Il segretario alla Difesa statunitense Pete Hegseth ha lanciato un severo monito durante il prestigioso forum internazionale Shangri-La Dialogue di Singapore, affermando che la minaccia rappresentata dalla Cina nei confronti di Taiwan è diventata reale e potenzialmente imminente. Durante il suo intervento del 31 maggio, Hegseth ha accusato Pechino di prepararsi in modo “chiaro e credibile” a utilizzare potenzialmente la forza militare per alterare l’equilibrio di potere nella regione indo-pacifica, definendo l’Asia un teatro operativo prioritario per gli Stati Uniti
La strategia cinese secondo il Pentagono
Secondo l’analisi presentata dal capo del Pentagono, Pechino aspira a dominare e controllare l’intera regione asiatica attraverso un massiccio rafforzamento militare e una crescente disponibilità a utilizzare la forza per raggiungere i propri obiettivi strategici. Hegseth ha sottolineato come l’Esercito Popolare di Liberazione cinese stia sviluppando sistematicamente le capacità necessarie per invadere Taiwan, conducendo esercitazioni quotidiane che simulano scenari di conflitto reale. Il segretario ha inoltre riferito che, secondo l’intelligence statunitense, il presidente cinese Xi Jinping avrebbe ordinato alle sue forze armate di essere pronte a invadere Taiwan entro il 2027, con l’esercito che si addestra quotidianamente per prepararsi al “vero affare”.
Le recenti manovre militari cinesi intorno a Taiwan hanno confermato questa escalation, con esercitazioni su vasta scala che includono oltre 70 aerei, 20 navi da guerra accompagnate dal gruppo da battaglia della portaerei Shandong, unità della Guardia costiera e reparti missilistici basati sulla costa cinese. Durante queste operazioni, denominate “Tuono nello Stretto 2025A”, le forze cinesi hanno utilizzato per la prima volta munizioni da guerra contro bersagli che simulano porti e infrastrutture energetiche dell’isola, segnando un significativo salto qualitativo rispetto alle precedenti esercitazioni.
La risposta strategica americana
Hegseth ha ribadito con fermezza che gli Stati Uniti sono “orgogliosi di essere tornati nell’Indo-Pacifico e siamo qui per restare”, definendo questa regione come il teatro operativo prioritario per l’amministrazione Trump. L’approccio americano si basa sulla strategia della “pace attraverso la forza”, che prevede il rafforzamento delle capacità deterrenti per scoraggiare qualsiasi aggressione da parte della “Cina comunista”. Washington ha intensificato significativamente la cooperazione militare con i tradizionali alleati regionali, in particolare Giappone e Filippine, mentre ha avviato un processo di rafforzamento delle relazioni strategiche con l’India.
Durante la sua visita nelle Filippine lo scorso marzo, il segretario alla Difesa aveva già annunciato il dispiegamento di capacità militari americane più avanzate, incluso il sistema missilistico anti-nave mobile Nemesis del Corpo dei Marines, rappresentando il primo dispiegamento oltremare di questa tecnologia. Questa mossa si inserisce in una strategia più ampia di riposizionamento delle forze americane nel Pacifico occidentale, con l’obiettivo di creare una deterrenza credibile lungo le prime e seconde catene di isole.
Le tensioni nel Mar Cinese Meridionale
Il capo del Pentagono ha denunciato il crescente numero di incidenti che coinvolgono navi cinesi nel Mar Cinese Meridionale, accusando Pechino di “sequestrare e militarizzare illegalmente” territori, isole e isolotti rivendicati da altri paesi della regione, in particolare dalle Filippine. Questo comportamento, secondo Hegseth, rappresenta un “campanello d’allarme” per la comunità internazionale e dimostra la volontà cinese di alterare fondamentalmente lo status quo regionale attraverso tattiche di zona grigia e guerra ibrida.
La Cina utilizza inoltre le sue sofisticate capacità informatiche per condurre attacchi contro infrastrutture critiche negli Stati Uniti e nei paesi alleati, oltre a rubare tecnologie avanzate, mettendo a rischio non solo la sicurezza nazionale ma anche la vita dei cittadini. Questi atti di aggressione cibernetica si inseriscono in una strategia più ampia volta a intimidire i vicini della Cina nelle loro stesse acque territoriali.
L’assenza cinese al forum di Singapore
Un elemento significativo dello Shangri-La Dialogue di quest’anno è stata l’assenza di rappresentanti cinesi di alto livello, con Pechino che per la prima volta dal 2019 ha deciso di non inviare il proprio ministro della Difesa, l’ammiraglio Dong Jun. Al posto di una delegazione governativa, la Cina ha optato per l’invio di rappresentanti dell’Università nazionale di Difesa dell’Esercito Popolare di Liberazione, una scelta interpretata come un segnale di disimpegno dal dialogo multilaterale sulla sicurezza regionale. Hegseth ha colto l’occasione per sottolineare questa assenza con una punta di ironia, affermando: “Noi siamo qui e qualcun altro non c’è”.
Le richieste agli alleati asiatici
Il segretario alla Difesa ha esortato gli alleati asiatici ad aumentare rapidamente le proprie spese per la difesa, seguendo l’esempio dei paesi europei che hanno incrementato significativamente i loro bilanci militari in risposta alle minacce regionali. “La deterrenza non è economica”, ha sottolineato Hegseth, aggiungendo che “è un po’ difficile credere che io possa dirlo, ma grazie al presidente Trump, i nostri alleati e partner asiatici dovrebbero ispirarsi ai paesi europei”. Questa richiesta si inserisce nella più ampia strategia dell’amministrazione Trump di spingere gli alleati ad assumersi maggiori responsabilità per le proprie difese convenzionali, senza aspettarsi che gli Stati Uniti si facciano carico dell’intero onere materiale.
Nonostante le pressioni sui partner regionali, Hegseth ha chiarito che Washington non cerca il conflitto con la Cina e non intende umiliare o sottomettere il paese, esprimendo un “immenso rispetto per il popolo cinese e la loro civiltà”. Tuttavia, ha avvertito che gli Stati Uniti “non permetteranno che i nostri alleati e partner siano subordinati e intimiditi” e sono pronti a “combattere e vincere” se le strategie di deterrenza dovessero fallire. Qualsiasi tentativo cinese di conquistare Taiwan, ha concluso Hegseth, “avrebbe effetti devastanti per l’Indo-Pacifico e per il mondo”.