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Stati Uniti, Stretta sui turisti: per entrare dovranno mostrare cosa hanno fatto sui social negli ultimi 5 anni

L’amministrazione Trump propone controlli obbligatori sui social media degli ultimi cinque anni per tutti i richiedenti Esta, trasformando l’ingresso negli Stati Uniti in un sistema di sorveglianza digitale che solleva critiche su privacy e libertà di espressione.
Credit © Wikipedia

L’amministrazione Trump ha presentato una proposta che potrebbe rivoluzionare le modalità di ingresso negli Stati Uniti per milioni di visitatori stranieri, trasformando quello che finora era un semplice processo di autorizzazione elettronica in un sistema di controllo digitale capillare. La misura, pubblicata il 9 dicembre 2025 sul Federal Register, la gazzetta ufficiale del governo federale americano, prevede che tutti i richiedenti dell’Esta, l’autorizzazione elettronica per viaggiare negli Stati Uniti, dovranno fornire la cronologia completa della propria attività sui social media degli ultimi cinque anni.

La proposta del Dipartimento della Sicurezza Interna e della Customs and Border Protection rappresenta un cambio di paradigma rispetto al sistema attuale, dove l’indicazione dei profili social costituisce un campo facoltativo nel modulo online. Secondo quanto riportato dal New York Times e dal Washington Post, che hanno dato ampia copertura alla vicenda, la nuova normativa trasformerebbe i riferimenti ai social media in un elemento obbligatorio dei dati richiesti, estendendo controlli già applicati ad altre categorie di visti, come quelli per lavoratori specializzati, studenti e ricercatori.

La misura interessa direttamente i cittadini di 42 paesi che partecipano al Visa Waiver Program, tra cui l’Italia e tutti gli stati membri dell’Unione Europea, oltre a Regno Unito, Giappone, Australia, Corea del Sud e Singapore. Questi viaggiatori possono attualmente soggiornare negli Stati Uniti fino a 90 giorni senza necessità di visto tradizionale, semplicemente ottenendo un’autorizzazione Esta valida due anni, al costo di 40 dollari e fornendo informazioni di base quali indirizzo di residenza, contatti telefonici e riferimenti per le emergenze.

La nuova procedura andrebbe ben oltre questi requisiti minimi. Secondo il documento depositato presso il Federal Register, ai richiedenti verrà chiesto di fornire l’elenco completo degli account utilizzati sui principali social network negli ultimi cinque anni, con username e handle per ogni piattaforma, tutti i numeri di telefono personali usati nello stesso periodo, gli indirizzi email privati e di lavoro degli ultimi dieci anni, oltre ai dati anagrafici completi dei familiari diretti, inclusi nomi, date di nascita, luoghi di residenza e luoghi di nascita di genitori, coniuge, fratelli e figli.

Il documento fa riferimento a un ordine esecutivo emesso dall’amministrazione Trump nel gennaio 2025 sulla protezione degli Stati Uniti da terroristi stranieri e minacce alla sicurezza nazionale, presentando la misura come un passo avanti nella verifica rafforzata dei viaggiatori. L’avvocato Reza Owji, citato dalle fonti consultate, ha precisato che l’amministrazione Trump potrebbe utilizzare la valutazione dei social media per comprendere la visione della persona sulla politica generale in tutto il mondo, sottolineando che avere la cittadinanza di un paese Esta non significa necessariamente che quella persona abbia una visione politica allineata a quella dell’attuale amministrazione.

Accanto ai controlli sui profili social, la Customs and Border Protection ha segnalato possibili modifiche tecnologiche alla base del processo di richiesta, tra cui l’introduzione di un selfie obbligatorio oltre alle tradizionali foto del passaporto e la possibile dismissione del sito web per le richieste, che verrebbero effettuate soltanto tramite applicazione mobile dedicata. Il documento prevede inoltre una futura funzione che permetterebbe ai viaggiatori di segnalare la propria uscita dagli Stati Uniti inviando un selfie e autorizzando la geolocalizzazione, così da certificare che la partenza sia effettivamente avvenuta.

La proposta ha innescato immediate reazioni critiche da parte delle organizzazioni per i diritti digitali. Sophia Cope, avvocata senior della Electronic Frontier Foundation, ha dichiarato al New York Times che l’obbligo di fornire dettagli sugli account social aggraverà i danni alle libertà civili, senza dimostrarsi efficace nell’individuare minacce reali, rischiando invece di compromettere la libertà di espressione e la privacy dei viaggiatori e delle persone con cui sono in contatto negli Stati Uniti.

