Delitto di Garlasco, scomparsi i reperti chiave: la nuova indagine sul Dna rischia di arenarsi

La nuova indagine sull’omicidio di Chiara Poggi rischia di arenarsi prima ancora di iniziare a causa della scomparsa dei reperti chiave, incluso il DNA sotto le unghie della vittima che risulterebbe compatibile al 99% con Andrea Sempio.

La nuova indagine sull’omicidio di Chiara Poggi, riaperta dopo l’iscrizione nel registro degli indagati di Andrea Sempio per la terza volta, si trova già ad affrontare un ostacolo quasi insormontabile. Un’inchiesta giornalistica de Il Messaggero ha infatti rivelato la scomparsa dei principali reperti probatori del delitto avvenuto il 13 agosto 2007 nella villetta di Garlasco, tra cui la “prova regina” rappresentata dal materiale genetico rinvenuto sotto le unghie della vittima. La sparizione di questi elementi cruciali mette seriamente a rischio l’incidente probatorio previsto per il 17 giugno e potrebbe compromettere definitivamente le possibilità di arrivare a una nuova verità processuale su uno dei casi di cronaca nera più controversi degli ultimi decenni.

Secondo quanto emerso dalle 62 pagine della consulenza disposta dalla Procura di Pavia, il DNA trovato sotto le unghie di Chiara Poggi sarebbe compatibile con il profilo genetico di Andrea Sempio con una probabilità che oscilla tra il 99% e addirittura 2.153 volte superiore rispetto a un soggetto ignoto. Questi dati, elaborati utilizzando software di ultima generazione come Y-Str Mixture Calculation, hanno spinto i magistrati a riaprire formalmente le indagini dopo otto anni dall’ultima archiviazione del caso a carico dell’amico di Marco Poggi. Tuttavia, la mancanza del campione biologico originale rappresenta un limite invalicabile per qualsiasi nuovo accertamento scientifico diretto, costringendo i periti a basarsi esclusivamente sui dati raccolti durante i primi esami forensi del 2007.

La scomparsa dei reperti non si limita al solo materiale genetico. Tra gli elementi distrutti o irrintracciabili figurano il pigiama che Chiara indossava al momento dell’omicidio, il frammento di intonaco con l’impronta numero 33 attribuita a Sempio, e altri oggetti sequestrati nella villetta di via Pascoli. La distruzione di questi reperti, avvenuta presumibilmente nel 2022 come da prassi dopo sentenze definitive, non era stata contemplata quando nessuno ipotizzava una possibile riapertura del caso dopo la condanna a 16 anni di reclusione comminata ad Alberto Stasi nel 2015. Altri oggetti, come la bicicletta di Stasi considerata elemento fondamentale durante il processo e il computer di casa Poggi utilizzato da Marco e da Sempio, sono stati restituiti alle famiglie e risultano oggi difficilmente rintracciabili o analizzabili a causa del tempo trascorso e delle possibili contaminazioni.

L’avvocato della famiglia Poggi, Gian Luigi Tizzoni, ha espresso durante una recente udienza del 16 maggio perplessità sull’effettiva sostenibilità di un nuovo processo basato su prove parziali o ormai irrecuperabili. Il legale ha inoltre sollecitato la Procura a estendere i test del DNA a tutti i soggetti coinvolti nei primi rilievi, inclusi consulenti, periti e carabinieri del Ris che hanno maneggiato i reperti negli ultimi diciotto anni, per evitare di “inseguire l’Ignoto 7, 8 o 9” nei prossimi anni. Questa proposta mira a prevenire possibili errori investigativi o contaminazioni che potrebbero emergere nel corso delle nuove analisi, considerando che tracce biologiche potrebbero appartenere a operatori che hanno lavorato sui reperti nel corso degli anni.

