato per concorso in omicidio, ha avanzato l’ipotesi che la giovane possa essere stata assassinata da un sicario incaricato di metterla a tacere dopo aver scoperto informazioni compromettenti su un presunto giro di abusi e ricatti coinvolgenti figure religiose. Questa teoria trova un possibile riscontro nelle ricerche effettuate da Chiara sul computer, dove sono state rinvenute immagini del santuario visualizzate nei giorni precedenti il delitto.

Il collegamento con il Santuario della Bozzola non è casuale, considerando che nel 2014 don Gregorio Vitali, allora rettore della struttura religiosa, fu coinvolto in un caso di estorsione sessuale orchestrato da due cittadini rumeni che lo costrinsero a pagare 250mila euro per evitare la diffusione di registrazioni compromettenti. Durante le intercettazioni telefoniche legate a quel procedimento penale, uno dei ricattatori affermò che Chiara “aveva scoperto il giro” e manifestava l’intenzione di parlarne pubblicamente, sostenendo che “da lì è partito tutto”. Tuttavia, gli inquirenti sottolineano che al momento non esistono prove concrete che colleghino direttamente questi elementi all’omicidio della studentessa.

L’attuale riapertura del caso si concentra principalmente su Andrea Sempio, storico amico di Marco Poggi, fratello della vittima, ora indagato dalla Procura di Pavia per concorso in omicidio sulla base di tracce di DNA compatibili rinvenute sotto le unghie di Chiara. Gli investigatori stanno lavorando per tracciare un profilo genetico dell’uomo e per identificare un secondo soggetto attualmente ignoto che, secondo l’ipotesi accusatoria, potrebbe aver agito insieme a Sempio. Intanto, Alberto Stasi, condannato in via definitiva a 16 anni di carcere e attualmente in regime di semilibertà, continua a proclamare la propria innocenza, mentre il caso si arricchisce di nuovi elementi che potrebbero finalmente far emergere la verità su uno dei delitti più dibattuti della cronaca italiana degli ultimi vent’anni.