Un caso che ha scatenato ampie riflessioni sul rapporto tra famiglie e sistema scolastico ha trovato la sua conclusione definitiva nelle aule del Tribunale Amministrativo Regionale siciliano, dove i giudici hanno respinto il ricorso presentato dai genitori di uno studente di Canicattì, in provincia di Agrigento, promosso con il voto di nove agli esami di licenza media. La coppia riteneva che il figlio meritasse la valutazione massima di dieci e aveva impugnato il verbale delle prove d’esame presso l’istituto comprensivo Giovanni Verga, chiedendo l’annullamento della valutazione e la ridefinizione del giudizio finale.
La sentenza del TAR, che ha condannato i ricorrenti al pagamento di mille euro di spese legali, ha ricostruito nel dettaglio il percorso scolastico del ragazzo, evidenziando come lo studente fosse stato ammesso agli esami con il voto di nove su dieci e avesse conseguito i seguenti punteggi nelle prove: dieci in italiano, dieci in matematica, otto in francese, otto in inglese e nove nel colloquio pluridisciplinare. Secondo la commissione esaminatrice, le due prove di lingua straniera risultavano «non del tutto prive di errori», giustificando così il mantenimento del voto di ammissione come valutazione finale.
I giudici amministrativi hanno respinto integralmente le argomentazioni della famiglia, sottolineando nella loro decisione che «la scuola, nel valutare la preparazione degli alunni, non applica scienze esatte che conducono ad un risultato certo ed univoco, come si verifica ad esempio nei casi di accertamento dell’altezza di un determinato candidato o del grado alcolico di una determinata sostanza, ma formula un giudizio tecnico connotato da un fisiologico margine di opinabilità». Per sconfessare tale valutazione, hanno precisato i magistrati, non è sufficiente evidenziare la mera non condivisibilità del giudizio, «dovendosi piuttosto dimostrare la sua palese inattendibilità».
La pronuncia ha trovato particolare risonanza mediatica grazie all’intervento del professor Guido Saraceni, docente di filosofia del diritto presso l’Università degli Studi di Teramo, dove insegna informatica giuridica e teoria generale del diritto, autore di oltre cento pubblicazioni scientifiche e saggi, particolarmente attivo come divulgatore attraverso i canali social. Saraceni ha commentato il caso con parole che hanno suscitato ampio dibattito, definendo la vicenda «triste e curiosa» e articolando tre riflessioni fondamentali sulla questione.
«La Giustizia non è un gioco», ha dichiarato il giurista, «bisognerebbe pensarci due volte prima di ingolfarne ulteriormente gli ingranaggi, impegnando risorse pubbliche a danno di tutti per questioni di scarsa o nessuna rilevanza». Il docente ha espresso la speranza che i genitori abbiano agito autonomamente, senza il supporto di professionisti legali, poiché «sarebbe avvilente se avessero trovato assistenza e conforto in uno studio legale che, al posto di sconsigliarli, ha accettato di intraprendere un processo destituito di ogni ragionevole fondamento».
La critica più severa di Saraceni si è concentrata però sull’atteggiamento educativo delle famiglie contemporanee: «I vostri figli non sono tutti geni incompresi, rock star, fashion blogger o calciatori di Serie A. Sono esseri umani, fisiologicamente immaturi, che stanno attraversando una fase parecchio delicata della propria esistenza». Il giurista ha proseguito con un appello diretto ai genitori: «Lasciateli crescere in santa pace. Riconoscete loro il diritto di annoiarsi, di sbagliare e, soprattutto, di perdere. Non vorrete mica che diventino come voi?».
Il caso di Canicattì si inserisce in un fenomeno più ampio che sta interessando il sistema scolastico italiano negli ultimi anni. Secondo i dati raccolti dai Tribunali Amministriativi Regionali di tutta Italia, i ricorsi contro bocciature e valutazioni scolastiche sono aumentati del venticinque per cento negli ultimi cinque anni, con picchi particolarmente significativi in alcune regioni. In Lombardia, nel 2024 si è registrato un incremento del trentacinque per cento delle controversie totali, con cinquecentosessantatré nuovi ricorsi specificamente legati al settore dell’istruzione.
