Referendum, affluenza alle ore 19 al 16%: il quorum resta un miraggio matematico

L’affluenza del 16% alle ore 19 rende matematicamente improbabile il raggiungimento del quorum del 50% necessario per la validità dei cinque referendum abrogativi.

L’affluenza del 16% registrata alle ore 19 della prima giornata di votazioni per i cinque referendum abrogativi su lavoro e cittadinanza delinea uno scenario preoccupante per il raggiungimento del quorum costituzionale del 50% più uno degli aventi diritto. I dati diffusi dal Viminale, basati su oltre 55mila sezioni su 61.591 totali, evidenziano una partecipazione che, seppur superiore rispetto ai precedenti referendum del 2022, appare matematicamente insufficiente per garantire la validità della consultazione secondo quanto previsto dall’articolo 75 della Costituzione italiana.

L’analisi comparativa con le precedenti consultazioni referendarie fornisce elementi decisivi per una valutazione prognostica attendibile. Nel 2011, quando si registrò l’ultimo successo referendario con il raggiungimento del 57% di affluenza finale, alle ore 19 della domenica aveva già votato il 30,3% degli elettori, praticamente il doppio del dato attuale. Quella consultazione, che verteva su tematiche fortemente simboliche come l’acqua pubblica e il nucleare, beneficiava di una mobilitazione civica trasversale che aveva coinvolto ampie fasce dell’elettorato fin dalle prime ore della giornata. Il divario di quattordici punti percentuali tra il dato del 2011 e quello odierno rappresenta un gap difficilmente colmabile nelle ore rimanenti di votazione.

Il confronto con il referendum del 2022 sulla giustizia offre un parametro più realistico per valutare le prospettive attuali. In quell’occasione, caratterizzata da una scarsa mobilitazione dell’elettorato e da tematiche percepite come tecniche e distanti dalla sensibilità popolare, l’affluenza alle ore 19 si era attestata al 14,84%, per concludersi con un deludente 20,4% finale. L’incremento di appena due punti percentuali rispetto a quel precedente, nonostante la presenza di tematiche potenzialmente più vicine alle preoccupazioni quotidiane dei cittadini come quelle lavorative, suggerisce una sostanziale continuità nel disinteresse dell’elettorato verso lo strumento referendario.

La dinamica oraria dell’affluenza nella giornata odierna ha mostrato un incremento moderato ma costante, passando dal 7,4% delle ore 12 al 16% delle ore 19. Tuttavia, questo ritmo di crescita appare insufficiente per compensare il ritardo accumulato rispetto agli standard necessari per il quorum. Applicando un calcolo proporzionale basato sui dati storici, l’affluenza finale potrebbe attestarsi tra il 30% e il 36%, ben al di sotto della soglia di validità costituzionale. La presenza di una seconda giornata di votazione, il lunedì dalle 7 alle 15, rappresenta teoricamente un’opportunità aggiuntiva per incrementare la partecipazione, ma l’esperienza storica dimostra che il contributo del secondo giorno raramente supera i 3-5 punti percentuali aggiuntivi.

L’analisi territoriale dell’affluenza rivela significative disparità regionali che confermano i tradizionali pattern di partecipazione elettorale nel Paese. La Toscana guida la classifica con il 22,26% di partecipazione, seguita dall’Emilia-Romagna con il 20,72% e dal Piemonte con il 19,84%. All’estremo opposto si collocano le regioni meridionali, con la Calabria ferma al 4,38% e la Sicilia poco sopra il 10%. Questa polarizzazione geografica riproduce sostanzialmente lo schema osservato nelle precedenti consultazioni referendarie, evidenziando come il fenomeno dell’astensionismo strategico e del disinteresse verso lo strumento referendario sia particolarmente radicato nelle regioni del Sud Italia.

Il caso della Liguria risulta emblematico delle difficoltà generali della consultazione, con un’affluenza regionale del 19% alle ore 19, superiore alla media nazionale ma comunque distante dai livelli necessari. Anche nelle province liguri tradizionalmente più attive politicamente, come Genova che ha registrato il 10,66% alle ore 12, l’incremento pomeridiano non ha raggiunto livelli tali da suggerire una mobilitazione straordinaria dell’elettorato. I comuni con affluenza più elevata, come Bonassola alla Spezia con il 14,55% o Albissola Marina a Savona con il 13%, rappresentano eccezioni limitate geograficamente che non incidono significativamente sul risultato complessivo.

La natura tecnica e settoriale dei quesiti referendari contribuisce probabilmente alla limitata mobilitazione elettorale. Mentre quattro dei cinque quesiti riguardano aspetti specifici della legislazione lavorativa, incluse modifiche al Jobs Act del 2016, il quinto quesito sulla riduzione dei tempi per l’acquisizione della cittadinanza italiana tocca tematiche potenzialmente più divisive ma anche meno comprensibili nella loro formulazione abrogativa. La complessità giuridica delle norme sottoposte a referendum e la necessità di una conoscenza approfondita delle implicazioni legislative scoraggia la partecipazione di elettori non specializzati, contribuendo al fenomeno dell’astensionismo passivo.

Il meccanismo costituzionale del quorum referendario, concepito originariamente come garanzia contro decisioni affrettate o poco meditate, si è progressivamente trasformato in uno strumento di fatto paralizzante per l’istituto referendario. Dal 1946 a oggi, il 45% dei 72 referendum abrogativi non ha raggiunto il quorum richiesto, evidenziando come l’astensione funzioni de facto come un voto contrario all’abrogazione. Questo dato statistico illumina la strategia politica di diverse forze che, opposte ai quesiti referendari, possono ottenere i propri obiettivi semplicemente incoraggiando l’astensione piuttosto che sostenendo attivamente il “no”.

La presenza contemporanea dei ballottaggi delle elezioni amministrative in diversi comuni italiani, inclusi capoluoghi come Matera e Taranto, rappresenta paradossalmente un elemento di ulteriore dispersione dell’attenzione elettorale. Mentre l’affluenza per le amministrative si mantiene su livelli più sostenuti, intorno al 25% nei principali centri al ballottaggio, la sovrapposizione delle consultazioni non sembra generare un effetto trascinamento positivo per i referendum. Questo fenomeno suggerisce una percezione differenziata della rilevanza delle diverse consultazioni da parte dell’elettorato, che tende a privilegiare le elezioni dirette di rappresentanti locali rispetto ai quesiti abrogativi nazionali.

In conclusione, l’analisi dei dati di affluenza alle ore 19 e il confronto con le serie storiche delle consultazioni referendarie conducono a una previsione di sostanziale fallimento del quorum costituzionale. Il divario di oltre trenta punti percentuali rispetto alla soglia del 50% più uno, combinato con la dinamica oraria di crescita dell’affluenza e le caratteristiche specifiche dei quesiti proposti, rende matematicamente improbabile il raggiungimento della validità costituzionale. L’eventuale conferma di questa previsione rappresenterebbe l’ennesima dimostrazione della crisi strutturale dello strumento referendario in Italia, sempre più percepito come inadeguato rispetto alle esigenze di partecipazione democratica in una società complessa e frammentata come quella contemporanea.