Il settore turistico ha espresso forte preoccupazione sia per la nuova tassa sia per il previsto ampliamento dei controlli. A novembre 2025 una coalizione di oltre venti aziende del comparto viaggi aveva già preso posizione contro la cosiddetta Visa Integrity Fee da 250 dollari, temendo un rallentamento significativo dei flussi turistici verso gli Stati Uniti. Questa nuova tassa, che entrerà in vigore dal primo ottobre 2025 e si applicherà a tutti i richiedenti visti non immigranti, ma non ai viaggiatori Esta, porterà il costo totale del visto turistico a 435 dollari, con un aumento del 144 percento rispetto ai costi attuali.

Un rappresentante anonimo del settore turistico, che ha preferito non essere nominato poiché la sua organizzazione deve ancora valutare la proposta, ha dichiarato che la Customs and Border Protection non ha consultato gli stakeholder del settore prima di rendere pubblica la misura, descrivendola come una escalation significativa nelle procedure di controllo dei viaggiatori. Erik Hansen, vicepresidente senior per gli affari governativi della U.S. Travel Association, ha definito la decisione un ostacolo per chi valuta un viaggio negli Stati Uniti, osservando che costi e tempi di attesa per il visto già oggi scoraggiano molti potenziali visitatori.

Le preoccupazioni del settore turistico trovano conferma nei dati economici. Secondo le previsioni di Tourism Economics, i viaggi internazionali verso gli Stati Uniti sono calati del cinque percento nel 2025 a causa delle politiche dell’amministrazione Trump, con una perdita stimata di 12,5 miliardi di dollari in entrate da turismo. Il paese si avvia verso il primo calo di visitatori stranieri in circa cinque anni, con circa 67,9 milioni di visite previste per il 2025, in diminuzione rispetto ai 72,4 milioni del 2024.

La stretta sui controlli arriva in un momento particolarmente delicato per il turismo americano, a pochi mesi dai Mondiali di calcio 2026 che si terranno negli Stati Uniti, Canada e Messico, evento per il quale sono attesi tra cinque e sette milioni di visitatori internazionali. Andrew Giuliani, direttore esecutivo della White House Task Force sul Mondiale, ha confermato che è stato istituito un nuovo Fifa Priority Appointment System che dal 2026 consentirà ai possessori di biglietti di accedere rapidamente agli appuntamenti consolari, fermo restando il normale processo di controllo.

La proposta si inserisce in un quadro più ampio di inasprimento delle politiche migratorie legali volute dall’amministrazione Trump, che include nuove tariffe altissime per i visti, verifiche più invasive e controlli aggiuntivi sui social e sulla vita professionale dei richiedenti. Già dal 30 giugno 2025 chi fa domanda per visti di studio deve non solo dichiarare l’elenco dei propri profili social utilizzati negli ultimi cinque anni, ma anche assicurarsi che siano pubblicamente accessibili, permettendo alle autorità di esaminare l’intero comportamento digitale pubblico, dalle foto pubblicate ai commenti lasciati su contenuti altrui.

Il cambio di approccio nella valutazione dei social media rappresenta secondo gli esperti dello studio legale Fragomen un passaggio da pratiche precedenti che si concentravano sulla verifica di fatti specifici, come comportamenti criminali, a un nuovo modello che analizza il discorso online e prende decisioni di viaggio basate su discrezionalità soggettiva e politiche riguardanti il contenuto di quel discorso. Lo studio legale ha messo in guardia sul fatto che gli sforzi ampliati di raccolta dati da parte del governo potrebbero portare a tempi di attesa più lunghi per i viaggiatori che cercano l’autorizzazione a entrare negli Stati Uniti, nonché a una maggiore probabilità di essere sottoposti a controlli aggiuntivi.

La proposta ha suscitato allarme anche in Europa, dove diversi paesi hanno già dovuto aggiornare le proprie raccomandazioni di viaggio per i cittadini diretti negli Stati Uniti. Il ministero degli Esteri tedesco ha modificato le indicazioni sul proprio portale, avvertendo che precedenti condanne negli Stati Uniti, false informazioni sullo scopo del soggiorno o anche un leggero superamento della durata del soggiorno durante il viaggio possono portare all’arresto, alla detenzione e all’espulsione all’ingresso o all’uscita.

Diversi casi documentati nelle ultime settimane hanno alimentato le preoccupazioni. Due cittadini tedeschi sono stati trattenuti rispettivamente per sedici e quarantasei giorni, mentre una cittadina inglese è stata fermata per tre settimane. Particolarmente controverso il caso di un ricercatore francese, espulso appena atterrato con l’accusa di avere scritto messaggi di odio e cospirazione, dopo che durante una perquisizione del telefono da parte dei funzionari dell’ufficio immigrazione sarebbero emerse opinioni negative in merito alle politiche dell’amministrazione Trump sulla ricerca.

