Lo Stretto di Hormuz rappresenta uno dei passaggi marittimi più strategici del pianeta, configurandosi come un collo di bottiglia attraverso il quale transita una quota decisiva dell’energia mondiale. Situato tra l’Iran a nord e la penisola di Musandam dell’Oman a sud, questo braccio di mare collega il Golfo Persico con il Golfo di Oman e il Mar Arabico, costituendo l’unica via d’accesso marittima verso l’oceano aperto per i paesi produttori di petrolio del Golfo. La denominazione deriva dall’isola di Hormuz, situata sul lato occidentale dello stretto presso le coste iraniane.
Caratteristiche geografiche e navigazione
Lo stretto si estende per circa 90 miglia nautiche di lunghezza, con una larghezza che varia dai 52 chilometri nel punto più ampio fino ai 21 chilometri nel tratto più angusto. Nel punto di maggiore restringimento, le acque misurano appena 33 chilometri, mentre le corsie di navigazione commerciale si riducono a soli 3 chilometri di larghezza per ciascuna direzione. Queste condizioni geografiche particolarmente restrittive rendono il passaggio estremamente vulnerabile a potenziali blocchi o interferenze, trasformando quello che potrebbe apparire come un semplice braccio di mare in un punto nevralgico della geopolitica mondiale.

La navigazione attraverso lo stretto è regolamentata da accordi internazionali stipulati tra Iran e Oman nel 1975, che hanno stabilito percorsi specifici per evitare collisioni e garantire un flusso ordinato del traffico commerciale. La Traffic Separation Scheme situata a nord della penisola di Musandam rappresenta l’area principale attraverso la quale viene condotto il traffico delle petroliere, grazie alla profondità delle acque che consente il passaggio anche delle più grandi navi cisterna del mondo.
L’importanza strategica per l’energia mondiale
L’importanza dello Stretto di Hormuz deriva dalla sua posizione di chokepoint energetico globale, attraverso il quale transita circa il 20-30% del petrolio mondiale. Secondo i dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, nel 2024 il flusso di petrolio attraverso lo stretto ha raggiunto una media di 20 milioni di barili al giorno, equivalenti a circa il 20% del consumo globale di prodotti petroliferi liquidi. Questa cifra rappresenta inoltre il 35% di tutto il commercio marittimo di greggio a livello mondiale.
Lo stretto costituisce il corridoio principale per l’esportazione di petrolio verso l’Asia da parte dei membri OPEC, inclusi Arabia Saudita, Iran, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Iraq. Oltre l’86% del greggio che transita attraverso Hormuz è diretto verso Cina, India e Giappone, rendendo la regione un cardine fondamentale per le economie asiatiche. La sola Cina importa circa 7 milioni di barili al giorno attraverso questo passaggio.
Non si tratta esclusivamente di una rotta petrolifera, poiché attraverso lo stretto passa anche un terzo del gas naturale liquefatto mondiale. Il Qatar, secondo esportatore mondiale di GNL dopo gli Stati Uniti, fa transitare quasi tutte le sue esportazioni attraverso questo canale. Paesi come Bangladesh, India e Pakistan importano oltre il 70% del loro GNL via Hormuz, rendendo le loro centrali elettriche a gas particolarmente vulnerabili a eventuali interruzioni.
La posizione dominante dell’Iran
L’Iran detiene una posizione geografica privilegiata che gli conferisce un controllo strategico sostanziale sullo stretto, avendo concentrato risorse militari considerevoli nell’area come elemento cardine della sua strategia regionale. Il paese controlla sette delle otto isole maggiori situate all’interno dello stretto, rafforzando ulteriormente la sua capacità di influenzare il traffico marittimo. Le forze navali iraniane, inclusi i Pasdaran della Guardia Rivoluzionaria, dispongono di un arsenale di missili cruise e balistici, droni kamikaze e mine navali specificatamente progettati per operazioni in questo ambiente marino ristretto.
Nonostante le ripetute minacce di chiusura dello stretto durante le tensioni geopolitiche, l’Iran non ha mai implementato un blocco completo, principalmente perché dipende anch’esso dal passaggio per le proprie esportazioni energetiche, che ammontano a circa 1,7 milioni di barili al giorno. Una chiusura totale comporterebbe infatti conseguenze economiche devastanti anche per Teheran, privandola delle entrate petrolifere fondamentali per la sua economia.
