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Caso Raul Bova, parla Federico Monzino l’amico di Martina Ceretti “Ho dato io i file a Corona. Nessun ricatto”

Dichiarazioni e controversioni sulla presunta estorsione ai danni di Raoul Bova: il pr Federico Monzino nega il ricatto, sostiene di aver consegnato chat e audio a Fabrizio Corona con il consenso di Martina Ceretti, mentre la Procura di Roma valuta le ipotesi di reato fra minacce, privacy e ricettazione.

La ricostruzione dell’intreccio che vede coinvolti Raoul Bova, la modella Martina Ceretti, l’ex fotografo Fabrizio Corona e il pr milanese Federico Monzino continua ad arricchirsi di dettagli, depositando l’inchiesta per tentata estorsione aperta dalla Procura di Roma in un territorio sempre più complesso, nel quale dichiarazioni discordanti, materiali digitali diffusi senza consenso e ipotesi di violazioni della privacy si intrecciano in un quadro a tinte opache che ha già catturato l’attenzione dell’opinione pubblica.

Il primo tassello di questa vicenda risale all’11 luglio, quando sull’utenza personale di Bova giunge un messaggio anonimo da un numero spagnolo intestato a un prestanome; nei toni, già chiaramente intimidatori, si allude alla disponibilità di contenuti audio e chat intime con la giovane Ceretti e si suggerisce di “farsi un regalo” per evitare che il materiale finisca di dominio pubblico.

Secondo le risultanze investigative, l’attore sceglie di non cedere a quella che interpreta come un’estorsione mascherata e, appena dieci giorni dopo, il 21 luglio, quei contenuti vengono divulgati dalla voce di Fabrizio Corona all’interno di una puntata del podcast “Falsissimo”, scatenando una tempesta mediatica che travolge tanto la vita privata dell’attore quanto la relazione con Rocío Muñoz Morales, già descritta da tempo come incrinata.

La diffusione pubblica vigente in rete conduce Bova alla denuncia formale e fa scattare l’indagine della Polizia Postale che, nell’arco di poche ore, sequestra i dispositivi elettronici di Corona, Ceretti e Monzino classificandoli inizialmente come persone informate sui fatti, pur lasciando aperta la porta a successive iscrizioni nel registro degli indagati a seconda degli sviluppi.

L’intervento più atteso arriva dalle colonne di Repubblica, dove Federico Monzino, classe 1996, erede di una famiglia che ha legato il proprio nome allo storico marchio Standa e oggi presente nel cantiere Cranchi Yacht, precisa di non aver mai preteso denaro da Bova, di non essere indagato e di aver agito, a suo dire, esclusivamente come tramite su richiesta della stessa Ceretti.

«Martina voleva diventare famosa in questo modo », dichiara Monzino, confermando di aver inoltrato a Corona chat e audio senza manipolarli, con l’assenso diretto della modella; quando però il tenore dei file – che per l’attore costituirebbero corrispondenza privata protetta – si rivela potenzialmente esplosivo, Ceretti si sarebbe detta contraria alla pubblicazione e avrebbe chiesto di fermare tutto.

Corona, dal canto suo, rivendica la liceità del proprio operato, sostenendo di aver ricevuto volontariamente il materiale da Monzino e Ceretti e accusando l’imprenditore milanese di voler riscrivere ex post la dinamica per sottrarsi alla responsabilità di un eventuale ricatto; nelle sue storie social, l’ex paparazzo descrive Monzino come un «rampollo super circolino» che avrebbe cercato di monetizzare la trattativa prima di rivolgersi al pubblico con la diffusione degli audio.

A rendere ancora più frastagliato il mosaico arrivano alcune stories di Ceretti in cui la modella, pur precisando di non aver mai voluto la pubblicazione delle chat, difende l’amico pr milanese definendolo un «bravissimo ragazzo» e prendendo le distanze dal racconto di Corona che, a suo giudizio, l’avrebbe dipinta come una persona distante dalla sua reale identità.