La presidente del TAR Toscano, Silvia La Guardia, aveva già lanciato l’allarme all’inizio del 2024, sottolineando durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario che «non siamo la scuola, non possiamo giudicare nel merito delle scelte» e evidenziando l’impennata delle contestazioni contro le bocciature scolastiche. Il fenomeno non fa distinzioni territoriali e si manifesta con modalità sempre più diverse: dai ricorsi contro i voti di condotta insufficienti alle contestazioni delle promozioni ritenute inadeguate dai genitori.
Gli esperti del settore identificano molteplici cause alla base di questa tendenza. Il neuropsichiatra infantile Narciso Mostarda, direttore generale del 118 e autore del libro «La società adolescente», attribuisce il fenomeno alla crisi del patto educativo tra le generazioni, sostenendo che l’insegnante non è più percepito come una figura di riferimento in continuità con la famiglia. Mostarda definisce alcuni genitori contemporanei «adultescenti», adulti che mantengono comportamenti tipici dell’adolescenza, evitando di assumere responsabilità e rifiutando il ruolo guida che la società si aspetterebbe da loro.
La giurisprudenza amministrativa ha consolidato nel tempo principi chiari riguardo al sindacato giurisdizionale sulle valutazioni scolastiche. Come ribadito costantemente dalle sentenze dei TAR, il controllo del giudice amministrativo sulle decisioni degli organi collegiali scolastici si arresta al limite della ragionevolezza, dovendo verificare unicamente se il procedimento valutativo sia conforme ai parametri normativi e ai criteri previamente deliberati, senza risultare inficiato da vizi di manifesta illogicità, difetto di istruttoria o travisamento dei fatti.
L’interesse pubblico in materia di valutazione scolastica, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, non consiste nel selezionare i più meritevoli in base a parametri preordinati, come avviene nelle prove concorsuali, ma nel garantire un’efficace formazione dei giovani secondo le finalità proprie dell’istruzione pubblica. Tale finalità può configurare la non ammissione alla classe superiore non come una soccombenza rispetto ad altri soggetti, ma come una valutazione pedagogica orientata al miglior interesse formativo dello studente.
La dirigente scolastica dell’istituto comprensivo Verga di Canicattì, Maria Ausilia Corsello, ha commentato positivamente la sentenza del TAR, sottolineando che essa «ha legittimato l’operato della commissione d’esame che aveva fatto quella valutazione nei confronti del ragazzo» e confermato «la correttezza dei giudizi e delle valutazioni degli insegnanti di questa scuola». La preside ha inoltre evidenziato come i genitori dovrebbero considerare i docenti «un alleato nel procedimento di formazione e valutazione dei propri figli e non degli antagonisti».
Il fenomeno dei ricorsi alle valutazioni scolastiche pone interrogativi più ampi sul rapporto tra autorità educativa e famiglie nell’Italia contemporanea. Gli esperti di diritto scolastico osservano che la crescente conflittualità tra genitori e docenti non solo danneggia il clima scolastico, ma compromette anche l’efficacia delle strategie educative, creando nei giovani una percezione distorta del valore della valutazione e del significato formativo dell’insuccesso.
L’ex ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini ha recentemente sottolineato l’urgenza di «ripristinare un’alleanza educativa tra la scuola e la famiglia» perché «si è interrotta», evidenziando come alcuni genitori «di fronte a un brutto voto anziché affermare il rispetto dell’autorità demoliscono la persona», compromettendo paradossalmente l’interesse del proprio figlio. La parlamentare ha auspicato la ricostruzione di un patto educativo basato sul rispetto reciproco e sulla condivisione degli obiettivi formativi.
La tecnologia ha inoltre amplificato il fenomeno attraverso il registro elettronico, che consente ai genitori un monitoraggio costante dei voti dei figli, generando talvolta una percezione distorta della valutazione scolastica come mero dato numerico da contestare piuttosto che come strumento di crescita formativa. Alcuni dirigenti scolastici hanno segnalato come questa trasparenza, pur positiva nei suoi principi, abbia contribuito a trasformare ogni singolo voto in una potenziale fonte di conflitto.
La vicenda di Canicattì si conclude quindi con una lezione che va oltre il caso specifico, ponendo l’accento sulla necessità di ricostruire un rapporto di fiducia tra famiglie e istituzioni scolastiche basato sulla condivisione degli obiettivi educativi e sul riconoscimento delle rispettive competenze. Come sottolineato dal professor Saraceni, l’educazione dei giovani richiede la capacità di accettare anche l’insuccesso come parte integrante del percorso di crescita, evitando che la protezione genitoriale si trasformi in un ostacolo alla maturazione personale degli studenti.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!