Limitazioni delle rotte alternative
Una delle ragioni principali dell’importanza critica dello Stretto di Hormuz risiede nella scarsità di alternative praticabili per il trasporto dell’energia dal Golfo Persico. Gli oleodotti terrestri esistenti possono trasportare petrolio verso porti sul Mar Rosso o nel Mediterraneo, ma la loro capacità è estremamente limitata rispetto ai volumi che transitano attraverso lo stretto. L’alternativa più viable è rappresentata dall’oleodotto Est-Ovest dell’Arabia Saudita, che attraversa il paese fino al porto di Yanbu sul Mar Rosso, ma nel 2006 operava solo al 50% della capacità, con una capacità residua di circa 2,5 milioni di barili al giorno.
Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, soltanto 4,2 milioni di barili al giorno possono essere reindirizzati attraverso rotte terrestri, come l’oleodotto saudita verso il Mar Rosso e quello degli Emirati Arabi Uniti verso Fujairah. Questa capacità rappresenta appena un quarto del volume giornaliero tipico che transita attraverso lo stretto. Inoltre, molti di questi oleodotti necessitano di riparazioni e aggiornamenti, o sono chiusi a causa di questioni politiche, economiche o geopolitiche nella regione.
Impatti economici globali di una potenziale chiusura
Una chiusura completa dello Stretto di Hormuz avrebbe conseguenze economiche catastrofiche a livello mondiale, con proiezioni che indicano un taglio di 11 milioni di barili al giorno dall’approvvigionamento globale, pari al 12% del consumo mondiale. Gli analisti stimano che tale scenario potrebbe provocare un’impennata dei prezzi del petrolio Brent fino a 100-120 dollari al barile, con alcune previsioni che spingono i prezzi oltre i 200 dollari in caso di blocco totale.
L’Europa risulterebbe particolarmente vulnerabile, considerando che nel 2023 le importazioni europee dalla regione del Golfo sono aumentate a oltre 900.000 barili al giorno, rispetto ai 700.000 precedenti alla guerra in Ucraina. Una disruzione a Hormuz si ripercuoterebbe ben oltre l’Asia, scuotendo i mercati di tutti i continenti e costringendo i governi a scegliere tra tagliare l’energia, chiudere industrie o sovvenzionare l’energia a costi fiscali enormi. Per quanto riguarda il gas naturale liquefatto, una chiusura completa taglierebbe 295 milioni di metri cubi di gas al giorno, quasi il doppio del flusso giornaliero del gasdotto Nord Stream russo prima del sabotaggio.
Presenza militare internazionale e sicurezza marittima
La protezione del traffico marittimo attraverso lo Stretto di Hormuz è affidata principalmente alla Quinta Flotta degli Stati Uniti, con base a Manama, in Bahrein. La Combined Maritime Force guidata dagli Stati Uniti ha confermato che il traffico commerciale continua a fluire attraverso lo stretto, pur avvertendo che la probabilità di conflitto regionale è stata elevata a un livello significativo.
L’Italia ha partecipato alla missione navale di sorveglianza Emasoh nello Stretto di Hormuz, conclusasi nel giugno del 2024. Come sottolineato dal Ministro della Difesa Guido Crosetto, lo stretto rappresenterà uno dei punti critici nelle prossime settimane, con conseguenze importanti a medio-lungo termine, incluso un aumento del rischio di attacchi terroristici. Qualsiasi tentativo di blocco da parte dell’Iran provocherebbe probabilmente una massiccia risposta militare americana, con il rischio di coinvolgere l’Europa nel conflitto attraverso gli obblighi NATO o le alleanze esistenti.
Attuale situazione del traffico marittimo
Nonostante le crescenti tensioni nella regione, il traffico marittimo attraverso lo Stretto di Hormuz è rimasto sostanzialmente stabile nelle ultime settimane. Una media mobile di sette giorni per le petroliere superiori a 10.000 tonnellate di portata lorda che hanno attraversato lo stretto si è attestata approssimativamente tra 42 e 45 imbarcazioni. Le petroliere che entrano nel Golfo Persico sono state tra 20 e 23 navi al giorno nell’ultima settimana, mentre circa 22 navi sono uscite quotidianamente.
Il traffico commerciale totale ha raggiunto circa 110 imbarcazioni con una leggera diminuzione dei flussi in entrata, principalmente di navi da carico alla rinfusa. I transiti di navi cisterna per gas di petrolio liquefatto si sono mantenuti tra 8 e 10 navi, mentre i vettori di gas naturale liquefatto rimangono entro le norme giornaliere di 6-8 imbarcazioni. Sebbene la maggior parte delle attività di carico e scarico sembri procedere secondo programma, discernere tendenze chiare risulta difficoltoso poiché i dati a breve termine fluttuano considerevolmente in base a fattori come i tempi di carico, le condizioni meteorologiche e l’impatto delle interferenze elettroniche sui segnali di navigazione.