L’indagine della Procura ruota attorno all’ipotesi di tentata estorsione ex articolo 629 Cp e alla possibile violazione della disciplina sul trattamento dei dati personali, elementi che investono direttamente la piena tracciabilità della filiera di passaggi digitali: dal dispositivo di Ceretti a quello di Monzino, fino alle mani di Corona, passando per l’utenza estera utilizzata per inviare il messaggio minatorio; gli inquirenti intendono accertare se vi sia stato un unico soggetto regista del presunto ricatto oppure se la minaccia e la pubblicazione degli audio siano eventi scissi, accomunati solo dall’uso spregiudicato di contenuti privati.

Parallelamente, l’analisi forense dei cellulari sequestrati dovrà stabilire con esattezza quando i file siano stati prelevati, se vi siano state modifiche o tagli e, soprattutto, se sul dispositivo della modella vi siano tracce di accessi non autorizzati che potrebbero configurare un’ulteriore ipotesi di reato connesso alla violazione della privacy.

In questa fase preliminare, nessuno degli attori principali risulta formalmente indagato, anche se gli investigatori non escludono che l’inchiesta possa presto cambiare passo alla luce delle perizie tecniche; su tutti, resta centrale il nodo dell’sms dal numero spagnolo, unico veicolo esplicito di una richiesta implicita di denaro, che secondo gli avvocati di Bova sarebbe sufficiente a dimostrare il tentativo di estorsione a prescindere dal mancato pagamento.

Sullo sfondo, la figura di Federico Monzino continua a suscitare curiosità: nipote dell’imprenditore Tullio Monzino, inserito nel consiglio di amministrazione di Cranchi Yacht e titolare di un portafoglio immobiliare nel capoluogo lombardo, il giovane si è distinto negli ambienti mondani milanesi come organizzatore di eventi di lusso e, secondo chi lo frequenta, come punto di riferimento per influencer emergenti alla ricerca di visibilità.

Benché i protagonisti abbiano scelto pubblicamente la linea della reciproca accusa, le prossime mosse spettano alla magistratura capitolina che dovrà valutare non soltanto l’eventuale tentativo di estorsione, ma anche le possibili ipotesi di ricettazione da parte di chi ha diffuso materiale presumibilmente sottratto e le sanzioni amministrative previste dal Garante per la protezione dei dati personali in caso di illecita pubblicazione di conversazioni private.

L’attore, nel frattempo, mantiene il silenzio stampa limitandosi a tutelare la propria immagine in sede giudiziaria, mentre la compagna Rocío Muñoz Morales evita commenti pubblici lasciando aperto il capitolo di una rottura mai confermata; in assenza di repliche ufficiali, il dibattito sul confine tra diritto di cronaca, gossip e tutela della vita privata prosegue su piattaforme digitali che, paradossalmente, amplificano proprio quel fenomeno di esposizione involontaria e sovraesposizione commerciale che l’ordinamento prova a limitare.

Se i legali dell’attore confidano nella tracciabilità informatica per individuare il responsabile del messaggio e bloccare ulteriori diffusioni, Fonti investigative sottolineano che l’invio di contenuti privati a terzi, anche con il consenso di una delle parti coinvolte, non elide il potenziale reato laddove sia configurabile un tornaconto economico o un danno reputazionale; in quest’ottica, la figura di Monzino resta al centro delle attenzioni della Procura in qualità di possibile anello di congiunzione tra la volontà di Ceretti di emergere in rete e la prontezza di Corona a capitalizzare l’esclusiva.

Le indagini proseguono dunque su più fronti: l’autore materiale della minaccia, la filiera di trasmissione dei file, l’eventuale corrispettivo economico, la collocazione giuridica di chi pubblica documenti privati senza autorizzazione e l’effetto sul piano del diritto all’immagine; nel frattempo, la vicenda Bova & Ceretti si trasforma in cartina di tornasole di un ecosistema mediatico in cui la ricerca di visibilità, l’utilizzo di relazioni sentimentali come leva di marketing e la monetizzazione dei segreti altrui continuano a spingersi oltre i confini imposti dalla legge.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!

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