Decreto Sicurezza, Meloni: “Vogliamo criminalizzare chi delinque, lo confermo”

Giorgia Meloni conferma sui social l’accusa di Francesco Cancellato di “voler criminalizzare chi delinque” dopo le critiche del direttore di Fanpage al nuovo Decreto Sicurezza approvato con 14 nuovi reati.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha replicato con fermezza alle critiche mosse dal direttore di Fanpage Francesco Cancellato durante la trasmissione Otto e Mezzo, confermando apertamente l’accusa di voler “criminalizzare chi delinque” attraverso il nuovo Decreto Sicurezza. La dichiarazione, pubblicata sui canali social della premier, recita testualmente: “L’accusa di alcuni giornalisti di sinistra contro il Decreto Sicurezza: ‘questo Governo vuole criminalizzare chi delinque’. Confermo”.

La replica di Meloni arriva dopo che Cancellato aveva criticato duramente il provvedimento durante la trasmissione condotta da Lilli Gruber, sostenendo che “il Governo con questo decreto vuole criminalizzare chi delinque”. La dichiarazione del direttore di Fanpage aveva suscitato immediate reazioni, con alcuni osservatori che hanno sottolineato l’apparente tautologia dell’affermazione, considerando che la criminalizzazione dei comportamenti delittuosi rappresenta tradizionalmente uno degli obiettivi primari di qualsiasi sistema giuridico. Tuttavia, dietro questa polemica semantica si cela un confronto politico molto più profondo sulla natura e l’estensione del nuovo pacchetto di norme approvato dal governo di centrodestra.

Il Decreto Sicurezza 2025, convertito definitivamente in legge il 4 giugno scorso con 109 voti favorevoli e 69 contrari in Senato, introduce nel codice penale 14 nuovi reati e 9 aggravanti, ampliando significativamente il perimetro delle condotte punibili penalmente. Il provvedimento, che era stato approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso aprile, ha generato intense polemiche per la sua portata e per le modalità con cui è stato portato all’approvazione, con il governo che ha posto la fiducia tagliando fuori dal dibattito parlamentare i 131 emendamenti presentati dall’opposizione. Le critiche si sono concentrate particolarmente su alcune delle nuove fattispecie di reato introdotte, che secondo i detrattori rischierebbero di criminalizzare forme legittime di dissenso e protesta.

Tra le misure più controverse figura la cosiddetta “norma anti-Gandhi”, che trasforma il blocco stradale da illecito amministrativo a reato penale, punibile con la reclusione da sei mesi a due anni quando sia organizzato da più persone riunite. Il decreto introduce inoltre nuove aggravanti per le proteste contro opere pubbliche strategiche come il Ponte sullo Stretto e la TAV, inasprisce le pene per i danneggiamenti durante le manifestazioni e prevede sanzioni più severe per le rivolte negli istituti penitenziari e nei centri per migranti. Particolarmente discussa è anche la criminalizzazione della cannabis light, con le infiorescenze di canapa ora equiparate alla cannabis illegale indipendentemente dalla percentuale di THC presente.

La posizione di Francesco Cancellato in questa vicenda assume una rilevanza particolare considerando il ruolo centrale che il direttore di Fanpage ha assunto nel dibattito politico degli ultimi mesi. La testata da lui diretta ha infatti pubblicato una controversa inchiesta su Gioventù Nazionale, l’organizzazione giovanile di Fratelli d’Italia, documentando episodi di matrice neofascista all’interno del movimento. L’inchiesta aveva costretto Meloni a prendere le distanze da alcuni comportamenti emersi, dichiarando che “chi ha sentimenti razzisti, antisemiti o nostalgici, semplicemente abbia sbagliato la propria casa”, pur arrivando secondo Cancellato in ritardo e senza affrontare il tema della “cultura neofascista” presente nel partito.

La figura di Cancellato è stata inoltre al centro di un altro caso che ha coinvolto direttamente i servizi di sicurezza italiani. Il direttore di Fanpage ha infatti ricevuto da Meta un avviso sulla presenza dello spyware Graphite nel suo cellulare, lo stesso utilizzato per spiare diversi attivisti. Secondo quanto emerso dalle indagini, l’azienda Paragon, produttrice del software, avrebbe confermato al Copasir l’esistenza di database contenenti le attività di spionaggio effettuate dai clienti, che nel caso italiano sarebbero i servizi segreti. Nonostante le negazioni ufficiali dell’esecutivo Meloni riguardo al coinvolgimento nell’attività di sorveglianza, la vicenda ha alimentato sospetti su possibili forme di controllo nei confronti di giornalisti che hanno condotto inchieste scomode per il governo.

Le critiche al Decreto Sicurezza non sono arrivate solo dall’opposizione parlamentare, ma anche da organizzazioni internazionali e dalla società civile. L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha bocciato alcune delle misure contenute nel provvedimento, mentre in Italia si sono susseguite manifestazioni di protesta, culminate nella grande manifestazione del 31 maggio a Roma che ha visto la partecipazione di circa 150mila persone. I manifestanti hanno sfilato per le strade della Capitale esibendo lo striscione “Alziamo la testa contro lo Stato di paura”, evidenziando la preoccupazione per quello che viene percepito come un restringimento degli spazi democratici.

Il dibattito parlamentare che ha preceduto l’approvazione definitiva del decreto ha messo in evidenza le profonde divergenze interpretative sulla natura e gli obiettivi del provvedimento. I rappresentanti dell’opposizione hanno denunciato quella che considerano una “fabbrica di reati” finalizzata a “criminalizzare il dissenso” e a “creare lo spazio per un’applicazione arbitraria e sproporzionata di reati spesso vaghi”. Secondo i critici, il governo Meloni avrebbe trasformato la produzione normativa in una “fabbrica di emergenze”, introducendo continuamente nuove fattispecie di reato per coprire un vuoto di prospettiva politica e per alimentare la percezione di nemici di volta in volta diversi.

L’approccio del governo alla sicurezza pubblica riflette una filosofia che privilegia la risposta repressiva rispetto a interventi di carattere sociale o preventivo. Durante i lavori parlamentari, alcuni senatori dell’opposizione hanno fatto notare come il pacchetto di misure non affronti le vere cause dell’insicurezza urbana, proponendo invece alternative come la regolamentazione dei social network per i minori, l’estensione del tempo pieno scolastico e interventi mirati sui problemi sociali che alimentano la criminalità. La strategia governativa appare invece orientata verso un inasprimento generalizzato delle pene e l’introduzione di nuove fattispecie di reato, con particolare attenzione alla tutela delle forze dell’ordine attraverso misure come il sostegno economico per le spese legali fino a 10.000 euro per gli agenti coinvolti in procedimenti giudiziari.

La replica di Meloni a Cancellato segna dunque un momento di chiarificazione politica in cui la presidente del Consiglio rivendica apertamente la volontà di “criminalizzare chi delinque” come obiettivo legittimo dell’azione di governo. Questa posizione, pur apparendo ovvia dal punto di vista semantico, assume un significato politico preciso nel contesto del dibattito sul Decreto Sicurezza, configurandosi come una risposta alle accuse di deriva autoritaria e di criminalizzazione del dissenso. La premier sceglie di trasformare quella che i critici considerano un’accusa in una rivendicazione, sottolineando la determinazione dell’esecutivo nel perseguire una linea di fermezza nella lotta alla criminalità e nel mantenimento dell’ordine pubblico, anche a costo di restringere alcuni spazi di libertà tradizionalmente riconosciuti alle forme di protesta e dissenso politico.