La Customs and Border Protection ha annunciato che accetterà commenti pubblici sulla proposta per sessanta giorni, con scadenza prevista il 9 febbraio 2026. Un portavoce dell’agenzia ha precisato mercoledì che la proposta non è ancora una regola definitiva, descrivendola come il primo passo per avviare un dialogo ed esplorare nuove opzioni politiche volte a salvaguardare il pubblico americano. Secondo le stime degli esperti, l’entrata a regime delle nuove regole viene collocata nel corso del secondo trimestre 2026, con una implementazione graduale.

Se la misura sarà approvata, il controllo dei social media diventerà un elemento obbligatorio della domanda per ottenere l’Esta, che dovrà essere corredata da un selfie così da migliorare il monitoraggio e consentire di identificare al meglio se chi ha i documenti è il loro legittimo possessore. L’amministrazione Trump ha già rafforzato i controlli sulla presenza online per diverse categorie di visti, dagli H-1B, il visto di lavoro temporaneo destinato a lavoratori stranieri altamente specializzati, agli ingressi per studio e scambi culturali.

La nuova proposta dell’amministrazione americana solleva interrogativi sul delicato equilibrio tra sicurezza nazionale e diritti individuali. Mentre Washington inquadra il giro di vite nel solco del cosiddetto extreme vetting, una linea che punta a filtrare in modo più aggressivo chi entra nel paese, le organizzazioni per i diritti digitali denunciano il rischio di una sorveglianza eccessiva e intimidatoria sui viaggiatori. L’amministrazione vuole spostare sempre più la frontiera nel cloud, facendo sì che il controllo non inizi più al gate o al controllo passaporti, ma al momento in cui si compila la domanda di autorizzazione online.

Il sistema proposto presenta numerose criticità operative ancora da definire. Non è chiaro quali saranno i criteri di valutazione dei contenuti social, chi effettuerà le analisi, con quali strumenti tecnologici e secondo quali parametri interpretativi. La vaghezza del concetto di atteggiamenti ostili verso gli Stati Uniti o di segnali di ostilità nei contenuti social degli aspiranti visitatori lascia ampi margini di discrezionalità agli ufficiali preposti ai controlli.

Per chi lavora nel settore della moderazione dei contenuti e della sicurezza online, la nuova politica manda un messaggio paradossale, come osservano diversi esperti del settore: più ci si impegna a rendere la rete un luogo sicuro, più si rischia di essere bollati come censori. Le piattaforme globali si trovano davanti a un bivio strategico, strette tra la spinta a ridurre o ammorbidire la moderazione per non irritare Washington e non mettere a rischio i visti di interi team, e l’obbligo, soprattutto in Europa, di aumentare gli sforzi per contenere odio, violenza e disinformazione.

La questione assume dimensioni geopolitiche nel contesto delle relazioni transatlantiche. L’Europa ha costruito negli ultimi anni un complesso impianto normativo, dal Digital Services Act ai regolamenti sulle piattaforme, che chiede alle grandi aziende tecnologiche di intervenire attivamente contro odio, disinformazione e rischi sistemici. La nuova linea americana crea una tensione evidente: una stessa piattaforma potrebbe essere costretta in Europa a rafforzare la moderazione per rispettare le leggi dell’Unione, e contemporaneamente guardare con timore a Washington, dove quelle stesse attività vengono dipinte come censura da punire con l’arma dei visti.

Il rischio è quello di un conflitto normativo transatlantico, con l’Unione Europea che pretende più responsabilità dalle piattaforme da un lato, e gli Stati Uniti che premiano chi lascia correre e colpiscono chi filtra dall’altro, lasciando in mezzo le aziende e i lavoratori costretti a scegliere quale minaccia temere di più. Un sistema così invasivo non si vede in nessun’altra parte del mondo libero, come sottolineato da diverse fonti critiche nei confronti della misura.

Nathan Wessler, vicedirettore dell’American Civil Liberties Union’s Speech, Privacy, and Technology Project, ha sintetizzato il dilemma pratico che i viaggiatori dovranno affrontare: esiste una valutazione molto pratica che le persone devono fare su ciò che è più importante per loro, scegliendo se entrare nel paese sacrificando la privacy oppure proteggere la propria privacy rischiando di essere respinti al confine. La stretta sui controlli digitali rischia di trasformare quello che dovrebbe essere un semplice viaggio turistico o di lavoro in una complessa operazione di gestione della propria identità digitale, con potenziali ripercussioni sulla libertà di espressione online di milioni di persone in tutto il mondo. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!