Delitto di Garlasco, la Procura Generale di Milano chiede la revoca della semilibertà per Alberto Stasi

La Procura generale di Milano ricorre in Cassazione contro la semilibertà concessa ad Alberto Stasi per un’intervista televisiva non autorizzata durante un permesso familiare.
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La Procura generale di Milano ha presentato ricorso in Cassazione per chiedere la revoca del provvedimento con cui il Tribunale di sorveglianza ha concesso la semilibertà ad Alberto Stasi, condannato in via definitiva a sedici anni di reclusione per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi nel delitto di Garlasco del 13 agosto 2007. Il ricorso, presentato circa un mese fa dalla procuratrice generale Francesca Nanni e dalla sostituta Valeria Marino, è emerso pubblicamente soltanto oggi e si fonda esclusivamente sulla contestazione di un’intervista televisiva rilasciata dal quarantunenne durante un permesso premio dal carcere di Bollate.

L’impugnazione si concentra specificamente sull’intervista concessa da Stasi al programma televisivo “Le Iene” il 22 marzo 2025, andata successivamente in onda il 30 marzo, durante quello che sarebbe dovuto essere un permesso per ricongiungimento familiare. Secondo la ricostruzione della Procura generale, il condannato avrebbe dovuto richiedere una specifica autorizzazione al magistrato di sorveglianza per rilasciare dichiarazioni pubbliche, autorizzazione che non sarebbe mai stata formalmente richiesta né concessa. La procuratrice Nanni ha chiarito che la richiesta di revoca della semilibertà è “legata solo all’intervista alle Iene”, specificando che a Stasi era stato concesso il permesso premio esclusivamente per ragioni familiari e non per rilasciare interviste televisive.

Il Tribunale di Sorveglianza di Milano aveva concesso la semilibertà a Stasi l’11 aprile 2025, con effetto dal 28 aprile, valutando positivamente il suo percorso carcerario caratterizzato da un “rigoroso e costante rispetto delle regole”. I giudici avevano sottolineato come il “tenore pacato” dell’intervista non fosse stato considerato in contrasto con il percorso rieducativo intrapreso dal detenuto, che da tempo beneficia del lavoro esterno presso un’azienda milanese dove svolge mansioni contabili e amministrative. Il provvedimento aveva evidenziato l’assenza di infrazioni alle prescrizioni e il fatto che non esistesse alcun divieto espresso di intrattenere rapporti con i giornalisti durante i permessi premio.

La difesa di Stasi, rappresentata dall’avvocata Giada Bocellari, ha respinto le accuse sostenendo che la questione dell’intervista sia stata “già ampiamente chiarita dal carcere di Bollate e dal Tribunale di Sorveglianza”. Il legale ha specificato che, qualora fosse stata effettivamente riscontrata una violazione delle prescrizioni, le autorità avrebbero dovuto revocare il lavoro esterno piuttosto che negare la semilibertà, sottolineando come vi sia “anche un problema di norme di riferimento nel ricorso presentato dalla Procura Generale”. La strategia della Procura generale viene interpretata dalla difesa come il perseguimento di una linea già anticipata durante l’udienza del 9 aprile scorso.

Il direttore del carcere di Bollate, Giorgio Leggieri, aveva precedentemente dichiarato che l’intervista non aveva violato le prescrizioni imposte, una posizione che si scontra con l’interpretazione della Procura generale. Quest’ultima investe ora della questione la Corte di Cassazione, i cui tempi di decisione non sono previsti come brevi. Durante l’attesa della pronuncia degli ermellini, Stasi continua a beneficiare del regime di semilibertà, che gli consente di trascorrere la maggior parte della giornata all’esterno dell’istituto penitenziario per attività lavorative, istruttive e di reinserimento sociale, dovendo fare ritorno soltanto la sera.

Il caso assume particolare rilevanza anche alla luce di nuove rivelazioni emerse dal percorso psicologico di Stasi durante la detenzione. Una relazione del febbraio 2024, resa nota soltanto con il provvedimento di concessione della semilibertà, ha evidenziato aspetti concernenti la personalità del condannato che potrebbero essere collegati al movente del delitto. Il documento fa riferimento alla “ossessiva visione di materiale pornografico fino alla sua meticolosa catalogazione nel pc, con tratti francamente eccessivi anche per un giovane alla scoperta della sessualità”, indicando come possibile movente o quanto meno occasione del delitto questa particolare caratteristica comportamentale.

La relazione dello psicologo del carcere si sofferma sulla possibile diagnosi di parafilia, definita come ricerca del piacere sessuale attraverso modalità non convenzionali, pur concludendo con l’affermare la sola presenza dei tratti di tale psicopatologia in assenza dei requisiti che normalmente conducono alla diagnosi di vero e proprio disturbo parafilico. Le valutazioni psicologiche evidenziano inoltre come, nella valutazione dell’empatia ed emotività di Stasi, non vi siano accenni a quanto provato nel passato nei confronti dei genitori e parenti della vittima, o a sentimenti di rabbia e alle relative strategie di gestione emotiva.

Il percorso giudiziario che ha portato alla condanna definitiva di Alberto Stasi si è caratterizzato per la sua complessità e durata. Inizialmente assolto dal GUP del Tribunale di Vigevano nel dicembre 2009 e successivamente confermato in appello nel dicembre 2011, Stasi è stato poi condannato a sedici anni nel processo d’appello bis del dicembre 2014, sentenza confermata dalla Cassazione nel dicembre 2015. La Corte suprema ha ritenuto dimostrata la colpevolezza dell’imputato basandosi su diversi elementi, tra cui l’incongruenza del racconto fornito sul ritrovamento del corpo, l’assenza di tracce ematiche sulle sue scarpe nonostante avesse dichiarato di aver attraversato i locali insanguinati, e la compatibilità delle sue calzature con le impronte rinvenute sulla scena del crimine.

Il regime di semilibertà rappresenta una misura alternativa alla detenzione che consente al condannato di trascorrere parte della giornata all’esterno dell’istituto penitenziario per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale. Per accedere a tale beneficio, il detenuto deve aver scontato almeno metà della pena e dimostrare un comportamento carcerario irreprensibile. Nel caso di Stasi, il fine pena è fissato per il 2030, ma considerando gli sconti di pena per buona condotta, la conclusione della carcerazione potrebbe arrivare già nel 2028.

La decisione della Corte di Cassazione sul ricorso della Procura generale di Milano potrebbe richiedere diversi mesi, periodo durante il quale Stasi continuerà a beneficiare del regime di semilibertà salvo diversa determinazione. La vicenda si inserisce in un contesto più ampio che vede la riapertura delle indagini sull’omicidio di Chiara Poggi da parte della Procura di Pavia, con nuovi elementi investigativi che si concentrano su Andrea Sempio, amico del fratello della vittima, e su nuove prove tra cui un’impronta palmare e tracce di DNA che potrebbero avere implicazioni significative sull’intero caso giudiziario.