Dal canto suo, la difesa di Andrea Sempio, rappresentata dagli avvocati Massimo Lovati e Angela Taccia, ha adottato una strategia attendista, dichiarando di non voler intraprendere indagini difensive autonome poiché quelle “offensive sono al nulla”. L’unico rilievo avanzato dalla difesa riguarda la cosiddetta “catena di custodia”, ovvero la richiesta di approfondire come e in che condizioni siano stati conservati nel tempo i reperti che saranno al centro delle nuove analisi. Questa questione assume particolare rilevanza considerando che molti elementi sono stati maneggiati da diversi operatori e potrebbero aver subito contaminazioni che ne compromettono l’affidabilità scientifica.

L’incidente probatorio del 17 giugno, affidato agli esperti della Polizia scientifica Denise Albani e Domenico Marchigiani, dovrà fare i conti con queste limitazioni strutturali. I periti dovranno lavorare principalmente su dati preesistenti e su alcuni oggetti mai analizzati prima, tra cui una scatola di biscotti, una confezione di fruttolo e un brick di tè trovati nella spazzatura della villetta e utilizzati per la colazione del 13 agosto 2007. Oltre a Sempio e Stasi, saranno sottoposti ai test genetici anche i componenti della famiglia Poggi, le gemelle Stefania e Paola Cappa, alcuni amici di Marco Poggi, il medico legale intervenuto all’epoca e gli investigatori della prima inchiesta, per un totale di una decina di persone.

Le intercettazioni inedite di Andrea Sempio, emerse durante le indagini del 2007 e del 2017, rivelano il quadro di un uomo che manifestava disprezzo per l’opinione pubblica e frustrazione per la pressione mediatica. In una conversazione del 12 febbraio 2007, Sempio dichiarava: “So che sbaglio, perché so che è molto, molto importante… in realtà è molto importante questa cosa, però non me ne frega più niente, guarda… continuino pure a pensare che io un giorno mi sono svegliato e ho portato lo scontrino a cavolo”. Il riferimento all’alibi dello scontrino e al DNA emerge come un leitmotiv che tormentava l’indagato, elementi che gli investigatori hanno utilizzato per costruire il caso contro di lui.

Il caso presenta inoltre una suggestiva pista alternativa ipotizzata dalla difesa di Sempio, che coinvolgerebbe il Santuario della Bozzola. Secondo questa teoria, Chiara potrebbe essere stata uccisa perché era venuta a conoscenza di quanto accadeva al santuario, dove alcuni anni dopo il delitto l’ex rettore don Gregorio Vitali fu vittima di un ricatto a sfondo sessuale orchestrato da due cittadini romeni. Tuttavia, questa ipotesi rimane priva di riscontri concreti e appare più come un tentativo di spostare l’attenzione dalle prove scientifiche che sembrano convergere verso Sempio.

La situazione attuale del caso Poggi evidenzia le criticità del sistema giudiziario italiano nella gestione dei reperti probatori a lungo termine. La distruzione routinaria di elementi che potrebbero rivelarsi cruciali in caso di riapertura delle indagini solleva interrogativi sulla necessità di rivedere le procedure di conservazione, specialmente per i casi più complessi e controversi. A quasi vent’anni dall’omicidio, la ricerca della verità si scontra con vincoli materiali che potrebbero rivelarsi determinanti per l’esito del nuovo procedimento.

I risultati dell’incidente probatorio, che richiederanno almeno tre mesi per essere depositati, determineranno se la nuova inchiesta potrà proseguire su basi scientificamente solide o se dovrà essere nuovamente archiviata per mancanza di prove sufficienti. Nel frattempo, Alberto Stasi, attualmente in regime di semilibertà, potrebbe vedere rimessa in discussione la sua condanna definitiva qualora emergessero elementi a favore della colpevolezza di Sempio. Il caso Garlasco si conferma così uno dei più intricati della cronaca giudiziaria italiana, dove la ricerca della verità continua a scontrarsi con ostacoli procedurali e limitazioni tecniche che sembrano allontanare sempre più la possibilità di una definitiva chiarezza sui fatti.